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Ciò che è NON SEMPRE è ciò che APPARE: ed è così che un giardiniere è quasi diventato presidente

C’era una volta un giardiniere analfabeta che per poco non divenne presidente.

Chance, questo il suo nome, è un personaggio triste e curioso, abile in due sole cose: la cura delle piante della villa nella quale è nato e cresciuto per molti anni senza mai uscirne e una spiccata conoscenza dei programmi tv, ai quali assiste con totale abnegazione. La vita di Chance è dominata dai ritmi naturali di una sorta di caos originario: tutto ciò che contava era muoversi nel proprio tempo, come le piante che crescevano.

Costretto, dopo la morte del padrone, a introdursi in un mondo a lui totalmente sconosciuto, quello reale, Chance in una condizione di perenne straniamento, ha un riscontro inaspettato. Affascina uomini d’affari e politici, si impone all’attenzione dei Media, conquista l’alta società fino a venir proposto come candidato alla Presidenza degli Stati Uniti d’America.

Un successo che si basa su un equivoco sistematico: in un universo comunicativo dominato da messaggi schizofrenici che finiscono per cancellare ogni reale informazione, il suo linguaggio perde la letteralità che lo contraddistinguono e viene interpretato in senso metaforico dai suoi interlocutori. Alla sua stupidità corrisponde la stupidità intelligente dei suoi interpreti, che sono costretti per capirlo a dare un senso, seppure improbabile, allegorico alle sue affermazioni.

Alla base di tutti i fraintendimenti che seguiranno, è il primo colloquio fra Chance e il suo ospite Ben, noto tycoon dell’epoca, che gli chiede quale sia la sua occupazione, a creare il precedente unico e inappellabile a cui tutti, inconsapevolmente, si affideranno:

Chance: “Non è facile trovare un posto adatto, un giardino, dove poter lavorare senza interferenze e crescere con le stagioni”. Ben: “un giardiniere! Non è la perfetta descrizione di quello che è un vero uomo d’affari? Chance, che metafora eccellente”.

Tutto quello che ha a che fare con il giardino verrà sistematicamente considerato una metafora del mondo degli affari, della finanza, dell’economia, della politica e delle strategie diplomatiche internazionali.

Chance, grazie a una serie illimitata di equivoci, ha successo, grazie ai suoi discorsi che possiedono, sebbene involontariamente, un forte potere retorico. La storia svela il meccanismo superficiale dell’inganno, in bilico fra genio, successo sociale da un lato e stupidità dall’altro, dove le parti spesso non si scambiano, piuttosto si fondono.

E’ un gioco comunicativo che svela i suoi abissi quello in cui ci porta Chance: dove due tipi di stupidità, quella onesta del giardiniere e quella ostinata degli suoi interlocutori, ci mostrano tutta la fragilità di cui pensiamo sia fatta la realtà. Chance non mente mai, semplicemente racconta l’unico mondo che conosce, quello delle piante. Chi ascolta, lo fa essendo vittima delle più comuni trappole mentali: quella di voler interpretare ciò che viene detto dal giardiniere, a totale proprio vantaggio. Lo spirito critico muore e chi ascolta, in realtà è sordo, se non a se stesso.

Della storia di Chance è stato scritto un libro “Oltre il giardino” e tratto un film. Una vicenda che va seguita, almeno per interrogarsi. E chiedersi ma io so ascoltare davvero?

La REALTA’ è un’ILLUSIONE, sebbene molto PERSISTENTE

C’era un volta un prigioniero incatenato, dalla nascita, nelle profondità di una caverna. Impossibilitato a muoversi, poteva guardare solo il muro che aveva di fronte.

Alle sue spalle un fuoco acceso, al di sopra di un muretto, illuminava l’interno proiettando le ombre della realtà esterna. L’uomo non poteva far altro che guardare tali ombre come se fossero l’unica realtà conosciuta e conoscibile. Di fatto non aveva la minima idea di come fossero fatte veramente le cose: così, legato alle apparenze, anche gli uomini pensano per impressioni fugaci e per sentito dire, credendo che le opinioni siano realtà.

Riuscito a liberarsi, gettò lo sguardo fuori dalla caverna e vide il mondo reale, illuminato dal sole; tornato a liberare gli altri prigionieri delle ombre, non venne creduto e così venne ucciso.

Seppur parafrasato è il mito della caverna di Platone, una metafora della conoscenza umana, dei suoi gradi e dalla sua fallacia. Del fatto che conosciamo ben poco la realtà e ciò che crediamo di sapere è parziale, annacquato di credenze e convinzioni.

Crediamo che la presenza di detenuti stranieri nelle carceri sia doppia rispetto al dato reale: solo il 7 per cento delle persone ritiene, a ragione, che il numero di omicidi sia diminuito rispetto inizio del secolo. E solo il 17 per cento pensa che le vittime del terrorismo siano in numero inferiore negli ultimi 15 anni rispetto ai 15 anni precedenti l’attacco alle Torri Gemelle.Un quinto delle persone a livello globale crede che i vaccini possano provocare l’autismo o che nel mondo il 34% delle persone sia diabetico, quando la percentuale reale è ferma all’8%.

Mediamente si ritiene che l’84% dei propri connazionali possegga uno smartphone, mentre la percentuale reale è ferma al 58%. E lo stesso vale per gli account social: ognuno ritiene in media che nella propria Nazione abbia un account Facebook il 75% delle persone, quando il dato corretto sarebbe il 46%. Infine, i veicoli a motore ogni cento abitanti sono stati stimati in 66, ma sono solo 46.

Nella prima edizione del sondaggio Perils of perception, 4 anni fa, l’Italia si era classificata come il Paese più incapace al mondo nel fornire stime corrette tra i 14 Stati coinvolti. Nel 2017 ci siamo classificati al 12° posto su 38 Stati, ma conserviamo il triste primato di maglia nera d’Europa. Il cosiddetto indice di ignoranza, utilizzato da Ipsos per ordinare i Paesi in base all’accuratezza delle stime, ci vede posizionati tra Cile e Argentina, in una classifica dominata (in positivo) da Svezia, Norvegia, Danimarca e Spagna.

Concentrandoci sugli italiani, dove sbagliamo le nostre stime? Solo l’8% ritiene che dal 2000 gli omicidi siano diminuiti, nonostante il calo sia stato drastico (-39%). E appena il 31% degli italiani afferma giustamente che i morti per terrorismo sono calati dopo l’11 settembre 2001. In compenso, però, riteniamo che le nostre carceri siano popolate al 48% da stranieri, quando il dato reale è del 34%. E crediamo che il 17% delle ragazze italiane diventi madre tra i 15 e i 19 anni, sovrastimando il fenomeno delle gravidanze tra teenagers di 30 volte (il dato reale è di appena lo 0,6%).

La metà degli italiani è convinta che il nostro Paese sia tra i primi tre consumatori mondiali di zucchero, e il 13% crede che siamo sul podio per consumo di alcol pro capite (mentre siamo in entrambe le classifiche al 18° posto). Notevole anche il dato secondo cui siamo convinti che il 91% degli italiani possegga uno smartphone, contro un dato reale del 66%. Siamo invece eccellenti nello stimare quante persone credano nel Paradiso e nell’Inferno, mentre sottovalutiamo il numero di persone che si dichiarano credenti in Dio (56% stimato contro 76% reale) e che affermano di godere di buona salute (52% contro 66%). Quest’ultimo dato indica anche che percepiamo la salute collettiva in modo peggiore di come sia percepita individualmente.

La tendenza a livello internazionale è la rassegnazione al peggio, spesso alimentata dalla percezione che ci siano eventi negativi fuori scala rispetto alle nostre reali possibilità di intervento. A cui si unisce il fenomeno del psychic numbing (insensibilità psichica), che ci porta a essere sotto shock per la morte di un bambino siriano e contemporaneamente a ignorare centinaia di migliaia di morti nella stessa regione, solo perché la notizia è stata presentata in modo diverso.

Volenti o nolenti siamo prigionieri in uno spazio dove scambiamo per realtà la sua proiezione. A differenza di Platone che non credeva possibile una conoscenza profonda delle cose se non in uno spazio fisico al di là del cielo chiamato Iperuranio, noi abbiamo molti più strumenti per liberarci dalla prigione delle ombre. Si chiama consapevolezza, sophia, confronto, ricerca. Un viaggio infinito verso la verità inconfutabile, dove le opinioni si frammentano di fronte alla sete di sapere.