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CARRIERA E FAMIGLIA: la DELICATA POTENZA dell’EQUILIBRIO

“Non sono una #workaholic come la maggior parte delle donne partner di questo studio, voglio avere presto un figlio, rincasare a orari normali, e non consumarmi in estenuanti gare a chi è l’ultimo a lasciare l’ufficio in virtù di un autoinganno, la rincorsa al potere che una volta che si raggiunge si frantuma in una lotta a sentirsi indispensabili abnegando se stessi”.

Se non fosse per gli anni di esperienza che mi porto addosso, avrei sicuramente portato sul personale questa conversazione. Ho respirato a fondo, invece, cercando di supportare la giovane manager nel modo più efficace che conoscevo. Pur sapendo che quel tema non si sarebbe esaurito nel corso di una sola chiacchierata.

“Ho visto il mio capo, donna, arrivare ad abdicare i propri valori. Accettare compromessi inimmaginabili, affinare l’arte della manipolazione, per il bene comune. Ma qual è il bene comune? Quello dello studio, della società o di se stessi?”.

Il potere cambia. E’ giusto sia cosi. Non è corruzione, piuttosto una nuova sicurezza e consapevolezza che si esplicita anche attraverso segni esteriori, grazie ai quali imporsi con maggior vigore.

Spesso – rifletto – le donne lo dimenticano: l’abbigliamento elegante non è vanità, sul luogo di lavoro è segno distintivo e di potere. Gli uomini lo sanno, con i loro completi perfetti. Le donne sentono di dover giustificare sempre qualcosa.

La consapevolezza di sé, è lo specchio di una abilità acquisita: il controllo di ciò che si è conquistato. Conquista che spesso presuppone un costo: centellinare la vita privata, come si fa con i dolci sotto dieta. Una dieta che però può trasformarsi in una dipendenza.

“Ha messo la carriera in cima alle sue priorità a discapito di tutti gli altri aspetti della sua vita. È triste, quasi inquietante, vederla ogni volta compromettere la sua vita privata. Il lavoro le è costato tantissimo: il matrimonio, il rapporto con il figlio. E’ una delle più brave professioniste nel suo campo, ma per diventarlo ha perso tutto ciò di cui aveva di più caro. Non voglio vivere la medesima solitudine, con le amiche più care a rincorrere l’agone della famiglia”.

Ascoltando la giovane manager, comprendo altrettanto bene il suo capo: due donne agli estremi, in comune la medesima battaglia. La difesa di valori personali e antitetici. Due facce della stessa medaglia. Ognuna con il proprio significato svelato, di cosa è veramente importante per il raggiungimento della (rispettiva) felicità.

Valori difficili da condividere, soprattutto con gli uomini che si sa, non sono soliti far sconti quando si tratta di sesso debole, più propensi a sfoderare un sordo antagonismo. Ma se poi la donna arriva a gestire il potere, sono proprio le altre donne ad aiutarla a ritrovare dentro di sé le doti tipiche di genere e a reimparare ad usarle, facendo spesso da leva per imporre sul lavoro un codice più visionario per lo sviluppo di un’organizazione più moderna e flessibile.

Il segreto, difficile ma necessario, confido alla giovane donna poco prima di salutarci, è trovare l’equilibrio fra doti maschili e femminili, fra valori e desideri, ricalibrandoli giorno dopo giorno nel rispetto di ciò che è più importante per se stessi.

L’autoinganno della disponibilità, dove vogliamo tutto in ogni momento e pensiamo di raggiungere tutto in qualsiasi istante, la famiglia perfetta, la relazione perfetta, i figli perfetti e il lavoro perfetto, è una delle trappole più audaci e perseveranti, alla quale cediamo. Miraggio o peccato universale? Guardare ma non toccare. Il biglietto omaggio per la vanità.

TRADIAMO anche QUANDO siamo FELICI

Il tradimento esiste anche nelle coppie felici. Anche quando figli splendidi abitano le nostre dimore. Anche quando foto di lui e lei sorridenti e soddisfatti riempiono ogni anfratto della casa.

Siamo stati educati a pensare che quando tutto funziona in un matrimonio, non si è portati a guardare altrove, certi che l’infedeltà non ha modo di esistere e che l’equilibrio fra libertà e sicurezza, una volta raggiunto, si faccia compatto come ghiaccio. Eppure anche il ghiaccio si scioglie. Come i matrimoni felici ed infelici. Come le relazioni aperte dove i confini del sesso extraconiugale sono stati negoziati e consolidati.

Perché allora si tradisce se si è felici, se a casa c’è tutto ciò che serve? Perché neanche il matrimonio perfetto ci immunizza dal desiderio di vagabondare e sperimentare?

ALLA RICERCA DI UNA NUOVA IDENTITA’

Spesso non ha a che fare con l’altro ma con la scoperta di sé, come ricerca di una nuova identità. “L’infedeltà – sostiene la psicoterapeuta Esther Perel, non è tanto il sintomo di un problema, quanto un’esperienza liberatoria fatta di crescita, scoperta e trasformazione”. Quando cerchiamo lo sguardo di un’altra persona, non è dal coniuge che ci stiamo allontanando ma dalla persona che siamo diventati. Non stiamo cercando un amante ma una versione, diversa, nuova di noi stessi.

Ad attivarsi è, in questi casi, il cervello rettiliano, lo stesso che si attiva nell’alcolista che ha necessità di bere e il tossico della sua dose. “Il dio dell’amore vive in uno stato di bisogno, di urgenza. E’ un disequilibrio, allo stesso modo della fame e della sete. Si dice, in questi casi, tu sei la mia droga: l’amore è una dipendenza. A tutti gli effetti. Anche quando si tratta di se stessi. Abbiamo bisogno di una tossicodipendenza emozionale anche quando si tratta di noi.

Allo stesso modo degli altri, ci si stufa anche di una parte di noi. Difficile però ammetterlo, più comodo è cercare come fa l’ubriaco le chiavi perdute non dove gli sono cadute, ma dove c’è più luce. Noi umani tendiamo a cercare la verità dove è più facile guardare, non dove è più probabile che si trovi (la trappola dell’effetto lampione).

Ed è per questo che spesso è più facile dare la colpa a un matrimonio in crisi che fare i conti con se stessi, le proprie paure, aspirazioni, enigmi e la nostra incapacità di regalarci emozioni. Mossi dal sospetto che c’è una felicità più assoluta, cruciale, che ci stiamo perdendo, che non abbiamo esplorato: è la nostalgia per le vite che non abbiamo vissuto, le strade che non abbiamo preso, «il tradimento è la vendetta delle possibilità negate».

DOPAMINA E RICOMPENSA

Abbiamo bisogno di tornare a volerci bene, di inondandoci di dopamina, la sostanza della ricompensa all’infinito. Che infinito non è mai. Piuttosto un vertiginoso giro di giostra. Altrimenti è come quando veniamo lasciati e ci scottiamo. Non per nulla si attiva la stessa area del cervello che reagisce a un dolore fisico, tipo una scottatura.

La tentazione è pur sempre quella di non provare dolore, entrare in quello stato alterato della mente che corrisponde a far follie: non senti fatica, accetti sfide impossibili, perdi lucidità, e ogni cosa ti sembra la più bella del mondo. Ebbri di ossitocina: l’ormone della felicità. Dimentichi che abbiamo nella nostra mente tutto quello che serve. E se manca, non necessariamente è per colpa di qualcun altro al di fuori di noi.