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CREDITI SOCIALI CINESI: non tutte le spinte sono gentili

Ci sono persone che sanno intavolare un confronto costruttivo, farti riflettere e contemporaneamente spingerti a delle soluzioni. E’ ciò che è successo con #marcolarosa che con una sola domanda mi ha regalato una dose sufficiente di dopamina da arrivare all’anno nuovo.

Il sistema dei crediti sociali cinesi è un esempio di applicazione dei Nudge?

Il mio articolo sul blog: neurowebcopywriting

https://www.neurowebcopywriting.com/crediti-sociali-cinesi-e-nudge-laura-mondino/

 

Per ESSERE più ATTRAENTE agli OCCHI del CLIENTE, USA l’EFFETTO PRATFALL

Sul palco una persona autorevole e sciolta sta terminando magnificamente il suo speech. Ogni slide è ben strutturata, i video coinvolgenti. La platea è estasiata.

La presentatrice successiva sale sul palco, collega il laptop e mentre la prima slide viene proiettata, accade un imprevisto, lo schermo si oscura e il sistema va in blocco.

Il pubblico rimane in silenzio, fin troppo consapevole dell’orrore che l’oratrice deve provare. Passano una decina di secondi (che sembrano un’eternità), poi la speaker si rivolge al pubblico: “Mi dispiace, ovviamente speravo di attirare la vostra attenzione, ma non in questo modo! Immagino che sarà una presentazione senza PowerPoint. Chissà, potrebbe anche essere meglio“. Il pubblico ride e la relatrice inizia il suo discorso, continuando a parlare in modo coinvolgente per venticinque minuti, scrivendo di tanto in tanto qualcosa sulla lavagna a fogli mobili, per enfatizzare o illustrare ciò che sta dicendo. Mentre conclude, si scusa ancora una volta per il contrattempo, e lascia il palco sotto un’ovazione.

In qualche modo le sue parole sembrano aver fatto un’impressione migliore di quella del suo bravissimo predecessore.

Quello che ho appena raccontato è noto come effetto Pratfall , termine coniato dallo psicologo Eliot Aronson, nel 1966. I ricercatori hanno scoperto che l’attrattiva di una persona può essere migliorata commettendo un errore (ma attenzione: diminuisce l’attrattiva di una persona mediocre), in quanto la fa sembrare più umana.

Non finisce qui. Quando sei bravo, davvero bravo nel tuo lavoro, sempre, le persone tendono ad abituarsi a prestazioni di alto livello e arrivano a darle per scontate. Se ti trovi a gestire bene un imprevisto, cambi la loro prospettiva e scalfisci ciò che ormai inconsapevolmente danno per scontato di te.

PRATFALL IN AZIENDA

Esattamente lo stesso può applicarsi alle aziende e alle aspettative che hanno, di loro,  i clienti. Pensa alle tue utenze o al tuo provider Internet. È naturale che la luce si accenda quando si spinge l’interruttore e che l’acqua scorra dal rubinetto quando lo si apre. È naturale che ogni volta che controlli la posta elettronica, cerchi gli orari di apertura del negozio di abbigliamento o desideri guardare un determinato video su you tube e la tua connessione Internet eseguano i tuoi comandi.

È difficile per queste aziende offrire un’esperienza eccezionale quando i clienti si aspettano (e generalmente ricevono) livelli di servizio molto vicini al 100%.

Quando le aziende offrono regolarmente al consumatore un servizio esemplare, la differenziazione può venire solo dalle eccezioni: quando cioè accade qualcosa di imprevisto.

Ironia della sorte, più alte sono le aspettative, più importante è garantire che la risposta a un evento non di routine sia altrettanto buona. Se i clienti presumono di essere soddisfatti solo per l’85% delle volte, la delusione non è così insolita ed è più probabile che la accettino rispetto a quando la norma di soddisfazione è il 99,9%. Lo 0,1% delle volte in cui un cliente è insoddisfatto influenzerà in modo sproporzionato l’esperienza complessiva del cliente. Questo è il parametro in base al quale le persone ti giudicheranno davvero .

Molti rivenditori hanno spostato la loro attività online a causa del COVID-19. Se sei uno di loro, non limitarti a stabilire processi chiari, veloci e snelli, ma assicurati anche di gestire al meglio gli errori occasionali. Il benchmark è stato fissato dal più grande rivenditore online del mondo (che non ha bisogno di presentazioni).

Ma anche nei centri commerciali o nei negozi al dettaglio le cose possono andare storte: una camicia danneggiata, un componente mancante, un difetto di fabbricazione, un errore nella prenotazione di un biglietto aereo, una doccia gocciolante in hotel, una bistecca mal cotta, sono tutti eventi inaspettati in cui hai l’opportunità di brillare e mostrare ciò che il cliente significa per te.

Le persone tra il pubblico non hanno immediatamente sminuito la sfortunata oratrice: sapevano che sarebbero accaduti degli imprevisti. E’ il modo in cui ha risposto che ha rafforzato la sua competenza, più di quanto avrebbe fatto una performance impeccabile. Allo stesso modo, le aziende possono brillare quando qualcosa va storto, attraverso il modo in cui affrontano il problema.

Se ci fai caso, il relatore precedente, pur avendo fatto una presentazione precisa, divertente e attenta verrà presto dimenticato, perché superato nei ricordi dalla oratrice che è riusciuta a gestire una situazione tutt’altro che semplice. I clienti ricordano positivamente le aziende che li impressionano con la loro competenza quando devono affrontare un problema inaspettato, anche se la colpa del problema è attribuibile alla stessa azienda.

Perché l’esperienza del cliente è, in larga misura, uno storytelling di imprevisti.

RENDI UMANO il BRAND, per CONNETTERTI con i tuoi CLIENTI

Ci siamo affezionati a Bibendum, a Topo Gigio, a Siri ed Alexa… perché gli oggetti resi umani, attirano così tanto la nostra attenzione?

Dare tratti umani a oggetti inanimati è un’ottima strategia per connettersi con i consumatori, nonché uno dei segreti del successo di un brand. E anche se difficilmente ne siamo consci, è un comportamento che mettiamo in atto, autonomamente, fin da bambini.

Sto parlando dell’antropomorfismo, la scienza che spiega come e perchè abbiamo la necessità di umanizzare gli oggetti inanimati. Un comportamento innato espresso fin dall’infanzia quando attribuiamo personalità a bambole, camion e giocattoli in genere.  Anche la vita adulta ne è piena: i porti sono affollati di barche dal nome di persone, così i disastri naturali, dagli uragani, ai terremoti.

CHATBOT UMANIZZATI

L’antropomorfismo è così efficace che lo si è portato a livelli estremi soprattutto nel business, unitamente all’I.A: un esempio sono i Chatbot avanzati, come Siri di Apple, Alexa di Amazon e Cortana di Microsoft. Grazie all’immediatezza delle loro interfacce, è plausibile che i clienti spendano sempre più tempo impegnati in conversazioni con l’AI di quel brand che con qualsiasi altra entità, inclusi i dipendenti dell’azienda.

Se il trend rimane tale, Siri, Alexa e Cortana, e le loro relative “personalità”, potrebbero diventare più famose delle società che le hanno originate. Ognuno con proprie caratteristiche e personalità.

Alexa è sicura di sé e premurosa: non risponde ironicamente quando viene usato del linguaggio scurrile e non ricorre allo slang. Siri è sfacciata e brillante. A una domanda circa il significato della vita, potrebbe rispondere: “Trovo strano che tu lo chieda a un oggetto inanimato”. Siri può diventare gelosa, soprattutto quando gli utenti la confondono con un altro sistema di ricerca vocale. Quando qualcuno incorre in questo errore, la sua risposta è piccante: “Perché non chiedi ad Alexa di fare quella chiamata per te?”. Questo stile è in linea con il marchio Apple, che ha da tempo sposato l’individualità come valore vincente, in contrapposizione al conformismo. E infatti, ha dotato Siri di una personalità riconoscibilissima che ricorda più una persona che un prodotto.

GIOCO D’AZZARDO

L’antropomorfismo ha trovato campo fertile anche nel campo del gioco d’azzardo: è dimostrato che riconoscere alle slot machine dei casinò proprietà simili a quelle umane, aumenta l’attitudine a interagire con queste, promuovendo una condotta di gioco più rischiosa.

La tendenza ad antropomorfizzare le cose inanimate, cioè trattarle come se fossero persone, rappresenta un meccanismo che si è sviluppato per aiutarci a sopravvivere in un mondo imprevedibile, ma che allo stesso tempo può mandarci in confusione e renderci maggiormente vulnerabili.

Non solo antropomorfizzare le slot alimenta il desiderio di giocare, indipendentemente dal fatto di farlo con soldi veri, ma aumenta l’eccitazione emotiva che porta a giocare con maggiori perdite e più tempo in generale. Le persone sono più inclini a giocare quando hanno a che fare con una mente “simile alla loro”, e non quando si trovano semplicemente di fronte a una macchina che opera meccanicamente e matematicamente.

Dietro la tendenza ad antropomorfizzare, si nascondono alcune insidie: l’antropomorfizzazione, infatti, potrebbe guidare il nostro modo di agire in maniera errata. Di fronte a slot machine con tratti antropomorfi le persone timide mostrano più diffidenza e quelle con più fiducia in se stesse, dimostrano la tendenza a perdere completamente il senso della casualità intrinseca nel gioco. I giocatori più sicuri potrebbero percio’ essere facilmente raggirati, cadendo nella trappola di illusoria umanità della macchina.

Un fenomeno simile si riscontra nei mercati azionari: gli andamenti dell’economia virtuale vengono spesso descritti con tratti antropomorfi finendo per creare false credenze. In definitiva, se da una parte la tendenza ad antropomorfizzare e’ positiva e ci aiuta ad affrontare l’imprevedibilita’ del mondo, è vero anche che abusarne può significare discostarsi troppo dalla realtà: se una macchina ci fa “l’occhiolino”, è meglio non credergli del tutto. Rischieremmo di trovarci con il portafoglio vuoto.

E se ci FOSSE un MODO per RISOLVERE GRANDI PROBLEMI, senza CREARE altri PROBLEMI…

A fine anni ’50, Mao lanciò una campagna per sbarazzarsi dei passeri, da lui ritenuti responsabili di danneggiare il raccolto.

Per raggiungere l’obiettivo, i funzionari cinesi organizzarono sfidanti competizioni, distribuendo premi a coloro che uccidevano più uccelli. Le persone iniziarono così a sparare ai passeri all’impazzata e a distruggerne i nidi in modo indiscriminato. Di pari passo però, le risaie cinesi iniziarono a produrre meno raccolti.

Si scoprì così che i passeri non mangiavano solo grano. Mangiavano anche insetti che mangiavano grano. Mentre i passeri si avvicinavano all’estinzione, gli insetti mangiatori di cereali diventarono una vera e propria piaga, divorando più grano di quanto facessero i passeri. La Cina cadde in una carestia che uccise più di 20 milioni di persone.

La storia è piena di storie come questa, dove soluzioni apparentemente logiche, anziché risolvere un problema, generano conseguenze non intenzionali, ma dannose, in gergo “second-order effects”.

Un effetto di primo ordine è ciò che accade quando, per esempio, si chiede alle persone di uccidere gli uccelli. Un effetto di secondo ordine è ciò che accade quando invece si chiede di uccidere gli uccelli, ma poi gli insetti mangiano tutto il raccolto perché gli uccelli non sono più grado o in numero tale da mangiare gli insetti.

Nel business questo accade spesso. E diventiamo colpevoli, quanto Mao, di non pensare ai potenziali effetti di secondo ordine delle nostre decisioni.

Ciò accade poichè tendiamo a innamorarci delle nostre idee, senza contare che ognuno di noi è fortemente incentivato a essere colui che ha l’idea vincente. Facciamo tutto il possibile per far funzionare le nostre idee, piuttosto che pensare se un’idea funzionerà prima di attuarla.

È del tutto umano. Ma è un errore grossolano che può avere conseguenze negative importanti.

RISOLVERE PROBLEMI SENZA CREARE ALTRI PROBLEMI

La vera sfida è infatti più sottile: imparare a risolvere i problemi senza creare altri problemi. Quindi a prendere decisioni calcolando rischi e conseguenze nel modo corretto.

In uno scenario aziendale comune, invece di chiedere: “Come possiamo aumentare le vendite?“, sarebbe più utile chiedersi: “Come possiamo aumentare le vendite … senza danneggiare la nostra reputazione o la fidelizzazione dei clienti a lungo termine?” – o qualunque siano i relativi effetti di secondo ordine più importanti.

Le risposte che soddisfano quest’ultima domanda non saranno solo più interessanti, ma anche più innovative.

Quando Mao chiese: “Come possiamo uccidere i passeri?“, avrebbe potuto aggiungere “… senza avere un effetto negativo sui nostri raccolti?” Questo, in effetti, sarebbe stato utile, perché avrebbe chiarito che “uccidere i passeri” non era il giusto obiettivo. Prendere in considerazione gli effetti di secondo ordine avrebbe potuto portare a una domanda differente: “Come possiamo aumentare i nostri raccolti senza causare effetti negativi sulla salute o sull’ecosistema agricolo?

Dopotutto, l’obiettivo non era quello di sbarazzarsi dei passeri: era nutrire più persone.

 

PERCHE’ COMPRIAMO anche ciò che NON ci SERVE. L’effetto DIDEROT.

Compri più cose del necessario? Spendi più di quanto il tuo reddito lo consenta? Non sei il solo. Semplicemente sei anche tu vittima dell’effetto Diderot.

Dal nome del filosofo francese, questo effetto è ciò che spinge ad acquistare il superfluo. Diderot giunse, già nel 18° secolo, alla conclusione che l’acquisto di un solo oggetto, poteva portare ad acquistarne molti altri e così preoccupato di questa sua esosa abitudine si mise a studiare il fenomeno.

A finalizzare nel dettaglio l’effetto fu poi, a fine del XX secolo, l’antropologo McCracken che scoprì che gli oggetti che possediamo sono in stretta relazione con la nostra identità. Dicono chi siamo e ci rappresentano.

Inoltre la tendenza è comprare oggetti simili a quelli che già possediamo, per evitare di provare disagio, come accadde al filosofo francese a seguito di una vestaglia.

Nell’opera Rimpianti sopra la mia vecchia vestaglia, racconta come un regalo innocente, una preziosa vestaglia scarlatta per l’appunto, lo abbia portato alla rovina. Inizialmente, il filosofo era entusiasta. Tuttavia, ben presto si accorse che il resto dei suoi averi era troppo lontano dal concetto di eleganza.

Così, iniziò a rimpiazzare i vecchi averi: sostituì la vecchia sedia di legno con una comoda poltrona in pelle; i dipinti di casa con altri più costosi. Poco alla vota, iniziò a spendere sempre di più per acquistare oggetti eleganti che si abbinassero alla vestaglia. E quasi inconsapevolmente, finì per spendere tutti i soldi in beni che nemmeno voleva. Questo è l’esempio di ciò che l’effetto Diderot può produrre se lasciamo che controlli le nostre scelte.

CONSIGLI SU COME CONTRASTARE L’EFFETTO DIDEROT

  • Prima di effettuare un acquisto costoso, fermati a pensare se è un bisogno o un capriccio.
  • Analizza i costi dei futuri acquisti. È probabile che un oggetto da solo non comporti grandi spese. Ma quanto spenderesti se acquistassi tutto quello che desideri? Invece di lasciarti prendere la mano ogni volta, è molto più utile calcolare in anticipo quanto puoi spendere e per cosa.
  • Scegli i beni da acquistare in base alla loro utilità. Il criterio più importante nell’effettuare un nuovo acquisto è stabilire se sarà utile. Acquistare beni solo per apparire può creare dipendenza. In ogni caso, a meno che tu non abbia molti soldi da spendere, non ha molto senso.

Per concludere, frenare l’effetto Diderot può essere piuttosto complicato. Tuttavia, se sei consapevole di quello che fai e tieni sotto controllo l’impulso di comprare per impressionare gli altri, ti accorgerai facilmente di non aver bisogno di acquistare nuovi status symbol o di stare al passo con gli altri, per essere.

PARADOSSO DI ABILENE: l’incapacità di dire no in un team che dice sì

 

“Non posso contraddire il mio responsabile”. “Non posso assumermi il rischio di dire no in questa fase del progetto”. Quante volte in azienda (e non solo) mi sono sentita ripetere frasi come queste, con la triste conseguenza di vedere naufragare mesi di lavoro, con ricadute economiche disastrose. Eppure saper dire no, in alcuni frangenti, mette al riparo dal rischio “Abilene”.

Come la maggior parte dei paradossi, anche questo ha un nome insolito Abilene e lo si deve a Jerry Harvey, professore di scienza del management all’Università George Washington.

La storiella narra di una tranquilla famiglia americana, marito, moglie, figlia e nonni che, in un caldo giorno d’estate, incalzati dal capofamiglia ad andare a cena ad Abilene, una cittadina a 50 km di distanza, accetta, come gruppo, la proposta. Detto fatto si mettono in strada. Ad Abilene cercano una pizzeria ma dopo vari giri falliti per trovare un parcheggio finiscono in una trattoria messicana dove cenano male, spendendo uno sproposito. Sulla via del ritorno bucano una gomma e stentano a trovare una stazione di servizio. Dopo quattro ore si ritrovano a casa accaldati, stanchi e delusi. Sdraiati sui divani, il nonno ambiguamente azzarda: “È stato un bel tragitto!”. La suocera replica all’istante che avrebbe preferito rimanere a casa ma che non voleva raffreddare l’entusiasmo collettivo. Anche il genero le fa eco e confessa di aver accettato solo per compiacere gli altri. La figlia aggiunge: “Siamo stati pazzi a metterci in macchina con questo caldo!”. Conclude il suocero: “Io l’ho proposto perché mi sembravate annoiati.”

La storia è in realtà una metafora di come i gruppi si trovano spesso in accordo nel prendere decisioni che i singoli membri del gruppo, individualmente, non avrebbero mai preso. Molti manager aderiscono a decisioni o investono tempo e denaro in progetti che sanno in partenza che non funzioneranno e i risultati di questi accordi indotti sono controproducenti per l’organizzazione e per i singoli che trasformano la frustrazione in una spirale di recriminazioni reciproche.

L’effetto è molto frequente fra gruppi i cui membri hanno lo stesso livello di potere, quando la comunicazione di desideri e aspettative reali di ognuno non avviene e quando è più importante soddisfare gli altri che se stessi.

Se non viene identificato, questo meccanismo tenderà a ripetersi ogni volta che il gruppo dovrà prendere delle decisioni, con tutte le conseguenze che si possono immaginare.

Il consiglio? Fate sì che le persone possano liberamente esprimere il loro punto di vista e che questo sia parte integrante di un processo di comunicazione condiviso da tutti. Attenzione però che non si cada nell’estremo opposto: nella eccessiva determinazione a portare avanti le decisioni individuali senza che ci si curi degli interessi degli altri.

Il FASCINO della SUPERFICIALITA’ e la NUOVA IGNORANZA

Il Presidente del Consiglio Conte ha esaltato l’8 settembre 1943, confondendolo con il 25 aprile 1945: data fondamentale per la rinascita dell’Italia, quando invece fu una catastrofe storica; Di Maio non solo ha spostato Matera dalla Basilicata alla Puglia ma ha anche audacemente dichiarato che il corpo umano è fatto al 90% di acqua.

E mi fermo qui.

Fino a non troppi anni fa, di fronte a tali affermazioni, ci si scandalizzava, additando l’autore di ignoranza. Oggi invece l’ignoranza è considerata orgoglio da establishment e chiunque provi a rimettere le cose in ordine, attribuendo fatti e numeri a chi davvero ne ha proprietà, viene tacciato di complottismo.

REALTA’ VS CONSENSO

Insomma la verità non consiste più nella corrispondenza, nell’accordo, tra la realtà e la sua rappresentazione linguistica e concettuale (adaequatio rei et intellectus), ma fra la realtà e il consenso. E questo mi riporta immediatamente al totalitarismo, regime capace di mobilitare le masse nel nome di una ideologia o di una nazione.

TOTALITARISMO

Un modo gentile, totalitarismo, per definire il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, per citarne i più recenti, dove il tentativo di controllare capillarmente la società in tutti gli ambiti di vita, imponendo l’assimilazione di una ideologia era la norma. Il partito che controlla lo Stato non si limita cioè a imporre direttive, ma vuole mutare radicalmente il modo di pensare e di vivere della società stessa. Ed ecco che il collegamento ad alcuni movimenti politici e guru che si ergono a motivatori diventa automatico.

In fondo la base del totalitarismo recente, non è il prodotto di élite culturali, di conoscenza e sapere ma di grande masse, come ben scriveva Elias Canetti in “massa e potere”, quasi 60 anni fa.

Insomma l’irruzione di internet ha agevolato un fenomeno che ha sostituito la conoscenza e il ragionamento critico con l’informazione di massa, vorace e poco controllabile, capace di manipolare e di rallentare la riflessione. Meglio cercare il consenso piuttosto che la verità.

NUOVA IGNORANZA

Non per nulla si parla di Nuova ignoranza, un fenomeno che premia la performance e dove la trasmissione del sapere diventa occasionale e deformata.  Il presunto pubblico colto si fa padrone della conoscenza, grazie al dilagare di libri di massa dai contenuti incerti e di indubbio valore e alle prediche che si ergono da palchi dove le star di turno accendono gli animi attraverso tecniche manipolatorie. Scambiate per sapere.

Essere conosciuti da chi non si conosce è la nuova definizione di fama.

SO DI NON SAPERE

Il rimedio è semplice: partire dal presupposto di non sapere, e di farsi spiegare le cose che da chi le vive, le conosce per davvero e poi procedere con approfondimenti e interpretazioni. Credere di sapere più degli altri (e quali altri…), la nuova ignoranza appunto è “una forma di prevaricazione culturale, aggressiva quanto il colonialismo”, dice Maurizio Bettini, sapiente filologo, latinista e antropologo italiano che consiglio a tutti di seguire. Attenzione: non è un guru, è “solo” un professore, colto e saggio… non imbonisce, non motiva, ma appassiona. E genera Cultura. Quella vera, di una volta. Priva di effetti collaterali dannosi.

Se SENTI gli ZOCCOLI PENSI al CAVALLO, non alla ZEBRA. A meno che non VIVI in AFRICA

“Se senti gli zoccoli pensi al cavallo non alla zebra”. A meno che non vivi in Africa.

Non sempre, di fronte a un problema, cerchiamo la spiegazione più semplice, eppure nella stragrande maggioranza è quella giusta, un chiaro riferimento al “rasoio di Occam”.

E’ di questo che parlo con alcuni studenti, persi nel cercare soluzioni dimenticandosi della semplicità.

RASOIO DI OCCAM – PRINCIPIO DI ECONOMIA

Il rasoio di Occam, chiamato anche “principio di economia” suggerisce di fare a meno delle ipotesi superflue quando si cerca di spiegare un fenomeno, in altre parole: a parità di elementi la soluzione di un problema è quella più ragionevole.

Insomma, inutile complicare una teoria o aggiungere elementi a una discussione se non serve ad arrivare alla soluzione o a rendere edificante qualcosa.

Il principio di Occam, per cui il suo postulatore venne accusato di eresia dalla Chiesa, si usa indistintamente in trattati filosofici, per questioni quotidiane ma anche su grandi temi scientifici, ad esempio la natura e la composizione dell’universo.

PSEUDOSCIENZE E REALTA’

Il mancato uso è una caratteristica delle pseudoscienze, in tutti quei casi in cui si cerca di spiegare un fenomeno più o meno misterioso ipotizzandone altri di ancora più improbabili.

Per esempio, non è ancora del tutto chiaro come gli antichi Egizi riuscirono a costruire le piramidi: è possibile ipotizzare che lo abbiano fatto grazie a tecnologie avanzate fornite loro da civiltà aliene, ma seguendo il principio di economia è preferibile supporre che ci siano riusciti da soli sfruttando in modo ingegnoso le conoscenze dell’epoca.

In questo modo non siamo obbligati a ipotizzare una serie di condizioni particolari – che gli alieni esistano, che siano riusciti ad arrivare sulla Terra, a comunicare con gli Egizi e poi a scomparire senza lasciare tracce – e possiamo spiegare lo stesso fenomeno, le piramidi, facendo ricorso a meno ipotesi.

UTILITA’ DEL RASOIO DI OCCAM

L’importanza del rasoio di Occam sta nel costringerci a distinguere tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo. Nel vietarci di andare oltre la più semplice descrizione possibile e ci aiuta a stare alla larga dalle conoscenze presunte e a capire dove le nostre teorie sono incomplete e hanno bisogno di essere migliorate.

Questo però non vuol dire che possiamo usare il rasoio come arma impropria (che qualcuno chiama ironicamente “la motosega di Ockham”) per fare a pezzi le teorie che non apprezziamo, magari perché non rispondono a una definizione arbitraria di semplicità o non condividono i nostri presupposti metafisici.

Qualche volta, specialmente in temi complessi come la politica o l’economia, si assiste a usi spericolati del rasoio di Occam che fanno accapponare la pelle tanto quanto le fallacie delle pseudoscienze, ma in questi casi rientriamo nella propaganda e non nella buona pratica scientifica.

E’ ANDATA a FINIRE che TUTTI quei REGALI non ERANO per ME… Le ASPETTATIVE TRADITE

Aspettative… come a ogni fine anno abbiamo bisogno di crearne di nuove. O meglio è la nostra mente ad esigerlo.

Un recente studio pubblicato su “Nature Communications”  ha dimostrato in che modo il nostro cervello gestisce le aspettative su ciò che sta per accadere e il loro continuo aggiornamento, se vengono disattese.

La mente infatti costruisce continuamente aspettative su ciò che sta per sperimentare. E continuamente deve rivedere queste aspettative, per formarne di nuove. Il team di ricerca della Northwestern University ha individuato le aree cerebrali in cui sono codificati tutti questi meccanismi. In sintesi, il mesencefalo, una parte del tronco encefalico, risponde alla sorpresa, e la corteccia orbitofrontale aggiorna l’informazione.

“L’aggiornamento delle aspettative si ripete continuamente nella nostra vita quotidiana; può succedere per esempio di portare nostro figlio al parco pensando di farlo giocare su un prato verde e di scoprire che è ridotto a una distesa di fango: così registriamo l’informazione e la utilizziamo come aspettativa per il giorno seguente”, ha spiegato Thorsten Kahnt, autore dello studio. “Ogni qualvolta non c’è corrispondenza tra ciò che ci aspettiamo di sperimentare e ciò che sperimentiamo effettivamente, il nostro cervello deve registrare l’errore e aggiornare le proprie aspettative: questi cambiamenti sono fondamentali per prendere decisioni e ora sappiamo dove tutti questi processi si svolgono all’interno del cervello”.

LA SPERIMENTAZIONE

Nel corso della sperimentazione, gli autori hanno mostrato a un gruppo di volontari le immagini di alcuni cibi dolci e salati associando un odore a ciascuna pietanza. Dopo una serie di associazioni corrette, i partecipanti venivano sorpresi da un’immagine non corrispondente all’odore: per esempio, la fotografia di una bistecca mentre sentivano un odore di caramello. Durante il test, gli autori hanno sottoposto i volontari a scansioni di risonanza magnetica funzionale, una tecnica che consente di evidenziare le aree cerebrali che si attivano mentre il soggetto è impegnato in un compito.

I dati hanno mostrato che quando i volontari venivano sorpresi da un odore inatteso, s’incrementava l’attività dei neuroni all’interno del mesencefalo. Inoltre, le scansioni di risonanza hanno mostrato che l’attività della corteccia orbitofrontale codificava l’identità dell’odore atteso nel momento stesso in cui veniva presentato lo stimolo visivo.

L’aspettativa disattesa ci pone in una condizione di frustrazione, se non trova ordine nel caso dell’esperienza. Proprio come avviene nella vignetta dell’alberello di Natale. Saperlo, non cambierà l’ordine delle cose ma ci tranquillizzerà, in fondo si tratta “solo” di pensarne di nuove.

La (DIS)UTILITA’ dell’EFFETTO GREGGE a cui NON SAPPIAMO SOTTRARCI

Provate a immaginarvi soli, all’interno di un aeroporto internazionale di una qualsivoglia metropoli dove, appena varcata l’uscita, ad attendervi c’è… nessuno.

Siete stanchi e disorientati dalle indicazioni scritte in una lingua che se anche conosceste, non è la vostra; dalla folla e dalle luci: quale criterio adottate per decidere la direzione verso la quale dirigervi?

Probabilmente, vi lascerete guidare dall’istinto e seguirete la strada intrapresa dal gruppo più nutrito di persone. Sarete, cioè, vittime inconsapevoli dell’“effetto gregge”, l’istinto innato che ci porta a seguire la massa. Questo effetto prende tecnicamente il nome di principio di riprova sociale: fare qualcosa di riconosciuto come socialmente accettabile soltanto perché la massa, la collettività lo ritiene tale.

La sua validità è ulteriormente confermata da un recente studio condotto dall’Istituto per le Applicazioni del Calcolo alla Sapienza di Roma: a due gruppi di 40 persone è stato chiesto di uscire da un’aula per recarsi in una destinazione sconosciuta a tutti, ad eccezione di una persona all’interno di un gruppo e di cinque persone all’interno dell’altro: dopo alcuni momenti di titubanza iniziale, durante i quali alcuni individui si sono diretti verso i Dipartimenti loro più familiari, l’intera compagine si è accodata agli “infiltrati”, ovvero alle persone che avevano l’aria di sapere esattamente dove si dovesse andare, raggiungendo rapidamente la destinazione finale.

Attraverso l’esperimento è stato possibile dimostrare che nelle situazioni di dubbio e incertezza gli esseri umani tendono a comportarsi come un gregge (da qui la denominazione effetto gregge dell’istinto gregario), ovvero come un grande gruppo di “agenti” che seguono regole elementari e le cui condotte individuali sono influenzate da quelle degli agenti più vicini. In altre parole, quando non si è certi di cosa sia meglio fare, si è spinti ad agire nella stessa maniera in cui ha agito chi è più prossimo.

L’effetto gregge è tanto più probabile quanto più è forte la convinzione individuale di ciascun singolo che il proprio comportamento, seppur omologato, sia il frutto di una libera scelta individuale. “L’unione fa la forza”, insomma, ma a patto che si sia convinti che quella di aggregarsi sia una scelta autodeterminata in assoluta libertà.

ESEMPI QUOTIDIANI

Il meccanismo esiste anche nel mondo animale, è sufficiente guardare come agiscono quando si trovano in una situazione incerta come attraversare un fiume: si mettono in gruppo e lo attraversano insieme e in questo modo hanno maggiore probabilità di sopravvivere. La stessa cosa vale per i pesci quando si raggruppano in modo da formare una grande palla da sembrare un unico pesce gigante in grado di spaventare gli aggressori. Insomma ogni qualvolta si fiuta il pericolo, muoversi in massa garantisce maggior probabilità di sopravvivenza. Questo meccanismo risiede anche nella psiche dell’uomo: se vediamo un gruppo di persone guardare verso l’alto, dentro di noi sentiamo una forza che ci spinge a fare la stessa cosa.

Altri esempi? Cadiamo nella stessa trappola ogni volta che prenotiamo un ristorante o un hotel o compriamo qualcosa on line. La tendenza è acquistare da venditori che hanno un certo numero di vendite alle spalle e diversi feedback positivi: insomma, tutto quello che vogliamo è essere rassicurati. Ecco il motivo per cui i siti aziendali riportano nelle landing page le testimonianze dei clienti. Questa tecnica gioca su due fattori: spinge all’acquisto e parallelamente punta a far sentire il potenziale acquirente intento alla lettura, l’unica persona a non aver ancora provato il nuovo prodotto o servizio, facendo scattare in lui una sorta di senso di inadeguatezza. In sostanza si sfrutta il senso di appartenenza ad un gruppo, ad una community e il gap si può colmare con un semplice (e impulsivo) click.

VANTAGGI DELL’EFFETTO GREGGE

Agire come pecore presenta dei vantaggi? Assolutamente sì. Per quanto riguarda l’aspetto sociale l’istinto gregario, quando correttamente “sfruttato”, consente una migliore gestione delle masse in situazioni di emergenza e di forte afflusso (è sufficiente inserire all’interno dei grandi gruppi dei leader nascosti che sappiano esattamente come comportarsi per far sì che tutti li seguano); per quanto concerne, invece, l’aspetto psicologico individuale, a fare come fan tutti non si sbaglia mai poiché, nel caso in cui le cose dovessero andar bene, si penserà di essere stati intelligenti a uniformarsi (autonomamente, s’intende) e nel caso in cui le cose andassero male, ci si consolerà pensando che non si è stati i soli ad aver sbagliato.