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PRUDENTI? NON TROPPO… e nemmeno ci ASSICURIAMO! La nostra incapacità di valutare rischi e benefici.

Gli italiani sono un popolo sotto assicurato che ricorre alla polizza solo quando è obbligato…

Si sfoga un cliente durante un meeting aziendale, mentre confronta i dati italiani con quelli degli altri Paesi europei. Difficile dargli torto. Se si esclude l’Rc auto, il premio medio pagato da un italiano annualmente è di 300 euro, meno di un terzo di quello degli altri cittadini dei principali Paesi europei che in media spendono 937 euro per le coperture protection.

Non possono tutti essere propensi al rischio e avversi alle polizze…

La questione, ha ragione, è un po’ più complessa di così. E inevitabilmente mi viene in mente Lunch atop a Skyscraper (pranzo in cima a un grattacielo), la foto in cui 11 uomini dai vestiti sporchi e dai volti sereni, consumano il loro pranzo al sacco, seduti uno di fianco all’altro, sulla trave d’acciaio di un grattacielo in costruzione nella grande mela, quello che sarebbe diventato l’RCA Building, uno dei grattacieli che formano il complesso del Rockefeller Centre, all’altezza della 41° Strada.

Era il 1932. Undici uomini rischiavano ogni giorno la vita per quel lavoro, apparentemente niente affatto spaventati di consumare la propria pausa pranzo al 69° piano dell’edificio, a un’altezza di 260 metri dalle strade di Manhattan.

Chissà se quegli operai erano più incuranti del pericolo o incapaci di percepirlo, o se più semplicemente pensassero “a me non potrebbe accadere”.

Se nel 1932 la foto suscitò grande scalpore (fu pubblicata sull’Herald Tribune insieme a un articolo in cui si contestava la totale mancanza di adozione di dispositivi di protezione o misure di sicurezza), 90 anni dopo, continua a far venire le vertigini ad alcuni e ad altri la voglia di salire lassù. Insomma, passano gli anni, ma spericolatezza e paura ci abitano ancora allo stesso modo.

 

Perchè? Sembra quasi che non sappiamo quando avere paura…

Il modo in cui viene percepito il rischio è fenomeno complesso, nonché soggettivo e risente della nostra irrazionalità più di quanto ci piace credere e ha molto a che fare con il nostro vissuto e le nostre convinzioni. Questo fa sì che qualcuno sottovaluti e altri sovrastimino i rischi e quindi il pericolo e attivino dei comportamenti e delle reazioni non proporzionate al fenomeno. In parole semplici, capita che le persone a volta temano eventi che non sono in realtà pericolosi e non temano invece, eventi che potrebbero avere conseguenze drammatiche.

 

Come l’errata convinzione che viaggiare in auto sia più sicuro che prendere un aereo. Razionalmente sappiamo che non è così, ma la paura di volare è più impattante di quella di guidare soprattutto dopo un incidente aereo recente.

Alcuni fattori più di altri influenzano la percezione che abbiamo di un fenomeno. Uno di questi è quanto controllo possiamo esercitare sugli eventi che possono generare pericolo. Per esempio: crediamo di poter esercitare più controllo alla guida che di fronte a un terremoto. Un altro è: quanto volontariamente abbiamo deciso di affrontare una situazione pericolosa e quanto gravi sono le conseguenze.

A peggiorare le cose è anche la scarsa conoscenza che gli italiani hanno in materia di assicurazioni,

aggiunge il cliente, indicandomi percentuali e dati relativi all’attività svolta dall’IVASS, l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni e dove si evince che:

  • gli uomini hanno livelli di alfabetizzazione assicurativa più alti rispetto alle donne;
    • i giovani e gli anziani sono i meno alfabetizzati e i più sotto-assicurati;
    • il Nord è più alfabetizzato rispetto al resto dell’Italia.
  • l’indice aumenta man mano che sale il grado di istruzione degli intervistati, in particolare di quelli con almeno un diploma di scuola superiore.

 

 E’ anche colpa dei bias?

Sicuramente i bias non aiutano. Gli italiani peccano di eccesso di fiducia nelle loro conoscenze. L’overconfidence genera un dislivello tra quello che crediamo di sapere e quello che davvero sappiamo.

  • Il 60% degli intervistati afferma di conoscere bene concetti base quali premio, franchigia e massimale, ma solo il 14% risponde correttamente a tutte le relative domande.
  • Il 39% dichiara di conoscere i prodotti assicurativi (infortuni, temporanea caso morte, vita e previdenza complementare, ecc) ma solo 1 su 2 mila risponde correttamente a tutti i quesiti.
  • Il 69% ritiene di non avere bisogno dei consigli dell’assicuratore né di doversi affidare a fonti informative esterne, facendo emergere quello che in finanza comportamentale è noto come “bias dell’autonomia”: l’illusione di essere i principali agenti delle proprie vite, laddove un grado molto elevato di autonomia percepita determina grande o grandissima sicurezza e poco o niente stress.
  • La scarsa conoscenza della statistica può innescare la fallacia dello scommettitore (sui piccoli numeri, ad esempio, ogni ripetizione di un evento mantiene intatte le probabilità medie della serie statistica) o di azione dell’effetto emozionale sulla stima (quando la percezione soggettiva delle probabilità è inficiata dal valore affettivo che l’individuo associa agli esiti attesi) o ancora di sconto temporale (preferenza a scommettere che eventi avversi non avverranno nel futuro e posticipare il costo del danno nel futuro) e infine di avversione all’ambiguità (propensione a preferire soluzioni costanti nel tempo anche se di fatto possono essere meno convenienti).

 

Il paradosso è che anche se timorose dei rischi, le persone non sempre accedono alle relative coperture.

I timori più sentiti per il presente o il futuro riguardano problemi di salute per malattie o infortuni nel 76,7%dei casi. Tuttavia, una polizza malattia è sottoscritta dal 10,6%degli intervistati e quella infortuni solo dal 20,2%.
Il timore di calamità naturali è maggiore al Sud e nelle Isole rispetto al Nord, ma è proprio al Nord che si riscontra una maggiore sottoscrizione di queste polizze: 20% contro il 4,1% al Sud e il 3,5% nelle Isole.
Forse, gli suggerisco, al di là di bias e paure, una migliore comunicazione con il cliente potrebbe aiutare a rendere maggiormente consapevole di rischi e benefici?

La scarsa comprensibilità risulta tra le principali cause di mancata sottoscrizione della polizza (50%), subito dopo il costo (67,5%) e prima della sfiducia nei confronti delle assicurazioni (42,4%) e delle esperienze negative pregresse (28,7%).

 

Scartabellando e mettendo ordine fra i numeri, il  concetto scientia potentia est attribuito a Thomas Hobbes ricorda l’importanza di conoscere una disciplina in modo fondato, per poterne così realizzare il miglior utilizzo. Si tratta di un assunto valido per ogni contesto e andrebbe ricordato e rimarcato per lo meno negli ambiti del quotidiano, per poter così ottenere un miglior livello di qualità di vita in modo generalizzato. E se il cliente non sente tutta questa spinta a informarsi, ecco che l’assicuratore può facilitare il processo, rendendo comprensibile anche i termini e i concetti più astrusi. Purchè il tutto venga fatto in modo etico e sostenibile. Per il cliente. E non dimenticando l’assunto degli assunti tanto caro al Nobel per l’economia Richard Thaler:

se vuoi che le persone facciano qualcosa, rendi quella cosa semplice.

 

FONTI

https://www.ivass.it/pubblicazioni-e-statistiche/pubblicazioni/relazione-annuale/2021/index.html

Per FORTUNA OGGI sembra andare TUTTO STORTO…

Ci sono giorni in cui tutto inizia in modo sbagliato. Non trovi nulla da indossare, nonostante la cabina armadio straripi di vestiti, l’unico che vorresti mettere è in tintoria. La corrente elettrica ti abbandona e ti tocca aprire a mano il garage per far uscire l’auto, e la conferma di avvio di un progetto latita. Oggi è una di quelle giornate.

Poi inizio a lavorare e il mio cliente prima ancora di sedersi mi chiede “Perché a volte sembra che tutto vada storto?”.

E già solo ascoltare la domanda, mi rasserena. Mentre penso alla relatività delle cose e al bisogno umano di avere il controllo sugli accadimenti. Quando il controllo lo abbiamo piuttosto raramente.

Abbiamo la presunzione di averlo, una beata illusione. Forse abbiamo il controllo del volume della suoneria dello smartphone e dell’aria condizionata, ma non a molte più cose. E’ evidente che ognuno di noi si illude di avere il controllo sulla propria vita, quando in realtà quasi nulla è in nostro potere.

A volte accadono cose per cui non siamo pronti. Tanto che la vita ci coglie impreparati. La maggior parte delle volte, ad essere sinceri. Ci siamo preparati per anni alle delusioni, ai fallimenti, agli abbandoni, ai pericoli, alle brutte notizie. Ma sostanzialmente non siamo pronti. Siamo (stati) preparati, ma non pronti. Siamo pugili con la guardia alta, ma ci dimentichiamo che l’unico modo sicuro per non prendere neanche un pugno in pieno viso è stare giù dal ring.

Tenere la guardia alta, è faticoso. Vuol dire decodificare ogni possibile movimento dell’avversario, capire da questo le sue intenzioni e anticiparle per non andare a tappeto. Tre cose, quindi siamo costretti a fare continuamente: monitorare (l’avversario), controllo (di sé) e anticipazione (delle azioni e dei movimenti).

Scendiamo dal ring. Cosa ci insegnano fin da piccoli? Che se vuoi, puoi. Che se ti impegni abbastanza le cose belle succedono, e le cose brutte succedono se non ti impegni abbastanza: se non stai abbastanza attento, se non prevedi qualcosa che a pensarci un attimo meglio saresti riuscito a prevedere, se non anticipi possibili catastrofi, se non cogli i segnali. E noi, giustamente, a queste cose crediamo.

Crescendo, riceviamo un sacco di rinforzi per la nostra capacità di prevedere, per il nostro monitoraggio, per il nostro livello di controllo su di noi e sull’ambiente. Ho tenuto d’occhio le priorità del capo, mi sono focalizzato e speso su quelle e ho ottenuto una promozione. Ho capito cosa piace alla ragazza che mi piace, le ho attaccato bottone parlando di quello e ci sono uscito assieme. Rinforzi su rinforzi, e la strategia si mantiene.

Cosa vogliamo a tutti i costi evitare attuando questa strategia? Qual è la sensazione che non vogliamo provare? Non vogliamo sentirci vulnerabili. Ognuno di noi ha un particolare tipo di pugno che non vuole ricevere: per qualcuno ha a che fare con il rifiuto, per altri con il mancato riconoscimento del proprio valore, per altri con la percezione di essere colpevole. Ed ecco l’avversario.

Teniamo alta la nostra guardia fatta di anticipazione e controllo per non permettere a noi stessi di percepire questo stato intollerabile per noi, anche alla luce della pochissima esperienza che ne abbiamo fatto (grazie alla nostra strategia, appunto, e qui la storia si ripete).

A volte, però, succede qualcosa. Sei sul ring e un forte rumore ti distrae, qualcuno sbatte la porta, una luce attira la tua attenzione, giri gli occhi e ti ritrovi al tappeto. Tutto il castello di carte costruito fino a quel momento, tutta la strategia, tutta l’onnipotenza che portava in sé pensare di avere una strategia che ti avrebbe sempre difeso, tutto crolla. Come un castello di carte al soffio del vento. Sei per terra. Non ci sei mai stato. Allora succedono cose nuove. Spesso è solo allora che accadono cose buone.

Il mio cliente è qui a richiedermi una consulenza proprio per evitare che quel pugno arrivi, affinchè possa diventare ancor più bravo a prevenire, anticipare e controllare. Quasi una missione impossibile. Non è quella la soluzione vincente.

Mentre le parole vagano nella stanza, fra coaching e consulenza, gli interrogativi si dipanano. Le domande scrostano certezze ataviche, quelle di entrambi.
E mentre saluto il cliente, sorridendo ripenso alla mia giornata. Per fortuna è stato un giorno in cui tutto è andato storto…