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ENNEAGRAMMA: la CHIAVE per CONOSCERE meglio SE STESSI e gli ALTRI

C’è uno strumento, a me particolarmente caro, a cui ricorro con la perseverante tenacia che trasforma l’eccezione in quotidiano. Lo studio (e inconsciamente applico) da decenni; mi ha permesso di colmare lacune del mio sapere, capire meglio le persone, in primis, me stessa. Oltre i comportamenti e le decisioni. E’ l’Enneagramma.

Tecnica di indagine profonda dell’essenza dell’essere umano, è rappresentata da un simbolo: un esagramma e un triangolo equilatero dialoganti tra loro, dove ogni vertice è numerato dall’1 al 9. Le numerazioni corrispondono a 9 tipologie psicologiche-caratteriali, dette basi, le quali entrando in relazione tra loro descrivono risposte comportamentali ben precise e che scaturiscono in modo automatico di fronte a specifici stimoli esterni.

L’Enneagramma può essere una modalità di accesso al nostro inconscio, uno spunto di riflessione sui comportamenti che attuiamo verso noi stessi e gli altri, rendendoci più consapevoli e meno vittime dei nostri automatismi. Un viaggio dentro noi stessi che se ben utilizzato, può renderci persone migliori.

La sua applicazione oggi è tra le più svariate, non solo più a scopo introspettivo ma anche per l’ ottimizzazione del guadagno, essendo sfruttato nel marketing e nelle Aziende.

Ogni individuo appartiene ad una famiglia psicologica fin dalla nascita, caratterizzata da particolari talenti e da altrettante fragilità, ed è stato osservato come per ogni tipologia ci siano malattie più facilmente collegabili, dunque delle tendenze psicosomatiche e dei grandi fruttuosi talenti.

Non è semplice individuare la propria base originale (l’enneatipo), l’ambiente e ciò che accade condiziona le nostre risposte e i nostri comportamenti, ma non è impossibile. Anzi è un bel viaggio dentro se stessi che consiglio a tutti di fare. L’Enneagramma è una mappa delle emozioni e dei comportamenti: una volta che ci si è approcciati seriamente, difficilmente se ne potrà fare a meno.

L’ appartenenza a una famiglia psicologica dipende dalla nostra risposta ai piccoli grandi traumi subiti durante l’infanzia (o nel periodo fetale); per garantirci la sopravvivenza infatti, attuiamo fin dal principio una serie di comportamenti difensivi, consolidando poi quelli che hanno ricevuto la migliore risposta e che ci hanno garantito ciò di cui avevamo bisogno, fino a trasformarli in veri e propri automatismi inconsapevoli. E ci svela così, perchè alla fine sbagliamo sempre nello stesso modo, cadiamo sempre negli stessi errori e nelle stesse routine.

I 9 ENNEATIPI IN UN MINUTO

Enneatipo 1. Dotato di grande testardaggine e costanza, il suo talento consiste nella ricerca della PRECISIONE, allo scopo di evitare a tutti i costi l’UMILIAZIONE. Questa è la sua paura più grande, per evitare la quale è costretto a diventare “perfetti”. Severissimo con se stesso, pretende di non sbagliare, e non riesce ad accontentarsi degli obiettivi raggiunti, poiché tutto è sempre migliorabile, anzi, perfezionabile.

Enneatipo 2. Ha il talento della DONATIVITÀ per evitare l’ ABBANDONO. Per non sentire tale sensazione la persona fa di tutto per divenire indispensabile, amorevole, accondiscendente, per cui impara molto presto a percepire le esigenze degli altri. Studia i soggetti e crea una co–dipendenza fornendo loro ciò che desiderano ancor prima che vi sia una richiesta.

Enneatipo 3. Ha il talento della PRAGMATICITÀ: la capacità di adattarsi ad ogni situazione e di entrare facilmente in relazione con gli altri, per scappare dalla paura di vivere il DISPREZZO.

Enneatipo 4. Ha il talento dell’ORIGINALITÀ per evitare ad ogni costo l’ OMOLOGAZIONE. Non vorrebbe appartenere a nessuna famiglia psicologica, si sente “oltre” ogni classificazione, guardando il mondo con occhi esterni e distaccandosi da esso, sperando che la realtà sia ben altro da ciò che il mondo mostra. Ricerca l’autentico e l’ assoluto.

Enneatipo 5. Ha il talento della COMPETENZA che acquisisce fin dalla giovane età tramite una grande capacità di osservazione. E’ solitario, non può permettersi di essere RICATTATO emotivamente, scappa da questo, dai compromessi fatti per il piacere di un altro, per conquistare l’amore altrui, va approcciato delicatamente con un grande rispetto verso la sua privacy. Tutto ciò che è esagerato emozionalmente lo irrita, è molto legato alla logica e ha una grande volontà di capire e conoscere le cose, ma si annoia ad interagire con chi non capisce subito le cose.

Enneatipo 6. Il talento è la PERSEVERANZA. E’ tranquillo quando fa il proprio dovere, quando sa con chiarezza ciò che deve fare, senza AMBIGUITÀ che è ciò da cui fugge. Ama le cose concordate, sa perdonare ma togliendo la fiducia. Non gli interessa fare il meglio, ma il giusto, il suo dovere, l’ affidabilità è il suo punto di forza.

Enneatipo 7. Ha il talento dell’ENTUSIASMO, poiché teme la LIMITAZIONE. Ha bisogno di fare ciò che sente, ciò che vuole, ma non attua la ribellione del 4 o la prepotenza dell’8, bensì strategicamente attiva la seduzione simpatica. Usa la furbizia per evitare la limitazione, prende in giro gli altri ma anche se stesso ironicamente. Tiene lontane regole e disciplina.

Enneatipo 8. Tende a provocare per evitare il MALTRATTAMENTO e fa in modo che gli altri lo rispettino facendo il bulletto già da bambino o provocando. Non prova senso di colpa nel suo comportamento (cosa che invece accade al 6), ha bisogno di mostrarsi duro con un’iper difesa sotto forma di attacco.

Enneatipo 9. Ha grande capacità di MEDIAZIONE, conquistata per sfuggire dal CONFLITTO. Può somigliare al 5 poiché non desidera stare sotto i riflettori, ma con una motivazione diversa, che non ha a che fare con la competenza, bensì con la pace. Essere lasciato in pace, evitare il confronto, lo scontro, rendendosi invisibile. Non si ribella, non reagisce, e quando ci sono delle decisioni da prendere si fa scegliere dagli eventi.

Se l’Enneagramma ti affascina, puoi scoprirne di più il 4 aprile a Mantova: https://www.fondazionemazzali.it/corsiconvegni

 

 

PERCHE’ RIMANDIAMO A DOMANI, CIO’ CHE DOVREMMO FARE OGGI? Pigrizia e scarsa volontà non sono le risposte giuste!

Come al solito non hai voglia di studiare… di allenarti… di lavorare… Frasi trite e ritrite che ci siamo sentiti dire e che abbiamo rivolto un numero indefinito di volte…

Gli altri si aspettano tante cose da noi e noi di riflesso facciamo lo stesso con chi ci circonda, con chi veniamo in contatto, con chi viviamo e lavoriamo giorno dopo giorno. Spinti da quella orrenda frase che ci rincorre fin da bambini puoi fare di più.

In azienda, persone di tutti i ruoli procrastinano la consegna di progetti, mancano appuntamenti importanti e arrivano tardi laddove è considerato sacrilego. E così in università: raramente gli studenti consegnano elaborati rispettando la scadenza. Una volta ho avuto una studentessa che ha perso due anni per consegnare la tesi.

Pigrizia, scarsa volontà? No. Assolutamente no. O meglio fino a non troppo tempo fa pensavo anch’io fosse così…

Sono una comportamentista, quindi sono interessata (ossessionata è più corretto) a ciò che guida i comportamenti e le scelte umane. Quando si cerca di anticipare le azioni di un soggetto guardare il contesto è più predittivo che rifarsi all’intelligenza o ad altri tratti della personalità (https://psycnet.apa.org/record/1979-28632-001)

Così quando qualcuno non riesce a stare nei tempi, ho imparato a chiedermi: Quale situazione lo ha rallentato o bloccato? Cosa gli è mancato? Quali ostacoli che non vedo gli impediscono di agire?

Con il tempo ho imparato che ci sono sempre degli ostacoli che ci limitano, ecco perchè è sbagliato gridare alla cattiva volontà o alla pigrizia, se prima non si è analizzato il contesto.

Di fronte a un comportamento di una persona che non rispetta le nostre aspettative, possiamo comportarci in due modi: giudicare o cercare di capire. Fra le due è molto più semplice giudicare e additare i procrastinatori per il loro cattivo comportamento. Rinviare un progetto riporta facilmente all’idea di pigrizia, almeno a una analisi superficiale. Spesso lo pensano così anche coloro che procrastinano… devi fare qualcosa, sei un fallimento, un pigro…

Da decenni gli studi psicologici spiegano la procrastinazione non come un effetto collaterale della pigrizia, come dimostrano tra l’altro anche molte persone di successo che hanno raggiunto risultati sopra la media procrastinando: (https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/0092656686901273).

La procrastinazione è un processo esistenziale più profondo e complesso di quanto appare. E di come ci piace bollare. Un articolo di Charlotte Lieberman bene inquadra l’attitudine seriale a rimandare, ovvero la relazione complicata tra noi e le nostre emozioni.

PERCHE’ PROCRASTINIAMO?

 

Ci spiace spiegare pigrizia, negligenza e scarso senso del dovere (“Ce la potrebbe fare… ma non si applica!”), quale risposta a una cattiva gestione del tempo, a una scarsa pianificazione delle attività, a una insufficiente efficacia nella risoluzione dei problemi (“Ce la potrebbe fare… prova ad applicarsi… ma lo fa male!”).

Eppure ciò che caratterizza la procrastinazione non è solo l’atto di rimandare un’attività… ma anche la disturbante percezione emotiva che ne consegue: la sensazione che stiamo andando contro ciò che ci suggerisce il buon senso. Di fatto è un “auto-sabotaggio”. Inizialmente ci solleva dall’ansia, poi non ci fa sentire a posto con noi stessi.

Procrastinare è un comportamento irrazionale. Secondo Tim Pychyl, professore di psicologia e membro del Gruppo di Ricerca sulla Procrastinazione dell’Università di Carleton di Ottawa, la procrastinazione non è causa di pigrizia, ma una reazione a stati emotivi dolenti che si faticano a gestire: ansia, timore di critica, inadeguatezza, senso di colpa. E’ il prevalere dell’urgenza di gestire immediatamente un’emozione dolorosa, rispetto al vantaggio a lungo termine di portare avanti un’attività.

A cui vanno aggiunti i personali stati d’animo: Sarò in grado di portare a termine il progetto?; Cosa penseranno gli altri di me se dovessi fallire?

Davanti a questi pensieri possiamo allarmarci e cercare una via di fuga: questo non elimina gli stati dolorosi associati all’impegno rimandato, ma semplicemente li posticipa spesso in maniera non indulgente, ma sotto forma di dialogo interiore severo e inflessibile (“Buono a nulla! Incapace! Non sei in grado!”) che aumenta la sofferenza e che paradossalmente proviamo a gestire… procrastinando ancora!

TORNIAMO A NOI…

L’intolleranza alla procrastinazione non deve farci dimenticare che spesso è determinata da ragioni più profonde che la scarsa volontà, come invece accade.

Conosco colleghi dell’università che non si sono mai chiesti cosa bloccasse uno studente. Una collega si rifiutava di lasciar entrare in classe  qualunque studente in ritardo. Non si interessava del perché; partiva dall’idea che nulla è impossibile se lo vuoi ottenere, figuriamoci arrivare in orario alle lezioni. Ricordo di un ragazzo sordomuto che poi si è laureato con il massimo dei voti a ingegneria, venire sottoposto a esame orale anziché scritto e venir bacchettato dal docente perché non capiva la domanda. Quando sarebbe bastato guardarlo in volto affinchè lui leggesse il labiale. Lui non è diventato un procrastinatore ma avrebbe potuto diventarlo e non per scarsa volontà.

O la studentessa che arrivava sovente in ritardo la prima ora di lezione perché passava le notti al capezzale della madre morente. Provava vergogna per la ruvidezza del docente, e nemmeno trovava la forza per esplicitare la sua situazione.

Al di là delle catalogazioni scientifiche, talvolta sarebbe sufficiente chiedersi il perché di un comportamento, prima di giudicarlo senza ascoltarne la risposta.

So che non è facile,  non siamo stati educati a riflettere su ciò che blocca i nostri collaboratori, i nostri studenti, i nostri amici. Tanti sono coloro che orgogliosamente rifiutano di condividere spazio e tempo con chi è meno fortunato, più lento, apparentemente meno elitario. E più rivestiamo ruoli importanti più mettiamo distanza, benchè diventiamo vittime di altre problematiche rispetto alla pigrizia. Eppure proprio come sappiamo che la pigrizia non è sempre una scelta attiva, anche i comportamenti elitari e giudiziari sono determinati dall’ignoranza situazionale.

Il segreto è chiedersi contro cosa lottano gli altri, e ricordare che probabilmente non se lo sono scelto. Ci stanno provando a fare bene, ma non sempre è facile. Alcune barriere sono difficili da abbattere, anche per i più forti e i più tenaci. Spesso, è sufficiente adottare un approccio curioso ed empatico nei confronti di individui che inizialmente vogliamo giudicare “pigri” o irresponsabili. E qui, mi domanderei perchè abbiamo questa esigenza da soddisfare, prima ancora di capire le ragioni della pigrizia altrui.

Le persone non scelgono deliberatamente di fallire o di deludere. Nessuno vuole sentirsi incapace, inefficace o inutile. Se guardando l’azione (o la non azione) di una persona, vedi solo pigrizia, probabilmente ti sei perso i dettagli chiave. C’è sempre una spiegazione. Ci sono sempre barriere. Solo perché non puoi vederle o non le vedi come legittime, non significa che non ci siano.

Forse devi solo imparare a guardare meglio.

COLLABORATORI e DIPENDENTI più COINVOLTI, con il METODO SCARF. ISTRUZIONI per l’USO

Chi, sul luogo di lavoro non si è sentito minacciato? O eccessivamente controllato? O sminuito, o addirittura messo da parte? Alzi la mano…

Spesso, quando veniamo esclusi da un progetto, un’attività, una promozione, ciò che avvertiamo è un senso di minaccia. Sentiamo minacciato il nostro status, il nostro ruolo all’interno del contesto lavorativo. Reazione questa che può avere sfumature variegate, anche violente e non sempre facili da controllare, perché tocca le parti più antiche e profonde del nostro cervello.

Senza contare che ci fa male, molto male; non a caso le neuroscienze hanno dimostrato che questo sentimento può stimolare la stessa regione del cervello del dolore fisico.

Per fortuna quando ci sentiamo ricompensati, quando riceviamo elogi per il nostro lavoro, i nostri cervelli rilasciano dopamina, l’ormone della gratificazione. E naturalmente vogliamo di più e quindi ci attiviamo per essere ricompensati ancora e ancora nel futuro a breve termine.

Per minimizzare il senso di minaccia e massimizzare quello di gratificazione è stato pensato, dall’esperto di Leadership David Rock, un modello noto con il nome di SCARF, che evidenzia i cinque fattori organizzativi che hanno un effetto negativo impattante ma spesso poco considerato sulle reazioni umane sul luogo di lavoro. Se li si impara a conoscere, sarà di fatto più facile e funzionale aumentare l’engagement di dipendenti e collaboratori a un costo molto basso.

Ecco i cinque fattori:

  • Status (percezione di essere considerati migliori o peggiori di altri);
  • Certainty/Certezza (possibilità di prevedere eventi futuri e, quindi, poter programmare senza ansia la propria vita);
  • Autonomy/Autonomia (il livello di controllo sulle attività e la possibilità di decidere sul proprio lavoro con una sufficiente indipendenza);
  • Relatedness/Relazione (l’esperienza di far parte di un gruppo e condividerne gli obiettivi);
  • Fairness/Equità (sentirsi rispettati e trattati in modo equo)

COME APPLICARE SCARF AL LAVORO

Sentirsi minacciati blocca la creatività, riduce la capacità di risolvere i problemi e ci rende più difficile comunicare e collaborare con gli altri. Quando invece ci sentiamo ricompensati, l’autostima sale e ci sentiamo motivati a fare un buon lavoro.

Non a caso, quando il livello percepito da un collaboratore in merito a uno qualsiasi dei 5 fattori SCARF è basso, aumenta il senso di minaccia e turbamento. Anche se non lo esprime palesemente, la sensazione c’è o è latente, e spesso compromette la sua produttività e la volontà di mostrare impegno.

In altri termini, la persona, di fronte a determinate situazioni organizzative non favorevoli, riceve gli stessi messaggi di allerta e di pericolo di quando vengono messe in gioco le elementari strutture (minaccia e ricompensa) sulle quali fa affidamento per la sua sopravvivenza. A quel punto, nel suo cervello si attivano le stesse risposte “primitive”, le stesse reazioni fisiche (dolore) ed emotive a livello istintuale, che non sono facili da controllare e da reprimere.

STATO

Il prestigio sembra essere uno dei principali elementi della longevità e del benessere. Il nostro cervello pensa al prestigio utilizzando gli stessi circuiti con cui processa i numeri e un aumento nel prestigio viene equiparato a un colpo di fortuna finanziario. Vincere una gara, una partita, un confronto, fa sentire meglio perché aumenta la percezione del proprio prestigio e i circuiti di ricompensa vengono attivati, in particolare i livelli di dopamina. Di norma nelle organizzazioni si tende a ricompensare le persone attraverso le promozioni. Come detta la legge di Peters, questo può avere come effetto collaterale il promuovere persone all’apice della loro incompetenza. Le ricerche dimostrano però che il prestigio può essere ricompensato e aumentato fornendo feedback positivi e riconoscimenti pubblici.

Essendo il prestigio fondato sulla percezione della posizione che si ha all’interno della propria comunità di riferimento, ogni ricompensa fornita in questa direzione accresce il senso di benessere e innesca un circolo virtuoso che stimola il cervello, aumenta la creatività, soddisfa i bisogni primari e riduce le richieste di promozione o di avanzamento di carriera.

CERTAINTY/CERTEZZA

Il cervello è una macchina per il riconoscimento degli schemi: cerca costantemente di predire il futuro. Quando non siamo certi di qualcosa, la corteccia frontale del nostro cervello inizia a fare gli straordinari mentre cerca di dare un senso all’ignoto. Livelli più ampi di incertezza, come non conoscere le aspettative del proprio capo, le valutazioni del proprio insegnante o il grado di affetto del proprio genitore o partner, generano un forte stato di debilitazione. Ogni cambiamento significativo genera incertezza. Ecco perché nelle organizzazioni, si sviluppano strategie, piani, mappe, diagrammi di flusso, tabelle excel che permettono ai dipendenti di sentirsi meglio perché il loro livello di certezza è mantenuto. È noto come la chiarezza sulle aspettative e sugli obiettivi, generi nei collaboratori un maggior senso di sicurezza e conseguentemente di benessere. Tra le diverse azioni che possono aumentare i livelli di Sicurezza vi sono:

  • Rendere esplicito quello che tendiamo a tenere implicito e non dare nulla per scontato
  • Definire obiettivi chiari all’inizio di ogni “ciclo” di azioni
  • Fornire tutte le informazioni a disposizione in un tempo dato

AUTONOMY/AUTONOMIA

Autonomia significa esercitare il controllo su un determinato contesto, avere la sensazione di avere delle scelte. Uno stress senza vie di fuga e senza possibilità di controllo è altamente distruttivo, mentre lo stesso stress, interpretato come evitabile, è significativamente meno distruttivo. Il lavoro in team richiede una riduzione dell’autonomia, ma in culture organizzative evolute, questa potenziale minaccia viene neutralizzata da un aumento del Prestigio, della Certezza e della Relazionalità. Sul lato della ricompensa, in un’organizzazione non è sempre semplice fornire livelli elevati di autonomia. Ciò nonostante può dimostrarsi utile offrire alle persone la libertà di organizzare il proprio lavoro, la propria scrivania e magari il proprio tempo lavorativo, all’interno naturalmente di parametri concordati.

RELATEDNESS/RELAZIONE

Implica la decisione se gli altri sono “dentro” o “fuori” un gruppo sociale, se qualcuno è amico o nemico. L’affinità è un driver comportamentale all’interno di diverse tipologie di squadra. L’informazione relativa a persone percepite “come noi” viene processata dal cervello utilizzando circuiti simili a quelli usati per pensare a se stessi e mettendo in gioco l’ossitocina. Maggiori quantità di questo ormone si trovano in persone con elevate capacità di sviluppare affinità. Concetto strettamente connesso con la fiducia. Più questa è elevata tra le persone, più forte e ampia è la collaborazione e la condivisione. In ambiti sociali limitati (scuola, lavoro, palestra), incoraggiare le connessioni sociali aumenta la qualità e la valenza delle prestazioni, riduce l’ansia sociale e favorisce la collaborazione. L’unico modo per aumentare la risposta di ricompensa dalla Relazione è aumentare le connessioni sicure tra le persone. In ambito organizzativo possiamo parlare di:

  • sistemi di “buddy” (piccoli agglomerati di 2/3 persone che si accordano per sostenersi a vicenda)
  • programmi di mentoring e/o coaching
  • piccoli gruppi di “action learning”

FAIRNESS/EQUITA’

Gli scambi basati sulla correttezza e la giustizia sono premianti. Questo può spiegare perché molte persone sperimentano un senso di ricompensa svolgendo una attività di volontariato: contribuiscono a ridurre l’ingiustizia nel mondo. Allo stesso tempo, scambi ingiusti generano una forte risposta di minaccia: situazioni percepite come fortemente ingiuste possono portare alcuni a morire per difendere i propri diritti. Persone considerate disoneste non stimolano la pietà nel prossimo; anzi generano un senso di soddisfazione quando vengono punite. La minaccia nella percezione di un’ingiustizia può essere ridotta:

  • aumentando la trasparenza
  • migliorando la chiarezza della comunicazione
  • stabilendo chiare aspettative in ogni situazione

Scarf è un modello scientificamente basato sulle reazioni del nostro cervello a stimoli di minaccia o ad azioni di ricompensa e ci insegna che agire in direzione di una ricompensarelativamente alle 5 aree appena descritte, aumenta le probabilità che le persone siano maggiormente motivate, sviluppino un maggior senso di appartenenza all’azienda/team, riducano l’assenteismo, ottimizzino le prestazioni.

Diffondere in azienda un approccio che premi queste 5 attitudini, che soddisfi nel cervello di ognuno, il bisogno continuo di socialità, che potenzi nei collaboratori le condizioni di ricompensa in grado di superare le relative sensazioni di minaccia che impediscono di fatto i processi evolutivi, può generare una condizione di profonda trasformazione del tessuto relazionale interno, aumentare il livello di benessere personale e relazionale ma anche di efficacia ed efficienza, riducendo allo stesso tempo assenteismo e conflittualità, perdite di tempo e distrazioni. In altri termini favorendo lo sviluppo di aziende più sane, etiche e sostenibili.

Per saperne di più: SCARF: un modello basato sul cervello per collaborare e influenzare gli altri 

COME andare d’ACCORDO con chi ha VALORI tanto DIVERSI dai NOSTRI

Persone con valori differenti possono andare d’accordo?

In un momento storico così ricco di odio e recriminazioni, è difficile crederlo. Tutti interessati a proteggere i propri stereotipi, le proprie posizioni ideologiche, le proprie univoche visioni e cercare di vincere anzi annientare l’altro in virtù di chissà quale premio o soddisfazione…

Eppure le dispute che hanno a che fare con i valori sono spesso molto complesse da risolvere. Perché? Perché i valori rappresentano quel sistema di convinzioni riguardo a ciò che crediamo giusto e sbagliato, bene e male e impatta costantemente sulle nostre decisioni e scelte personali.

Chi si occupa di negoziazione sa che le controversie e le liti sui valori, non possono essere risolte in modo tradizionale. Occorre lavorare molto per ampliare la possibilità di considerare le visioni contrarie meno distanti e insegnare modi per convivere nelle differenze.

In molti negoziati, entrambe le parti sono consapevoli dei reciproci interessi e sono disposte a impegnarsi per raggiungere un accordo che le soddisfi entrambe. Nei conflitti relativi all’identità personale, credenze o valori profondamente radicati, le dinamiche di negoziazione possono diventare più complesse e richiedere tattiche alternative di risoluzione. Le parti potrebbero non essere disposte a concedere alcuna concessione che aiuti l’altra, anche se ciò comporta una perdita da ambo i lati.

Insomma si è molto meno disposti a negoziare. Perché negoziare significherebbe tradire quelle convinzioni per le quali si crede così profondamente da essere persino spinti a uccidere.

Dalla Harvard Law School, ci vengono in aiuto 4 strategie per gestire proprio questo tipo di conflitti.

  • Prendi in considerazione interessi e valori separatamente: separa la persona dal problema e al tavolo delle trattative affronta le questioni individualmente. Determina il valore che la controparte dà alla sua posizione e contratta di conseguenza. Cerca di capire perché quel valore è per lei così importante.
  • Impegnati a costruire relazioni vincenti: cerca di costruire un rapporto  basato sui valori e sugli interessi comuni. Ricerca cosa unisce e non cosa divide
  • Appellati a valori: fare appello a valori comuni o condivisi può aiutare a colmare il divario al tavolo della contrattazione avvicinando le rispettive posizioni. Stabilendo un terreno di negoziazione comune, è possibile iniziare a creare valore (e rivendicare più valore).
  • Affronta direttamente le differenze: comprendere le differenze è di aiuto per raggiungere il successo nella negoziazione.

Anche nei casi in cui la risoluzione non sia possibile, questi quattro approcci consentiranno una maggiore comprensione tra le parti  e chiariranno dove si trovano le reciproche differenze di identità e di valori.

Se volessi saperne di più, ti consiglio di leggere: Risoluzione delle controversie, Lavorare insieme per la risoluzione dei conflitti (Harvard Law School).