Tag Archivio per: #contagio

E’ PIU’ PERICOLOSA LA PAURA O IL COVID-19?

Con il proliferare dei casi da Covid-19, si fa pandemica anche la paura. E sebbene ognuno di noi la viva e la manifesti in modo differente, sottovalutarne gli effetti è rischioso.

Come ricercatrice che studia il cervello e i comportamenti umani, spesso ho visto quanto può essere dannoso il contagio da paura. Se da un lato ci aiuta a sopravvivere, dall’altro ci può far fare cose insensate, che vanno in direzione contraria alla ragione per la quale questa emozione esiste.

Pensiamo a un branco di antilopi nella savana africana. Quando viene percepita la presenza di un leone, l’antilope si blocca per darsi subito dopo, alla fuga, seguita dall’intero branco. I loro cervelli sono programmati per rispondere alle minacce dell’ambiente e garantire la sopravvivenza della specie. Olfatto, vista, udito segnalano la presenza del predatore e innescano automaticamente la loro unica possibile soluzione: l’immobilità e subito dopo la fuga.

Responsabile di questo comportamento è l’amigdala una ghiandola sepolta nella profondità del lobo temporale del cervello, nonché la chiave per rispondere alle minacce: riceve le informazioni che le derivano dai 5 sensi, e inoltra il segnale a diverse aree del cervello, compresi ipotalamo e tronco encefalico, per coordinare le risposte di difesa specifiche: immobilizzazione, attacco o fuga.

Condividiamo, di fatto, gli stessi comportamenti automatici e inconsci di molte specie animali. Di fronte a una minaccia possiamo scappare, combattere o rimanere paralizzati.

Ma la paura del contagio è qualcosa di più.

La fuga da parte delle antilopi non inizia nel momento dell’attacco da parte di un leone, bensì quando ne viene percepita la vicinanza. Ed è il comportamento terrorizzato dell’antilope che per prima intercetta il predatore, a condizionare il comportamento dell’intero branco.

Noi, esseri umani, non ci comportiamo in modo tanto diverso. Infatti, sappiamo inconsciamente intercettare la paura sul volto delle altre persone, in 33 millesimi di secondo, prima ancora cioè di averne piena consapevolezza.

L’area del cervello responsabile di tutto questo è la corteccia cingolata anteriore (ACC): circonda il fascio di fibre che collegano l’emisfero destro e sinistro del cervello. Quando vediamo una persona esprimere paura, l’ACC si attiva e porta l’informazione all’amigdala che a sua volta fa partire la risposta: attacco, fuga o paralisi.

Intercettare la paura in modo tanto rapido è utile dunque per aiutare un intero gruppo a preservarsi, a sopravvivere. Ed è tanto più solida, questa abilità, fra persone dello stesso gruppo rispetto a quella fra estranei.

CONTROLLARE LA PAURA, SI PUO’?

Il contagio della paura si verifica automaticamente e inconsciamente, rendendone così difficile il controllo. Questo fenomeno spiega gli attacchi di panico di massa che possono verificarsi durante i concerti, i grandi eventi sportivi o le pandemie. Una volta che la paura si innesca tra la folla – per esempio quando qualcuno pensa di aver sentito uno sparo – non c’è tempo o modo per verificare le fonti. Le persone devono fare affidamento l’una sull’altra, proprio come fanno le antilopi. La paura viaggia da una all’altra, infettando ogni individuo mentre procede, come un effetto domino. Tutti iniziano a correre per difendere la propria vita. Troppo spesso, il panico di massa finisce in tragedia.

Il contagio da paura inoltre non richiede un contatto fisico per attivarsi. Bastano immagini terrificanti trasmesse da Media e Social per far crollare la fiducia nelle persone. Inoltre, mentre le antilopi della savana smettono di correre quando sono a distanza di sicurezza dal predatore, la sensazione di pericolo immediato, negli esseri umani non diminuisce altrettanto facilmente.

Non c’è modo di impedire il contagio da paura – dopo tutto è automatico – ma si può fare qualcosa per mitigarlo. Gli scienziati hanno scoperto che la presenza di una persona calma e sicura può fare la differenza. Ad esempio, un bambino terrorizzato da uno strano animale si calmerà se è presente un adulto calmo.

FATTI E PAROLE: UGUALMENTE IMPORTANTI

Inoltre, le azioni contano più delle parole ma le parole e le azioni devono essere coerenti fra loro: spiegare alle persone che non è necessario se si è sani, indossare una maschera protettiva, mostrando immagini di individui che indossano tute ignifughe è contro produttivo. L’unico risultato che otterremo è quello di spingere le persone a fare scorta di maschere perché vedono figure autoritarie che le indossano quando affrontano un pericolo invisibile.

Anche se i fatti contano più delle parole, le parole mantengono ancora una certa importanza. Le informazioni devono essere chiare, coerenti e univoche. Quando si è sotto stress, è più difficile elaborare dettagli e sfumature. Mentire e omettere dati aumenta l’incertezza e l’incertezza aumenta paura e ansia.

L’evoluzione ha indotto gli esseri umani a condividere minacce e paure. Ma ci ha anche fornito la capacità di affrontare insieme queste minacce e a contenerle se ci ricordiamo di usare la nostra razionalità.

PERCHE’ avere PAURA può SALVARCI la VITA

Difficile dimenticare Lunch atop a Skyscraper (pranzo in cima a un grattacielo), la foto in cui 11 uomini dai vestiti sporchi e dai volti sereni, consumano il loro pranzo al sacco, seduti uno di fianco all’altro, sulla trave d’acciaio di un grattacielo in costruzione nella grande mela quello, per essere precisi, che sarebbe diventato l’RCA Building, uno dei grattacieli che formano il complesso del Rockefeller Centre, all’altezza della 41° Strada.

Era il 1932. Undici uomini rischiavano ogni giorno la vita per quel lavoro, apparentemente niente affatto spaventati di consumare la propria pausa pranzo al 69° piano dell’edificio, a un’altezza di 260 metri dalle strade di Manhattan.

Quelle stesse facce serene le incontriamo oggi all’angolo della strada, al supermercato, nel parco sotto casa o nelle immagini di feste clandestine postate orgogliosamente sui social, in barba al decreto che ci  vuole tutti a casa, ma soprattutto con la stessa leggera espressione. Incuranti del pericolo, incapaci di percepirlo. Come a dire e a dirsi… a me non può accadere.

Se nel 1932 questa foto suscitò grande scalpore (non a caso fu pubblicata sull’Herald Tribune insieme a un articolo in cui si contestava la totale mancanza di adozione di dispositivi di protezione o misure di sicurezza), nel 2020, 90 anni dopo, continua a far venire le vertigini ad alcuni e ad altri la voglia di salire anche loro lassù. Insomma passano gli anni, ma spericolatezza e paura ci abitano ancora allo stesso modo.

Perchè?

NON SEMPRE SAPPIAMO QUANDO AVERE PAURA

Il modo in cui viene percepito il rischio è fenomeno complesso, nonché soggettivo e risente della nostra irrazionalità più di quanto ci piace credere e ha molto a che fare con il nostro vissuto e le nostre convinzioni. Questo fa sì che qualcuno sottovaluti e altri sovrastimino i rischi e quindi il pericolo e attivino dei comportamenti e delle reazioni non proporzionate al fenomeno. In parole semplici, capita che le persone a volta temano eventi che non sono in realtà pericolosi e non temano invece, eventi che potrebbero avere conseguenze drammatiche.

Un esempio: l’errata convinzione che viaggiare in auto sia più sicuro che prendere un aereo. Razionalmente sappiamo che non è così, ma la paura di volare è più impattante di quella di guidare soprattutto dopo un incidente aereo recente.

QUANDO HO IL CONTROLLO… NON C’E’ RISCHIO

Alcuni fattori più di altri influenzano la percezione che abbiamo di un fenomeno. Uno di questi è quanto controllo possiamo esercitare sugli eventi che possono generare pericolo. Per esempio: crediamo di poter esercitare più controllo alla guida che di fronte a un terremoto. Un altro è: quanto volontariamente abbiamo deciso di affrontare una situazione pericolosa e quanto gravi sono le conseguenze.

Se pensiamo al coronavirus, la fuga nel cuore della notte dal nord al sud ne è un esempio, senza contare la discriminazione razziale verso cittadini cinesi. Un istinto che è difficile calcolare in termini statistici.

Un fattore importante lo gioca anche la correlazione positiva e/o negativa fra rischi e benefici di una decisione. Molte scelte che coinvolgono un possibile rischio offrono anche dei vantaggi (sottoporsi a indagine diagnostica, come raggi X e TAC). In questo caso rischi e benefici sono correlati in modo positivo se li si analizza in modo scientifico.
Tuttavia, nella mente delle persone questi due fattori impattano in modo negativo. Se una persona percepisce un’attività come rischiosa allora assocerà ad essa un basso beneficio, mentre se percepisce un’attività come sicura allora assocerà a essa un beneficio elevato.

Per esempio, se una persona non prende l’aereo per paura di precipitare, allora potrebbe giudicare questo mezzo di trasporto come molto rischioso e poco utile; diversamente coloro che trovano utile l’aereo perché permette di andare in tutto il mondo in modo relativamente veloce, ne sottovaluteranno il rischio.

Questo ragionamento dipende dal mondo in cui funziona il nostro cervello, ed è dovuto in particolare all’utilizzo del sistema intuitivo che agisce principalmente a livello inconsapevole e che influenza le nostre valutazioni coscienti sulla base delle reazioni emotive che associamo ai diversi stimoli. Di conseguenza, coloro che hanno paura di prendere l’aereo associano a questa attività un’emozione di tipo negativo che li porta a non riconoscerne i possibili benefici. Al contrario, coloro che vedono i benefici offerti dalla possibilità di viaggiare in aereo assoceranno a questa attività un’emozione positiva che li porterà a sottostimare i possibili rischi.

#NUNSEPOFA VS IORESTOACASA
  
Tornando al nostro virus, a seconda di quanto le persone assoceranno al stare a casa anzichè uscire o in un luogo lontano da ciò che chiamano casa, un’emozione di tipo negativa, saranno portati a sottovalutare i rischi, quindi a prendere treni super affollati, bus imballati o partecipare a feste e a chiacchierare con chiunque anche a breve distanza, perché solo raggiunta la meta di loro interesse si sentiranno veramente sicuri. E quindi non c’è disposizione, legge e provvedimento che tenga.

Insomma, ci sono molti modi di prendere decisioni e di spingere verso il comportamento più ecologico e sicuro, come dimostrano i Nudge. Purtroppo solo raramente se ne tiene conto. Eppure i Nudge, anche in questo caso, potrebbero fare grandi differente nella policy e non solo!

NON GRIDARE al LUPO, ORGANIZZA i DATI!

L’incertezza ci spinge a fare cose insensate. Qualcuno, per esempio, pensa di poter sconfiggere il coronavirus, andando in giro anziché stare a casa, come se fosse una questione di coraggio e altri che si barricano fra le mura domestiche,  rifiutandosi anche solo di parlare con il proprio partner.

Ognuno di noi affronta l’ignoto secondo regole ben note a chi mastica di scienze comportamentali, l’irrazionalità perversa e cadere in errore è quasi scontato. Eppure, in casi come questi, basterebbe affidarsi ai dati, ai fatti. Quelli veri, ovviamente!

Parlando con un collega, abbiamo rispolverato, non a caso, Factfulness il libro di Hans Rosling, il medico svedese che ha vissuto 20 anni in Congo per studiare e combattere il konzo, una malattia epidemica paralizzante.

L’ISTINTO DELLA LINEA RETTA

Rosling sintetizza le 10 ragioni per le quali non capiamo il mondo e quindi prendiamo sonore cantonate. Sviste che a volte ci fanno perdere soldi, altre la vita o quanto meno la salute. Sapevi, per esempio, che abbiamo l’abitudine ad assumere che una certa tendenza continui lungo una linea retta in perpetuo. La realtà, però, è molto diversa ma il nostro istinto ci impedisce di vedere la vita così com’è e considerare dati e fatti nel giusto modo.

Rosling per far capire il concetto, racconta di un focolaio di Ebola che colpì la Liberia. Come la maggior parte delle persone, supponeva che il numero di casi sarebbe continuato in linea retta: ogni persona infettava, in media, un’altra persona.

In questo modo è relativamente facile prevedere e controllare l’andamento dell’epidemia. Tuttavia, il medico svedese si imbattè in un rapporto dell’OMS secondo cui il numero di infezioni raddoppiava. Ogni persona infettava, non una ma due persone in media prima di morire.

ANDIAMO IN AUTOMATICO… MA I NUMERI VANNO LETTI IN ALTRO MODO

Facciamo un passo indietro e guardiamo all’errore in un altro modo.

Molti presumono che la popolazione mondiale stia aumentando. Pertanto se non venisse fatto nulla, raggiungerà livelli insostenibili, il che significa che deve accadere qualcosa di drastico per evitare che questa tendenza peggiori. Tuttavia, i dati delle Nazioni Unite mostrano che il tasso di aumento della popolazione sta rallentando. Con il miglioramento delle condizioni di vita, il numero di bambini per famiglia diminuisce. In pratica la crescita può essere controllata combattendo la povertà estrema.

Rosling usa l’esempio di un bambino. Nei primi anni di vita, neonati e bambini crescono rapidamente. Se si dovesse estrapolare questa crescita per il futuro, i bambini di dieci anni sarebbero più alti di quanto lo sono in realtà. Ma ciò non accade: tutti sappiamo come il tasso di crescita in realtà rallenti nel tempo.

Di fronte a situazioni sconosciute, assumiamo che uno schema continui in linea retta. Invece dovremmo ricordare che i grafici si muovono in molte forme strane, e le linee rette sono rare. Ad esempio, la relazione tra istruzione primaria e vaccinazione è una curva a S; i livelli di reddito in un paese e le morti per traffico è una gobba. Possiamo prevedere la progressione di un fenomeno capendo la forma della sua curva. Altrimenti si avranno solo assunzioni errate e false conclusioni che a loro volta porteranno a soluzioni inefficaci.

Tornando all’Ebola Rosling non si capacitava della curva di morti che si ingigantiva sempre di più e diceva sempre meno sulla tendenza dei casi confermati ed effettivi. “Se non si riesce a misurare i progressi, non si capisce se le misure adottate funzionino”. Il medico così cambiò modo di analisi, non solo prese a conteggiare i morti ma anche a monitorare l’efficacia dei trattamenti e dei comportamenti attuati per fermare l’epidemia.

GRIDARE AL LUPO VS ORGANIZZARE I DATI

Quando un problema sembra urgente, la prima cosa da fare non è gridare al lupo, ma organizzare i dati”. E i dati confermarono che il numero di casi aveva raggiunto il picco due settimane prima e che stava diminuendo. I liberiani intanto avevano cambiato atteggiamento: niente abbracci e niente strette di mano, nessun contatto fisico superfluo, scrupolosa obbedienza alle severe norme igieniche imposte a locali pubblici e privati.

Spesso alimentare un senso di urgenza ci dà l’impressione di fare qualcosa e quindi di ottenere risorse più velocemente, ma come si dimostrò con l’ebola così facendo si convogliavano soldi e risorse verso obiettivi sbagliati. Ed è un po’ quello che sta succedendo ora con il corona virus.

L’urgenza distorce la realtà e genera la sensazione dell’adesso o mai più.

ANTIDOTO

L’antidoto? Analizzare dati e fatti con metodi statistici e non lasciarsi influenzare dalle voci di corridoio, dalle chiacchiere da bar o dai post di persone non preparare sull’argomento. “I dati occorre usarli per dire la verità, non per esortare il pubblico all’azione, a prescindere da quanto le intenzioni siano nobili”.