Tag Archivio per: #brand

RENDI UMANO il BRAND, per CONNETTERTI con i tuoi CLIENTI

Ci siamo affezionati a Bibendum, a Topo Gigio, a Siri ed Alexa… perché gli oggetti resi umani, attirano così tanto la nostra attenzione?

Dare tratti umani a oggetti inanimati è un’ottima strategia per connettersi con i consumatori, nonché uno dei segreti del successo di un brand. E anche se difficilmente ne siamo consci, è un comportamento che mettiamo in atto, autonomamente, fin da bambini.

Sto parlando dell’antropomorfismo, la scienza che spiega come e perchè abbiamo la necessità di umanizzare gli oggetti inanimati. Un comportamento innato espresso fin dall’infanzia quando attribuiamo personalità a bambole, camion e giocattoli in genere.  Anche la vita adulta ne è piena: i porti sono affollati di barche dal nome di persone, così i disastri naturali, dagli uragani, ai terremoti.

CHATBOT UMANIZZATI

L’antropomorfismo è così efficace che lo si è portato a livelli estremi soprattutto nel business, unitamente all’I.A: un esempio sono i Chatbot avanzati, come Siri di Apple, Alexa di Amazon e Cortana di Microsoft. Grazie all’immediatezza delle loro interfacce, è plausibile che i clienti spendano sempre più tempo impegnati in conversazioni con l’AI di quel brand che con qualsiasi altra entità, inclusi i dipendenti dell’azienda.

Se il trend rimane tale, Siri, Alexa e Cortana, e le loro relative “personalità”, potrebbero diventare più famose delle società che le hanno originate. Ognuno con proprie caratteristiche e personalità.

Alexa è sicura di sé e premurosa: non risponde ironicamente quando viene usato del linguaggio scurrile e non ricorre allo slang. Siri è sfacciata e brillante. A una domanda circa il significato della vita, potrebbe rispondere: “Trovo strano che tu lo chieda a un oggetto inanimato”. Siri può diventare gelosa, soprattutto quando gli utenti la confondono con un altro sistema di ricerca vocale. Quando qualcuno incorre in questo errore, la sua risposta è piccante: “Perché non chiedi ad Alexa di fare quella chiamata per te?”. Questo stile è in linea con il marchio Apple, che ha da tempo sposato l’individualità come valore vincente, in contrapposizione al conformismo. E infatti, ha dotato Siri di una personalità riconoscibilissima che ricorda più una persona che un prodotto.

GIOCO D’AZZARDO

L’antropomorfismo ha trovato campo fertile anche nel campo del gioco d’azzardo: è dimostrato che riconoscere alle slot machine dei casinò proprietà simili a quelle umane, aumenta l’attitudine a interagire con queste, promuovendo una condotta di gioco più rischiosa.

La tendenza ad antropomorfizzare le cose inanimate, cioè trattarle come se fossero persone, rappresenta un meccanismo che si è sviluppato per aiutarci a sopravvivere in un mondo imprevedibile, ma che allo stesso tempo può mandarci in confusione e renderci maggiormente vulnerabili.

Non solo antropomorfizzare le slot alimenta il desiderio di giocare, indipendentemente dal fatto di farlo con soldi veri, ma aumenta l’eccitazione emotiva che porta a giocare con maggiori perdite e più tempo in generale. Le persone sono più inclini a giocare quando hanno a che fare con una mente “simile alla loro”, e non quando si trovano semplicemente di fronte a una macchina che opera meccanicamente e matematicamente.

Dietro la tendenza ad antropomorfizzare, si nascondono alcune insidie: l’antropomorfizzazione, infatti, potrebbe guidare il nostro modo di agire in maniera errata. Di fronte a slot machine con tratti antropomorfi le persone timide mostrano più diffidenza e quelle con più fiducia in se stesse, dimostrano la tendenza a perdere completamente il senso della casualità intrinseca nel gioco. I giocatori più sicuri potrebbero percio’ essere facilmente raggirati, cadendo nella trappola di illusoria umanità della macchina.

Un fenomeno simile si riscontra nei mercati azionari: gli andamenti dell’economia virtuale vengono spesso descritti con tratti antropomorfi finendo per creare false credenze. In definitiva, se da una parte la tendenza ad antropomorfizzare e’ positiva e ci aiuta ad affrontare l’imprevedibilita’ del mondo, è vero anche che abusarne può significare discostarsi troppo dalla realtà: se una macchina ci fa “l’occhiolino”, è meglio non credergli del tutto. Rischieremmo di trovarci con il portafoglio vuoto.

IL PIACERE DELLA PAURA

“L’ultimo uomo rimasto sulla Terra siede da solo in una stanza. Qualcuno bussa alla porta”.

Spaventati ? 
o
Divertiti ?

La paura è una emozione interessante e non del tutto spiacevole. Ricordate il gelido brivido lungo la schiena durante la visione di un film dell’orrore o la lettura di un incipit come quello che proposto qui, in apertura (erroneamente attribuito a Stephen King, anzichè a Fredric Brown): un brillante esempio di come usare la suspense nello spazio di un respiro.

Quel brivido è paura e l’essere umano adora essere spaventato.

Per quanto appaia illogico, c’è la biologia alla base della attrazione verso la paura. La paura stimola la secrezione di adrenalina, scatenando il riflesso primordiale del “combatti o fuggi”. Riflesso che a sua volta produce epinefrina, un altro ormone, responsabile della sensazione di piacere estremo.

Il sangue affluisce ad arti e muscoli, privandone il cervello e rendendoci incapaci di pensare lucidamente: la paura è un persuasore molto efficace. Un esempio? L’abuso di psicofarmaci, medicine, detergenti antibatterici e via dicendo. Spesso l’acquisto del prodotto (antidoto) è per il nostro cervello l’unico e veloce modo di liberarsi di quell’emozione.

Pensiamo a ciò che ci spaventa: perdere il lavoro, non riuscire a pagare il mutuo, essere lasciati, la solitudine, non avere amici, non essere all’altezza, ammalarci di cancro, guidare, volare, l’effetto serra, il buio, il virus della mucca pazza, ingrassare, perdere i capelli, il mercurio nel pesce, gli ormoni nella carne, il terremoto, non essere al sicuro, che i nostri figli vengano rapiti, non essere alla moda, non essere sufficientemente intelligenti, essere noiosi, venir dimenticati e chi più ne ha più ne metta…

Molti brand sfruttano (generando e amplificando) queste ed altre innumerevoli paure, quelle che gli antropologi chiamano “paure panoramiche”, spingendoci a comprare ogni sorta di “antidoti”. Avete presente il gel igienizzante per le mani (i cui slogan assicurano di proteggerci dal contagio di qualsiasi germe)?

La spinta all’acquisto l’hanno data la paura di contrarre la SARS (la sindrome respiratoria acuta grave) e l’influenza suina (causata dal virus H1N1), eppure i gel antibatterici non prevengono nè la suina nè la SARS. Entrambi i virus infatti si propagano per via orale (tramite starnuti e tosse delle persone già infette), nonostante questo l’idea di un contagio invisibile e potenzialmente mortale ha scatenato una vera e propria mania per gli antibatterici…

Ben venga dunque la paura e anche se da un lato è utile perchè ci coalizza contro un nemico comune, non dimentichiamo che è allo stesso tempo capace di creare legami in modo perverso quanto piacevole (l’acquisto libera, ricordate, l’ormone della gratificazione…).

Buon spavento a tutti