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LE BUONE DECISIONI SI PRENDONO SOLO SE SI DISPONE DI TUTTE LE INFORMAZIONI. ANCHE NO…

Siamo portati a credere che fornendo alle persone tutte le informazioni disponibili, queste saranno in grado di prendere buone decisioni.

Noi stessi pensiamo di prendere decisioni informate laddove disponiamo di tutti i dati.

Non è così. O molto meno di quanto si pensi.

1° punto: disporre di tutte le informazioni non è un indicatore poiché non è misurabile: non c’è modo di sapere quando si dispone di tutte le informazioni.

2° punto: la maggior parte delle volte le persone non prendono decisioni informate. Prendono decisioni emotive. Cercano informazioni a supporto della decisione verso cui sono orientati e screditano tutto ciò che è contro. E questo non le conduce a prendere una decisione informata. Solitamente neppure una buona.

3° punto: non tutte le informazioni sono utili e le persone non sono sempre brave a capire quali sono quelle inutili. Anche le più esperte e preparate sbagliano.

La chiave per prendere buone decisioni è essere in grado di filtrare le informazioni errate e concentrarsi su quelle giuste. La prima parte è molto più importante della seconda.

E’ difficile sapere se si hanno tutte le corrette informazioni che servono. Anzi, quasi mai disponiamo delle migliori informazioni.

E nemmeno dovrebbe essere questo l’obiettivo. Ciò che occorre fare è eliminare le informazioni errate, quelle che distraggono o, peggio, spingono verso la scelta errata.

L’obiettivo è impedire che le informazioni errate circolino, finendo con il condizionarci e confonderci.

4° punto: la maggior parte delle persone cerca solo le informazioni che rafforzano il loro pensiero. Ecco perché l’algoritmo di YouTube, Amazon, Facebook e via dicendo è efficientissimo: sa che il modo migliore per coinvolgere le persone non è fornire loro le informazioni migliori, ma piuttosto dare loro ciò che vogliono.

E solitamente, ciò che vogliono è sentirsi bene con la decisione che stanno per prendere. Senza nulla che dica loro che stanno sbagliando o le metta in una situazione di incertezza. Ma difficilmente questo conduce a buone decisioni.

NON GRIDARE al LUPO, ORGANIZZA i DATI!

L’incertezza ci spinge a fare cose insensate. Qualcuno, per esempio, pensa di poter sconfiggere il coronavirus, andando in giro anziché stare a casa, come se fosse una questione di coraggio e altri che si barricano fra le mura domestiche,  rifiutandosi anche solo di parlare con il proprio partner.

Ognuno di noi affronta l’ignoto secondo regole ben note a chi mastica di scienze comportamentali, l’irrazionalità perversa e cadere in errore è quasi scontato. Eppure, in casi come questi, basterebbe affidarsi ai dati, ai fatti. Quelli veri, ovviamente!

Parlando con un collega, abbiamo rispolverato, non a caso, Factfulness il libro di Hans Rosling, il medico svedese che ha vissuto 20 anni in Congo per studiare e combattere il konzo, una malattia epidemica paralizzante.

L’ISTINTO DELLA LINEA RETTA

Rosling sintetizza le 10 ragioni per le quali non capiamo il mondo e quindi prendiamo sonore cantonate. Sviste che a volte ci fanno perdere soldi, altre la vita o quanto meno la salute. Sapevi, per esempio, che abbiamo l’abitudine ad assumere che una certa tendenza continui lungo una linea retta in perpetuo. La realtà, però, è molto diversa ma il nostro istinto ci impedisce di vedere la vita così com’è e considerare dati e fatti nel giusto modo.

Rosling per far capire il concetto, racconta di un focolaio di Ebola che colpì la Liberia. Come la maggior parte delle persone, supponeva che il numero di casi sarebbe continuato in linea retta: ogni persona infettava, in media, un’altra persona.

In questo modo è relativamente facile prevedere e controllare l’andamento dell’epidemia. Tuttavia, il medico svedese si imbattè in un rapporto dell’OMS secondo cui il numero di infezioni raddoppiava. Ogni persona infettava, non una ma due persone in media prima di morire.

ANDIAMO IN AUTOMATICO… MA I NUMERI VANNO LETTI IN ALTRO MODO

Facciamo un passo indietro e guardiamo all’errore in un altro modo.

Molti presumono che la popolazione mondiale stia aumentando. Pertanto se non venisse fatto nulla, raggiungerà livelli insostenibili, il che significa che deve accadere qualcosa di drastico per evitare che questa tendenza peggiori. Tuttavia, i dati delle Nazioni Unite mostrano che il tasso di aumento della popolazione sta rallentando. Con il miglioramento delle condizioni di vita, il numero di bambini per famiglia diminuisce. In pratica la crescita può essere controllata combattendo la povertà estrema.

Rosling usa l’esempio di un bambino. Nei primi anni di vita, neonati e bambini crescono rapidamente. Se si dovesse estrapolare questa crescita per il futuro, i bambini di dieci anni sarebbero più alti di quanto lo sono in realtà. Ma ciò non accade: tutti sappiamo come il tasso di crescita in realtà rallenti nel tempo.

Di fronte a situazioni sconosciute, assumiamo che uno schema continui in linea retta. Invece dovremmo ricordare che i grafici si muovono in molte forme strane, e le linee rette sono rare. Ad esempio, la relazione tra istruzione primaria e vaccinazione è una curva a S; i livelli di reddito in un paese e le morti per traffico è una gobba. Possiamo prevedere la progressione di un fenomeno capendo la forma della sua curva. Altrimenti si avranno solo assunzioni errate e false conclusioni che a loro volta porteranno a soluzioni inefficaci.

Tornando all’Ebola Rosling non si capacitava della curva di morti che si ingigantiva sempre di più e diceva sempre meno sulla tendenza dei casi confermati ed effettivi. “Se non si riesce a misurare i progressi, non si capisce se le misure adottate funzionino”. Il medico così cambiò modo di analisi, non solo prese a conteggiare i morti ma anche a monitorare l’efficacia dei trattamenti e dei comportamenti attuati per fermare l’epidemia.

GRIDARE AL LUPO VS ORGANIZZARE I DATI

Quando un problema sembra urgente, la prima cosa da fare non è gridare al lupo, ma organizzare i dati”. E i dati confermarono che il numero di casi aveva raggiunto il picco due settimane prima e che stava diminuendo. I liberiani intanto avevano cambiato atteggiamento: niente abbracci e niente strette di mano, nessun contatto fisico superfluo, scrupolosa obbedienza alle severe norme igieniche imposte a locali pubblici e privati.

Spesso alimentare un senso di urgenza ci dà l’impressione di fare qualcosa e quindi di ottenere risorse più velocemente, ma come si dimostrò con l’ebola così facendo si convogliavano soldi e risorse verso obiettivi sbagliati. Ed è un po’ quello che sta succedendo ora con il corona virus.

L’urgenza distorce la realtà e genera la sensazione dell’adesso o mai più.

ANTIDOTO

L’antidoto? Analizzare dati e fatti con metodi statistici e non lasciarsi influenzare dalle voci di corridoio, dalle chiacchiere da bar o dai post di persone non preparare sull’argomento. “I dati occorre usarli per dire la verità, non per esortare il pubblico all’azione, a prescindere da quanto le intenzioni siano nobili”.