Tag Archivio per: #consenso

Gli ALTRI sono COME ME… E se non fosse cosi?

Se da adolescenti vi avessero chiesto, dietro compenso, di vestirvi da sandwich e girare per 30 minuti in pieno centro, in orario di punta, con un cartello pubblicitario appeso al collo, avreste accettato? E quanti dei vostri amici, avrebbe seguito il vostro esempio?

Questo è un esperimento messo in atto per capire come le persone utilizzano le opinioni per prevedere il comportamento di chi sta loro intorno: il 62% degli studenti coinvolti rispose affermativamente, contro il 38% che rifiutò. Ma a sorprendere furono le percentuali che venne chiesto loro di stimare su quanti dei loro amici avrebbero accettato e rifiutato quel tipo di lavoro.

• Chi accettò il lavoro, rispose che la maggior parte degli altri studenti (il 68%) sarebbe stata disposta a fare il cartellone vivente;

• Chi rifiutò rispose, in maniera speculare, che la maggior parte degli altri studenti (il 67%) NON sarebbe stata disposta a fare il cartellone vivente.

Due studenti su 3 immaginano che il comportamento degli altri studenti rispecchi il loro, qualunque esso sia!!!

FALSO CONSENSO

La tendenza a sovrastimare la misura in cui i propri comportamenti, credenze, qualità e atteggiamenti siano diffusi nella popolazione e condivisi da altre persone prende il nome di fenomeno del falso consenso.

In altre parole siamo convinti che gli altri, quando si trovano nelle nostre stesse situazioni, abbiano i nostri stessi pensieri e comportamenti.
In generale più un comportamento devia dalla norma più l’effetto del falso consenso è potente. Il problema è che spesso la norma la creiamo noi, senza alcuna ragione apparente.

Si dice che il giorno dopo la vittoria presidenziale di Nixon nel 1972, la critica cinematografica del New Yorker Pauline Kael commentasse: non ci posso credere, non conosco nessuno che abbia votato per lui. La Kael non conosceva nemmeno un elettore repubblicano e tanto le bastava. Quella per lei era diventata la norma degli americani.
La cosa importante è rendersi conto che il mondo reale non è fatto a nostra sola e totale somiglianza, e che ciò che si tende a fare è proiettare il nostro modo di pensare, e delle persone a noi affini, su tutti gli altri, finendo intrappolati negli effetti deformanti del falso consenso.

Chi DECIDE il COLORE della TOVAGLIA? QUANDO il “PENSIERO di GRUPPO” (non) SERVE

Di recente mi sono trovata coinvolta in una riunione di lavoro in cui, all’improvviso, qualcuno si è messo a discutere del menu, per un evento. E mentre ognuno dei presenti diceva la sua, mi sono domandata quanto la mia opinione fosse necessaria.

In quel meeting erano presenti una decina di professionisti di alto livello e, dover dedicare del tempo al colore delle tovaglie o al tipo di dolce da presentare a fine serata, era così improbabile che per un attimo ho pensato a uno scherzo.

Perché allora siamo finiti a discutere di “aria fritta”?

Così mi è venuto in mente il groupthink, il pensiero di gruppo che tanto è utile quando drammaticamente pericoloso, quando a lui ci si affida, per uscire dall’irreale labirinto in cui siamo finiti, senza accorgersene.

FALLIMENTI CLAMOROSI

Qualche esempio negativo memorabile? L’incapacità di prevedere l’attacco giapponese a Pearl Harbor nel 1941, il maldestro tentativo di rovesciare a Cuba, il regime di Fidel Castro con lo sbarco nella Baia dei Porci nel 1961, la prosecuzione della guerra del Vietnam da parte di Johnson (1964-1967) e qui mi fermo.

In pratica: chiedi a un gruppo di persone profondamente affiatate e coinvolte di trovare una soluzione a un problema comune e la tendenza che si creerà sarà quella di raggiungere l’unanimità anziché valutare in modo realistico le alternative più funzionali a disposizione.  

Sebbene con meno effetti collaterali, tanti esperti di decisioni e comportamenti riuniti in una unica stanza, non hanno meno possibilità di cadere nel bias dei bias e supportare la regola principe che dice che tutti cadiamo negli stessi errori di ragionamento allo stesso modo, ancor più gli esperti nel loro settore di competenza. Bingo.

Il classico errore da manuale!

KENNEDY E IL BLOCCO NAVALE SU CUBA

Per fortuna ci sono casi in cui il groupthink si è dimostrato un ottimo strumento. Come quando Kennedy riunì politici, consiglieri, ed esperti, ma in modo tale da evitare l’unanimità di pensiero nelle decisioni sulle scelte strategiche da adottare per fronteggiare la crisi. Durante i meeting, il presidente invitò esperti esterni a esprimere i loro punti di vista, e permise ai membri interni di porre domande, incoraggiò a discutere di possibili soluzioni e giunse perfino a dividere il gruppo in vari sotto-gruppi, al fine di dissolverne parzialmente la coesione. Kennedy, inoltre, si assentava deliberatamente allo scopo di evitare, nella discussione e nella formazione dei giudizi individuali, ogni pressione o condizionamento proveniente dalla sua opinione o dalla sua stessa presenza.

La crisi dei missili cubani, infine come sappiamo, fu risolta in modo pacifico, un risultato che si deve, in parte, anche a queste misure preventive.

PERCHE’ NON SEMPRE E’ UTILE

L’incapacità di pensare in modo critico in gruppo è alimentata dal nostro desiderio di conformarci a ciò che fa la maggioranza e dalla nostra esitazione nel rivalutare le soluzioni inizialmente respinte.

I gruppi possono quindi ostacolare la capacità di prendere decisioni in modo efficiente ed efficace, se non ben condotti e senza regole chiare atte a stimolare la individuale partecipazione e libertà di espressione.

Quindi, come possiamo bilanciare il desiderio di evitare il pensiero di gruppo, con il desiderio di rendere efficace il processo decisionale di gruppo?

Ecco 4 semplici consigli

  1. Qual è l’obiettivo di questo incontro?

Non tutte le decisioni richiedono una riunione o un meeting collegiale. Scopri prima perché hai bisogno di un incontro. Questo incontro è per avviare un brainstorming, per restringere le opzioni, condividere dati o trovare soluzioni? Stai cercando un consiglio? Risposte? Rendi chiare queste aspettative a coloro che parteciperanno.

  • Qual è il problema?

I problemi devono prima essere chiariti. In un incontro incentrato sulla risoluzione dei problemi, assicurati di concordare una definizione del problema prima di parlare di potenziali soluzioni.

  • Evita il pensiero di gruppo quando serve il dissenso

Il pensiero di gruppo sopprime il dissenso. Questo deve essere ben chiaro.

Come possiamo fare in modo che tutti si sentano liberi di esprimere il proprio pensiero? Assicurati che tutti possano parlare e tutti vengano ascoltati. Concedi tempo. Poni domande aperte che incoraggiano il pensiero critico come “Quali sarebbero gli svantaggi dell’opzione X che Y ha appena suggerito?“, “Ci sono implicazioni a cui non abbiamo pensato?“, “Eventuali altre possibilità che potremmo prendere in considerazione?”, “Qualcuno può interpretare per un momento il ruolo del critico su questo tema?” e infine “Tutti sono d’accordo se ci muoviamo in questa direzione?

Incoraggiare la partecipazione a una riunione è significativamente e positivamente correlato con la soddisfazione dei partecipanti e la percezione dei partecipanti della produttività delle riunioni (Malouff, Calic, McGrory, Murrell & Schutte, 2012).

  • Avere un leader che guida

Mentre tutti dovrebbero sentirsi a proprio agio a parlare, qualcuno deve condurre. Lascia il tempo per esaminare i risultati e prendere una decisione. Riassumi i risultati e le opinioni, prendi decisioni e delega le attività in modo chiaro. In uno studio, i leader che si sono presi il tempo di sintetizzare le decisioni hanno portato a una maggiore soddisfazione dei partecipanti e alla percezione dell’efficacia dell’incontro.

Il processo decisionale di gruppo, se guidato in modo inadeguato, può amplificare i singoli errori decisionali. In altre parole, possiamo diventare stupidi in gruppo. D’altra parte, se un leader conduce saggiamente creando un ambiente in cui vengono ascoltate e apprezzate diverse prospettive, un gruppo può diventare più saggio di qualsiasi altro individuo (Sunstein & Hastie, 2015). 

Il nostro ruolo è quello di aggiungere nuove informazioni anche se non attirano consensi, all’interno di un ambiente di lavoro dove la libertà di espressione viene considerata un valore aggiunto e non un intralcio.

Quindi “quale colore di tovaglia e gusto del dolce abbiamo scelto?” … mi ero distratta …

Il FASCINO della SUPERFICIALITA’ e la NUOVA IGNORANZA

Il Presidente del Consiglio Conte ha esaltato l’8 settembre 1943, confondendolo con il 25 aprile 1945: data fondamentale per la rinascita dell’Italia, quando invece fu una catastrofe storica; Di Maio non solo ha spostato Matera dalla Basilicata alla Puglia ma ha anche audacemente dichiarato che il corpo umano è fatto al 90% di acqua.

E mi fermo qui.

Fino a non troppi anni fa, di fronte a tali affermazioni, ci si scandalizzava, additando l’autore di ignoranza. Oggi invece l’ignoranza è considerata orgoglio da establishment e chiunque provi a rimettere le cose in ordine, attribuendo fatti e numeri a chi davvero ne ha proprietà, viene tacciato di complottismo.

REALTA’ VS CONSENSO

Insomma la verità non consiste più nella corrispondenza, nell’accordo, tra la realtà e la sua rappresentazione linguistica e concettuale (adaequatio rei et intellectus), ma fra la realtà e il consenso. E questo mi riporta immediatamente al totalitarismo, regime capace di mobilitare le masse nel nome di una ideologia o di una nazione.

TOTALITARISMO

Un modo gentile, totalitarismo, per definire il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, per citarne i più recenti, dove il tentativo di controllare capillarmente la società in tutti gli ambiti di vita, imponendo l’assimilazione di una ideologia era la norma. Il partito che controlla lo Stato non si limita cioè a imporre direttive, ma vuole mutare radicalmente il modo di pensare e di vivere della società stessa. Ed ecco che il collegamento ad alcuni movimenti politici e guru che si ergono a motivatori diventa automatico.

In fondo la base del totalitarismo recente, non è il prodotto di élite culturali, di conoscenza e sapere ma di grande masse, come ben scriveva Elias Canetti in “massa e potere”, quasi 60 anni fa.

Insomma l’irruzione di internet ha agevolato un fenomeno che ha sostituito la conoscenza e il ragionamento critico con l’informazione di massa, vorace e poco controllabile, capace di manipolare e di rallentare la riflessione. Meglio cercare il consenso piuttosto che la verità.

NUOVA IGNORANZA

Non per nulla si parla di Nuova ignoranza, un fenomeno che premia la performance e dove la trasmissione del sapere diventa occasionale e deformata.  Il presunto pubblico colto si fa padrone della conoscenza, grazie al dilagare di libri di massa dai contenuti incerti e di indubbio valore e alle prediche che si ergono da palchi dove le star di turno accendono gli animi attraverso tecniche manipolatorie. Scambiate per sapere.

Essere conosciuti da chi non si conosce è la nuova definizione di fama.

SO DI NON SAPERE

Il rimedio è semplice: partire dal presupposto di non sapere, e di farsi spiegare le cose che da chi le vive, le conosce per davvero e poi procedere con approfondimenti e interpretazioni. Credere di sapere più degli altri (e quali altri…), la nuova ignoranza appunto è “una forma di prevaricazione culturale, aggressiva quanto il colonialismo”, dice Maurizio Bettini, sapiente filologo, latinista e antropologo italiano che consiglio a tutti di seguire. Attenzione: non è un guru, è “solo” un professore, colto e saggio… non imbonisce, non motiva, ma appassiona. E genera Cultura. Quella vera, di una volta. Priva di effetti collaterali dannosi.