Legge di FALKLAND: se NON vuoi prendere una DECISIONE, NON prenderla

Ci sono situazioni durante le quali tutto ciò che vorremmo fare è posticipare la presa di una decisione. Non decidere ci sembra, in quel frangente, l’unica cosa da fare. In fondo, ce lo consiglia anche la legge di Falkland che recita: “Se non vuoi prendere una decisione, non prenderla”.

Non fa una piega.

Forse.

In realtà, anche non decidere, è di fatto una decisione.

Spesso, procedere a una scelta è difficile per diverse ragioni. Per citarne un paio, una è legata al timore di non fare la scelta migliore. Avrai sentito, al riguardo, parlare di FOBO (fear of a better option), la paura che scatta quando si deve scegliere fra diverse opzioni all’apparenza ugualmente valide.

Quando le informazioni sono troppe si genera un sopraccarico cognitivo che porta, in molti casi, a procrastinare la decisione o lasciare che siano altri a scegliere per noi.

Un altro fattore che può minare il processo decisionale è la paura di dover fare i conti con effetti e conseguenze irreversibili e negative causati da una decisione errata. Si tratta, di fatto, di fare una valutazione fra guadagno e perdita. Il costo di una scelta, in questa ottica, corrisponde al valore della migliore alternativa scartata. E proprio l’alternativa scartata torna con le sue caratteristiche attraenti e positive quando abbiamo operato la nostra scelta, dandoci la percezione di essere vicini al fallimento. Come canta Passenger, nel brano Let her go: “Only know you love her when you let her go”, ovvero: “Capisci di amarla solo quando l’hai persa”.

COSA HA A CHE FARE LA LEGGE DI FALKLAND IN TUTTO QUESTO?

L’utilità della legge di Falkland è quella di spingerci a pensare in modo più critico prima di decidere. Spesso, per toglierci un problema, decidiamo senza riflettere sulle conseguenze o non decidiamo affatto ma prima o poi la nostra immobilità ci porterà il conto.

La legge di Falkland inoltre ci esorta ad ascoltare l’istinto soprattutto se ti invia segnali. Anche perché l’istinto non è magia ma l’esperienza che si fa voce. E poi, per quanto banale: una decisione andrebbe presa quando si ritiene che sia corretta. Così facendo, anche se si rivelerà sbagliata, non avremo rimpianti e saremo in grado di imparare dall’errore.

Ma se né Kidlin, di cui ho scritto nella scorsa newsletter, né Falkland ti sono di aiuto, ecco qualche consiglio che può comunque tornarti utile.

E ALTRI 8 CONSIGLI

Scegli sempre, anche non scegliere è una scelta. Come già scritto, non decidere è una decisione che ti porta a stare dove sei. Chiediti: È quello che voglio? L’importante è che tu ne sia consapevole.

Riduci le possibilità di scelta. Esplicita il problema e procedi a delineare pro e contro per ogni alternativa, eliminando quelle che non ti soddisfano o non sono strategiche rispetto all’obiettivo che vuoi raggiungere. Non sempre e non tutte le opzioni sono utili.

Chiediti: «Cosa succederebbe se sbagliassi?». Quale potrebbe essere lo scenario peggiore? È davvero così drammatico? Di solito quando ti fai questa domanda trovi anche le possibili soluzioni a un eventuale errore. «Se sbaglio farò così…». Pensare un’alternativa fa sentire più sicuri.

Non rimandare. Procrastinare ti fa sentire meglio solo all’inizio perché pensi che prima o poi prenderai una decisione, ma non ora e intanto speri che le cambino. Di solito succede nelle relazioni, e si sta in attesa che qualcosa accada. Se a volte dormirci su può aiutare a prendere una buona decisione, ci sono situazioni in cui rimandare equivale a non vivere il presente.

Non aspettare che tutto sia perfetto. A volte le soluzioni sono intermedie, richiedono molto impegno, ma ti consentono di fare delle scelte.

Si può spesso tornare indietro. Sii sincero con te stesso e cerca di capire se la scelta che dovrai operare ti permetterà o meno di rettificare, modificare delle azioni strada facendo o se una volta presa non ti sarà più possibile tornare indietro. Raramente qualcosa è definitivo.

Immagina di aver già scelto. E guarda che effetto e che conseguenze potrebbe avere l’alternativa che hai scelto. Annota le tue sensazioni, cogli le tue perplessità, usa carta e penna e pondera le opzioni.

Non farti condizionare dagli altri. Più una scelta è importante per te meno persone devi coinvolgere. Confrontati solo con cui può dare del reale valore aggiunto, altrimenti assumiti la tua responsabilità decisionale.

Per quanto difficile sia decidere, è una fatica che vale la pena fare. O per usare le pare di Jean Paul Sarte: “La cosa essenziale nella vita è scegliere. Se ti tolgono la possibilità di farlo è come se ti togliessero la libertà”.

Legge di KIDLIN: per trovare una SOLUZIONE a un PROBLEMA troppo difficile da RISOLVERE

Ti sei mai trovato nella situazione di avere un problema che sembrava troppo difficile da risolvere?

La domanda è retorica. Un po’ tutti ci siamo trovati a dover gestire un problema che, a prescindere dalle soluzioni, dal tempo e dalle energie profuse, non siamo riusciti a risolvere.

Quando ci si trova bloccati su un problema o quando quest’ultimo è vago, sfaccettato e poco chiaro, ricorrere alla legge di Kidlin può essere utile.

La legge di Kidlin è un principio di risoluzione dei problemi che dice: “Se scrivi chiaramente il problema, la questione è risolta a metà”.

Questa legge prende il nome da Kidlin, un personaggio immaginario in un romanzo di James Clavell che utilizzò questa tecnica in diverse sue sfide.

COME APPLICARE IL PRINCIPIO DI KIDLIN

Definisci il problema: il primo passo è riconoscere un problema esistente o l’incapacità di raggiungere l’obiettivo desiderato. È importante avere consapevolezza sulla natura e sulla portata del problema, nonché necessario rispondere al motivo per cui il problema è percepito tale.  Quindi occorre descriverlo in modo semplice e chiaro, evitando affermazioni vaghe o generiche, come “Sono infelice” o “Ho bisogno di più soldi”. Cerca invece di essere specifico e concreto: “Non sono soddisfatto del mio lavoro attuale perché non corrisponde alle mie capacità e ai miei interessi” oppure “Ho bisogno di più soldi per saldare i debiti e risparmiare per comprarmi un appartamento”.

Analizza il problema e determina le cause: il passo successivo è scomporre il problema in parti più piccole e semplici così da trovare la causa principale. Poniti domande del tipo: “Quali sono le cause del problema?”; “Quali sono gli effetti del problema?”; “Quali sono i vincoli o i limiti del problema?”; “Quali sono le ipotesi o le convinzioni alla base del problema?”; “Quali sono gli obiettivi o i risultati desiderati per risolvere il problema?”; “Da dove viene esattamente questo problema?”; Quali sono le sue dimensioni e il grado di impatto, qual è il livello di priorità?”.

Definisci gli obiettivi.Cosa si otterrà una volta risolto il problema? Che tipo di risultato ti aspetterà una volta raggiunto l’obiettivo? Immagina la sensazione che proverai quando il problema sarà risolto. Per natura, programmiamo la nostra vita in base a ciò che ci aspetta alla fine della giornata. Agiamo in base al rapporto profitti-perdite.

Genera soluzioni. A questo punto occorre fare il brainstorming delle possibili soluzioni per ciascuna parte del problema. Non giudicare o valutare le tue idee in questa fase; ma scrivine il maggior numero possibile. Sii creativo e aperto.  Prova a guardare il contesto da diverse angolazioni e prospettive.

Valuta le soluzioni. Valuta le risposte e scegli quella migliore per ciascuna parte del problema. Considerare fattibilità, efficacia, efficienza, costi, rischi e fattori di impatto.

Implementa le soluzioni. Verifica se la soluzione è fattibile. Ci sono domande a cui è necessario rispondere per garantire la fattibilità: “Può essere implementata entro un lasso di tempo accettabile?”; “Si adatta a un piano scalabile?”; “È efficace, affidabile e realistica?”; “E’ tecnicamente possibile?”.

Dopo aver trovato una risposta alle domande, scegli la soluzione. Imposta scadenze e traguardi per ogni azione per misurare i progressi. Uno degli elementi più importanti è avviare un rigoroso processo di follow-up.

Affinché il processo sia applicabile in modo sano è necessario procedere costruendo un meccanismo di feedback.

Scrivere il problema aiuta a chiarire il pensiero, focalizzare l’attenzione, organizzare le informazioni e comunicare le idee. Consente inoltre di ridurre lo stress, aumentare la fiducia e motivare l’azione.

A questo punto, non ti rimane che applicare la legge di Kidling ogni qual volta un problema è troppo complesso o non riesci a trovare la soluzione.

7 marzo 2024 – Workshop “Strategie per rendere più facili scelte complesse in famiglia e sul lavoro” – Coldiretti Cuneo

7 marzo 2024 – Workshop “Strategie per rendere più facili scelte complesse in famiglia e sul lavoro” – presso la sede provinciale della Coldiretti Cuneo

BOSS in INCOGNITO NON è la SOLUZIONE ai PROBLEMI (in AZIENDA)

Facendo zapping, mi sono accorta che Boss in incognito – un reality game che mette a confronto il capo di una fabbrica con i dipendenti – è ripartito sui canali Rai. Più nello specifico, al capo di una importante realtà imprenditoriale, viene camuffato l’aspetto e fatta assumere una identità fittizia così da mescolarsi ai dipendenti e scoprire cosa pensano dell’azienda.

Il successo di un programma televisivo però non sempre è proporzionale alla sua utilità nel risolvere problemi. Per risolvere un problema occorre capire qual è il problema.

Se informazioni e tempo scarseggiano, si diventa vittime di decisioni irrazionali, una tra tutte l’euristica della disponibilitàche fa considerare eventi con una forte componente emotiva, più decisivi e probabili.

Eppure…

Segretezza: elemento chiave di Boss in incognito. È necessaria?

Mere observation effect: la semplice osservazione di un fenomeno lo modifica. Se sappiamo esserci un vigile modereremo la velocità alla guida. Ma l’effetto induce una modifica esclusivamente in quei comportamenti che sappiamo essere osservati e per i quali ci saranno conseguenze. Non è questo a rendere un comportamento, virtuoso e sostenibile nel tempo.

Campionamento sporadico, basato sulla ricerca di eventi eclatanti. L’approccio non è dettato da una scelta metodologica ma dall’esigenza di segretezza; se vogliamo mantenere l’incognito, dobbiamo prevedere che uno stesso “agente” non possa osservare una situazione più di una volta.

L’unico approccio utile è mantenere il senso della prospettiva e basare le decisioni su evidenze certe e numericamente rappresentative. Nonché cercare comportamenti positivi da estendere a tutti e non additare ciò che è negativo.

Soprattutto perché se ciò che è considerato negativo non lo è in percentuale maggioritaria, evidenziarlo servirà solo a farlo percepire come “la norma” e quindi invoglierà a uniformarsi. Questa è anche una delle ragioni che spiega il fallimento di tante campagne sociali, come dimostra l’economia comportamentale.

Cosa ne pensate?