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Prendere DECISIONI COMPLESSE è come giocare a SCACCHI… anzi, più difficile!

Prendere decisioni semplici è un po’ come ordinare al ristorante: si valutano le opzioni disponibili e poi si sceglie quella che promette di offrire la massima gratificazione.

Quando si tratta di scelte complesse, come acquistare una casa, ideare un business plan o valutare le polizze assicurative, identificare oggettivamente l’opzione migliore è poco pratico e spesso impossibile.

La scelta di un piano di assicurazione sanitaria, ad esempio, richiede la stima della probabilità di aver bisogno o meno di una biopsia o di un’appendicectomia, un gioco di indovinelli a più livelli che sarà inevitabilmente pieno di errori.

La stessa cosa vale quando si deve scegliere una strategia di marketing: ogni potenziale mossa apre la porta a una miriade di reazioni da parte di clienti e competitors, portando a milioni di possibili scenari, ognuno dei quali il decisore può prevedere solo in modo imperfetto.

Quindi cosa occorre fare quando, in un processo decisionale, le alternative disponibili sono così complesse da non capire quanto valga ogni opzione?

A cercare di rispondere, i ricercatori della Kellogg School, avvalendosi di un laboratorio insolito: la scacchiera.

Utilizzando dati di 200 milioni di mosse da una piattaforma di scacchi online, i ricercatori sono arrivati a nuove conclusioni su come i giocatori trovano la loro strada attraverso la complessità.

Hanno scoperto che rallentare aiuta ma che i più bravi necessitano di molto più tempo decisionale extra rispetto i meno esperti. E contro intuitivamente che, aggiungere un’opzione mediocre, può essere peggio che aggiungerne una pessima.

Come i giocatori di scacchi prendono decisioni

Gli scacchi hanno diverse caratteristiche che li rendono perfetti per studiare le decisioni complesse.

La qualità di ogni mossa può essere classificata oggettivamente. A differenza di un piano assicurativo o di una strategia di marketing, dove misurare e classificare accuratamente ogni singola alternativa è raramente possibile, alcune mosse degli scacchi possono essere chiaramente identificate come parte di una strategia vincente: mosse che garantiranno una vittoria, indipendentemente da ciò che fa l’avversario. Allo stesso modo in caso si voglia un pareggio o una sconfitta.

Per quanto bizzarro, il gioco degli scacchi è riconducibile a mosse vincenti e non, predefinite, come dimostrato più di un secolo fa dal matematico tedesco Ernst Zermelo.

Eppure, nonostante ci sia la possibilità di valutare oggettivamente ogni mossa, la natura del gioco spesso rende difficile anche per i giocatori esperti distinguere una buona mossa da una cattiva. Di conseguenza, il modello standard del processo decisionale, in cui una persona valuta le opzioni una per una e poi seleziona l’alternativa migliore, in genere non si applica. L’enorme numero di mosse disponibili rende impossibile valutare ogni opzione (specialmente negli scacchi di velocità).

Pertanto, i giocatori in genere considerano solo un piccolo sottoinsieme di tutte le opzioni possibili e scelgono la prima che considerano abbastanza buona, cioè la prima mossa che credono produrrà una vittoria, una strategia che gli economisti chiamano “soddisfacente”.

Dato che molte decisioni del mondo reale richiedono anche un approccio soddisfacente, i ricercatori della Kellogg School hanno pensato che studiare come i giocatori si muovono sulla scacchiera, aiuti a capire meglio le dinamiche del processo decisionale complesso.

Un database monumentale di mosse scacchistiche

I dati presi in esame provengono da Lichess.org, uno dei più grandi server di scacchi online del mondo. Il database comprende otto anni di giochi, centinaia di milioni di mosse di centinaia di migliaia di giocatori (hobbisti e grandi maestri).

È importante sottolineare che i dati dicono non solo quale pezzo si è mosso e dove, ma la configurazione completa in ogni momento di gioco.

I ricercatori si sono concentrati su ciò che i giocatori chiamano “endgame”: scenari con un numero limitato di pezzi rimasti sulla scacchiera, e dove entrambi i giocatori stanno tentando lo scacco matto. In particolare, scenari con meno di sei pezzi sono stati utili perché sono stati “risolti” usando i computer, cioè per qualsiasi configurazione di sei pezzi sulla scacchiera, gli informatici hanno catalogato tutte le possibili mosse e come si inseriscono in una strategia che può garantire una vittoria, una sconfitta o un pareggio.

Ma ottenere i dati sulle mosse effettive è stato solo l’inizio. Per ogni finale, Salant e Spenkuch, questi i nomi dei due ricercatori, dovevano determinare tutte le possibili mosse che il giocatore avrebbe potuto fare, e se ognuna di queste era vincente, perdente o un pareggio.

Un lavoro di ricerca enorme, che ha richiesto 600.000 ore e dati contenenti 4,6 miliardi di ipotetiche mosse.

Chi prende la decisione giusta in situazioni complesse?

Gli studiosi hanno iniziato osservando come il grado di complessità influisse su quali opzioni venivano scelte.

Il modello economico standard di scelta prevede che le mosse vincenti più complesse (quelle che richiedono più passaggi intermedi per ottenere uno scacco matto) dovrebbero essere scelte più frequentemente rispetto alle mosse vincenti meno complesse. Salant e Spenkuch scoprirono che questo non era il caso negli scacchi: maggiore era la complessità di una mossa vincente, meno frequentemente veniva scelta, presumibilmente perché il percorso verso la vittoria era più confuso.

I ricercatori hanno scoperto poi che il livello di abilità di un giocatore influenza il processo decisionale: i migliori giocatori al mondo avevano meno probabilità dei meno esperti di commettere un errore. Divario che si è fatto via via più pronunciato con l’aumentare della complessità delle mosse vincenti, suggerendo che l’esperienza dei migliori giocatori li avvantaggiava maggiormente in scenari particolarmente difficili.

 I livelli di abilità dei giocatori hanno anche influenzato il modo in cui si sono comportati sotto la pressione del tempo. Prevedibilmente, i giocatori titolati hanno commesso meno errori rispetto ai non professionisti, indipendentemente da quanto tempo è stato dato loro per scegliere le mosse.

Ma la differenza era minore nelle varietà più frenetiche di scacchi di velocità che si concludevano in pochi minuti. Nelle partite più lente, quando il tempo di decisione era meno limitato, i giocatori non professionisti erano considerevolmente più propensi a fare una mossa sbagliata. A beneficiare maggiormente del tempo, per pensare, sono i giocatori esperti.

Interessante è notare come i giocatori non sembravano in difficoltà di fronte al “sovraccarico di scelte” quando affrontavano un gran numero di mosse possibili: in realtà commettevano meno errori quando erano disponibili più mosse, probabilmente perché gran parte delle alternative in questi scenari erano mosse vincenti.

In pratica, per usare le parole dei ricercatori “Puoi aggiungere tutte le mosse vincenti che vuoi. Ciò non comporterà ulteriori errori. Se vuoi rendere il problema il più difficile possibile, devi aggiungere opzioni che non sono ottimali ma abbastanza vicine ad essere ottimali“.

Navigare nella complessità nel mondo reale

Per i ricercatori, “in ambito aziendale, è importante capire come le persone prendono decisioni a livello elementare“. Questo dice molto di come si approcceranno a quelle complesse. Ovviamente, il contesto lavorativo è più articolato di quello di un tavolo da gioco, a meno che ci si stia giocando i guadagni di una vita, o la vita stessa.

Tuttavia, ci sono lezioni che possono essere utili:

  • I leader aziendali non dovrebbero presumere che un dipendente con le migliori prestazioni sceglierà l’opzione giusta in una crisi, in una frazione di secondo, ad esempio, poiché i dati degli scacchi suggeriscono che i benefici dell’esperienza svaniscono quando c’è scarsità di tempo.
  • Non necessariamente una soluzione sarà quella scelta, senza contare che in questi casi, il paradosso delle scelte (troppe scelte, nessuna scelta), pare spingere a cercare la soluzione soddisfacente, anziché abbandonare il processo decisionale, come invece avviene nelle scelte semplici.

Forse queste ricerche ci aiuteranno meno di quello di cui avremmo bisogno di fronte a situazioni complesse, ma forse il bello della sfida è proprio questo: non c’è una soluzione preconfezionata. La possibilità di pensare. E al giorno d’oggi, non è poco.

RISOLVERE PROBLEMI in TEMPI INCERTI e CONDIZIONI IMPERFETTE

 

Prendere buone decisioni non è una abilità innata. Si può allenare e migliorare.

Ecco 5 approcci che possono rivelarsi molto utili.

1. Sii curioso

Di fronte all’incertezza, non stancarti di chiedere “Perché?

Sfortunatamente, crescendo, tendiamo a smettere di fare domande. Il cervello dà un senso a un numero enorme di informazioni imponendo modelli che si sono dimostrati utili in passato. Ecco perché è utile fare una pausa e chiedersi:

perché le condizioni o le ipotesi sono quelle che sono?

Questo fino a quando non si arriva alla radice del problema.

 

I bias, tra cui conferma, disponibilità e ancoraggio, spesso portano a restringere anzitempo la gamma di soluzioni. Eppure le risposte migliori derivano dall’essere curiosi.

Un suggerimento arriva dell’economista Caroline Webb: mettere un punto interrogativo dopo le ipotesi iniziali tende a incoraggiare più percorsi di soluzione e pone l’accento, correttamente, sulla raccolta dei dati.

Utili sono anche le sessioni di tesi/antitesi, in cui un gruppo viene diviso in squadre avversarie che mettono in dubbio le conclusioni iniziali. I risultati migliori derivano dall’accettazione dell’incertezza. La curiosità è il motore della creatività.

 

2. Tollera l’ambiguità e rimani umile!

Spesso, quando pensiamo ai bravi decisori, tendiamo a immaginarli perfettamente razionali, quasi matematici. La realtà è che la maggior parte delle buone decisioni prevede molti tentativi e altrettanti errori; è più simile all’apparente casualità del rugby che alla precisione di un programmatore.

Le ipotesi basate sull’istinto possono essere sbagliate. Ecco perché una delle chiavi per operare in ambienti incerti è l’umiltà epistemica che Erik Angner definisce come:

la consapevolezza che la nostra conoscenza è sempre provvisoria e incompleta e può richiedere una revisione alla luce di nuove prove“.

Inizia con soluzioni sfidanti che implicano certezza. Puoi farlo nel modo migliore ponendo domande come:

“Cosa dovremmo credere perché questo sia vero?

Ciò rende più facile valutare le alternative. Quando l’incertezza è alta, vedi se puoi fare piccole mosse o acquisire informazioni a un costo ragionevole per arrivare a un insieme di soluzioni. La conoscenza perfetta scarseggia, in particolare per problemi aziendali e sociali complessi. Abbracciare l’imperfezione può portare a una risoluzione dei problemi più efficace. È praticamente un must in situazioni di elevata incertezza, come l’inizio di un processo di problem solving o durante un’emergenza.

 

3. Apri la visione

Le libellule hanno una visione quasi a 360 gradi, con un solo punto cieco dietro la testa. Questa straordinaria visione è una delle ragioni per cui è in grado di tenere d’occhio un singolo insetto all’interno di uno sciame e inseguirlo evitando collisioni a mezz’aria con altri insetti dello sciame.

L’idea di un occhio che cattura 360 gradi di percezione è un attributo dei “superprevisori”: i migliori nella previsione degli eventi.

Pensa a questo come ad allargare l’apertura su un problema o guardarlo attraverso diverse angolature.  Allargando l’apertura, possiamo identificare minacce o opportunità diversamente impensabili. Il segreto per sviluppare una visione tipica delle libellule è “ancorarsi all’esterno” quando si affrontano problemi di incertezza e opportunità. Allarga più che puoi il contesto.   Ma prendi nota: quando tempi e risorse sono limitate, si potrebbe essere tentati di restringere oltre modo il campo e fornire una risposta convenzionale.

 

4. Sfrutta l’intelligenza collettiva e la saggezza della folla

È un errore pensare che la tua squadra abbia le persone più intelligenti nella stanza. Non è così. Sono altrove e nemmeno hanno bisogno di essere lì se puoi accedere alla loro intelligenza con altri mezzi.

E’ il consiglio di  Chris Bradley.

Quando Sir Rod Carnegie era CEO di Conzinc Riotinto Australia (CRA), era preoccupato per i costi dei tempi di stop imprevisti degli autocarri pesanti, in particolare quelli che richiedevano il cambio dei pneumatici. Ha chiesto al team chi era il migliore al mondo a cambiare le gomme; la risposta è stata la Formula Uno, la competizione automobilistica. Un team si è recato nel Regno Unito per apprendere le migliori pratiche per il cambio degli pneumatici nei box della pista e poi ha implementato ciò che ha appreso a migliaia di chilometri di distanza, nella regione di Pilbara, nell’Australia occidentale. La squadra più intelligente per questo problema non era affatto nel settore minerario. Non era sul posto, ma non ce ne sarebbe comunque stato bisogno.

 

5. Mostra e racconta perché la narrazione genera azione

I risolutori di problemi con poca esperienza tendono a mostrare il loro processo in modo analitico per convincerti dell’intelligenza della loro soluzione. I risolutori di problemi esperti raccontano il modo in cui collegano il pubblico al problema e poi usano combinazioni di logica e persuasione per ottenere l’azione.

Un team della Nature Conservancy, stava presentando una proposta per chiedere a una fondazione filantropica di sostenere il ripristino delle barriere coralline e la salvaguardia delle ostriche. Prima della presentazione, il team ha portato 17 secchi pieni d’acqua nella sala riunione. Quando i membri della fondazione sono entrati nella stanza, hanno subito voluto sapere a cosa servivano i secchi. Il team ha spiegato che il ripristino delle barriere migliora notevolmente la qualità dell’acqua perché ogni ostrica filtra 17 secchi d’acqua al giorno. Le ostriche possono aiutare a far funzionare l’economia. I decisori sono stati portati nella risoluzione dei problemi attraverso lo spettacolo e il racconto.

Il problem solving più elegante è quello che rende ovvia la soluzione. Il compianto economista Herb Simon l’ha messa in questo modo:

“Risolvere un problema significa semplicemente rappresentarlo in modo da rendere la soluzione trasparente”.

Inizia con l’essere chiaro sull’azione che dovrebbe scaturire dalla risoluzione dei problemi e dai risultati: l’idea guida per il cambiamento. Quindi trova un modo per presentare visivamente la tua logica in modo che il percorso verso le risposte possa essere discusso e abbracciato. Presenta l’argomento in modo emotivo e logico e mostra perché l’azione preferita offre un interessante equilibrio tra rischi e benefici. Ma non fermarti qui. Spiega i rischi dell’inazione, che spesso hanno un costo maggiore rispetto alle azioni imperfette.

 

Questi approcci possono essere utili in un’ampia gamma di circostanze, ma in tempi di grande incertezza sono essenziali.

Ora tocca a te…

 

Fonti

Angner E., “Epistemic humility—knowing your limits in a pandemic,” Behavioral Scientist, April 13, 2020, behavioralscientist.org.

Duke A., Thinking in Terms of Bets: Making Smarter Decisions When You Don’t Have All the Facts, New York, NY: Portfolio/Penguin, 2018.

Tetlock P., Gardner D., Superforecasting: The Art and Science of Prediction, New York, NY: Crown, 2015.

Bradley C., Hirt M., Smit S., Strategy Beyond the Hockey Stick: People, Probabilities, and Big Moves to Beat the Odds, Hoboken, NJ: Wiley, 2018.

Bradley C, McLean R., “Want better strategies? Become a bulletproof problem solver,” August 2019.

Simon H., The Sciences of the Artificial, Cambridge, MA: MIT Press, 1969.

COME ESSERE CERTI DI AVER PRESO UNA BUONA DECISIONE?

Come possiamo essere certi di aver preso una buona decisione?

Non necessariamente soddisfare l’obiettivo prefissato è sintomo di buona decisione.

Supponiamo di essere il direttore commerciale di un’azienda e di annoverare fra i collaboratori un commerciale di indubbia qualità e bravura, riconosciuto da tutti e a cui le società concorrenti fanno il filo da tempo.

Un giorno il commerciale arriva in ritardo a un meeting importante, si siede al suo posto come niente fosse e non chiede scusa e nemmeno imputa a qualche evento straordinario o grave la mancata puntualità.

Come vi comportereste nei panni del direttore? E come potete essere certi che la decisione presa sia buona?

Potreste riprendere il commerciale seduta stante o far finta di niente. In ogni caso, il rischio di incorrere in una decisione sbagliata potrebbe avere conseguenze pesanti: il commerciale potrebbe risentirsi e andarsene altrove oppure, se non agite, perdere credibilità e rispetto degli altri collaboratori.

Spesso la decisione che si prende è inficiata da convinzioni, valori e strategie adattive che in altri contesti e nel tempo si sono dimostrate efficaci. Non necessariamente però anche in questo caso, può funzionare. Mi spiego meglio.

Se per noi la puntualità è un valore importante e distintivo, difficilmente riusciremmo a tacere e saremo tentati di trattare il commerciale come tutti gli altri venditori della squadra e quindi a non considerarlo come il migliore dell’organizzazione. Di fatto, lo puniremmo appena entra in sala riunioni.

Se invece per noi è il valore della bravura a guidarci, saremo tentati di trattare i collaboratori proporzionalmente al loro merito e ai loro risultati. Di fatto, ignoreremo il ritardo certi dei vantaggi che il commerciale saprà portare all’azienda.

Quale decisione vi sembra corretta?

Nessuna delle due. Sia rimproverare sia ignorare il commerciale non sono decisioni corrette, poiché guidate dalla nostra storia, da pregiudizi e credenze e non dall’analisi del contesto, della situazione e di una visione a medio/lungo termine.

Riprendendo il commerciale, si potrebbero aprire due scenari. Il commerciale, accortosi dell’errore, potrebbe essere spinto a fare di più sul lavoro, aumentando ulteriormente il fatturato. E facilmente penseremmo che intervenire sui comportamenti sbagliati sia la miglior soluzione in frangenti di questo tipo, anche verso i collaboratori più efficaci e bravi.

Oppure il commerciale potrebbe prendere contatto con altre aziende del settore e imputarvi (imputare al direttore commerciale) la responsabilità della decisione, con il rischio che il CEO insoddisfatto di come è stata gestita la situazione, vi licenzi o perda fiducia in voi.

Quindi? Cosa è giusto fare?

Entrambe le scelte possono funzionare, purchè l’indicatore da considerare non sia semplicemente il risultato finale ma il processo che sottende a quella decisione.

Sapere quanto e quali valori, convinzioni e pregiudizi ci spingono verso strategie adattive e standardizzate è importante. Questo impedisce loro di portarci all’azione senza aver verificato le variabili e lo specifico contesto, rischi e opportunità di ciascuna opzione. Conoscere i rischi e gli effetti sia in negativo sia in positivo, ci guida verso la scelta corretta. In quel momento, in quel contesto.

Ogni decisione complessa non può essere presa senza un’analisi e un’attenzione al contesto.

Come è possibile prendere la giusta decisione?

Facendoci le giuste domande. Più domande ci facciamo più riusciremo a prevedere incertezza, eventi e rischi.

… to be continued

La tentazione irrazionale di privilegiare i brand attenti ai problemi della società

Quanto pensi che la frase

“Tutti i profitti andranno in beneficenza”

possa influenzare le tue decisioni e il tuo comportamento di acquisto?

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un notevole aumento delle azioni socialmente responsabili da parte delle aziende di tutto il mondo.

Ti sei mai chiesto perché ?

Noi, come consumatori, quindi esseri irrazionali , tendiamo a percepire i prodotti delle aziende che fanno uno sforzo sociale come superiori a quelli che non adottano questo tipo di politica .

Questo errore di valutazione è causato dall’effetto Noble Edge , o effetto beneficenza.

Questo effetto è in grado di modificare il nostro comportamento d’acquisto tanto da preferire il negozio di alimentari che dista 15 minuti di macchina, piuttosto che quello sulla nostra strada, se il primo sostiene di devolvere parte dei suoi guadagni a qualche società di beneficenza .

Se da un lato questo effetto ha i suoi pro, in quanto porta ad un aumento delle donazioni ea una maggiore attenzione ai fornitori, dall’altro può portare a errori di valutazione che non possono essere considerati insignificanti.

Effetto alone

L’effetto Noble Edge è strettamente legato all’effetto alone : il fenomeno permette alla prima impressione positiva di un singolo tratto di un individuo, oggetto o prodotto di influenzare in modo positivo la valutazione di altri tratti che non sono collegati a il tratto originariamente valutato. In altre parole, la valutazione di un singolo item influenza la valutazione di altri elementi, incidendo sul giudizio finale.

Come suggerito dai ricercatori Alexander Chernev e Sean Blair, tendiamo a percepire in modo più positivo i prodotti delle aziende che sono socialmente investite, rispetto a coloro che non adottano questa politica , e di conseguenza li acquistano più frequentemente, pagandoli di più : il 53% dei consumatori coinvolti nello studio ha affermato che pagherebbe il 10% in più per i prodotti di aziende socialmente responsabili.

Perché succede

Ciò si verifica perché tendiamo a basarci maggiormente su euristiche e pregiudizi quando ci troviamo in situazioni incerte .

Nello specifico, è più probabile che si cada vittima dell’effetto alone nella formulazione di giudizi sulla qualità dei prodotti venduti in un punto vendita quando non si ha dimestichezza con quel tipo di prodotto. Per fare un esempio che tutti possano capire, la nostra impressione di una concessionaria di auto che ha donato una grossa somma sarà influenzata solo se non sappiamo nulla di auto.

Al contrario, è improbabile che il nostro comportamento cambi nei confronti delle auto vendute da quella specifica concessionaria. Quando abbiamo a nostra disposizione le conoscenze e le informazioni necessarie per esprimere noi stessi giudizi sulla qualità di un prodotto, diventiamo più resistenti a molti pregiudizi.

Un altro fattore che influenza la pericolosità dell’effetto Noble Edge è legato all’autenticità e sincerità delle donazioni. Se pensiamo che un’azienda sia socialmente investita solo per aumentare i profitti o migliorare la propria reputazione , l’effetto alone e, per estensione, l’effetto Noble Edge non ci ingannerà, deviando le nostre scelte.

Dove tutto ha avuto inizio

Sebbene non abbiano usato il termine “effetto Noble Edge”, Chernev e Blair propongono una descrizione dettagliata del pregiudizio nel loro lavoro intitolato Fare bene facendo del bene: l’alone benevolo della responsabilità sociale delle imprese .

Il focus del loro studio era l’effetto alone e come ha generato l’effetto Noble Edge. Oltre alla presentazione della teoria alla base del loro concetto, hanno descritto alcuni studi sperimentali per mostrare l’evidenza empirica delle loro ipotesi.

Degustazione di vini

Uno degli esperimenti è stato progettato per mostrare come la filantropia di un’azienda ha indotto a sviluppare comportamenti più positivi nei confronti dei propri prodotti. Hanno chiesto ai partecipanti di questo studio di prendere parte a una sessione di degustazione di vini, durante la quale hanno servito loro vino rosso in bicchieri di plastica non contrassegnati, insieme a un foglio con i dettagli sull’enologo. Ogni partecipante ha ricevuto la stessa descrizione, ma i ricercatori hanno detto ad alcune persone, inoltre , che l’enologo ha donato il 10% delle sue entrate all’American Heart Association. Ai partecipanti è stato chiesto di leggere la descrizione, degustare il vino, valutandolo poi su una scala da 1 a 9. Successivamente è stato chiesto loro quanto ne sapevano del vino in generale, sempre su una scala da 1 a 9, dove 1 è “molto poco” e 9 significa “molto”.

I risultati di questo esperimento hanno mostrato coerenza con l’effetto Noble Edge: i partecipanti che hanno ricevuto informazioni sulle attività di beneficenza dell’enologo hanno valutato il vino che avevano assaggiato più alto di quelli che non avevano ricevuto tali dati.

Un’altra importante informazione emersa dallo studio è stata determinata dal fattore esperienza . Nello specifico, i partecipanti che hanno valutato “pochissima” la conoscenza che avevano del vino hanno dato un punteggio più alto al gusto, rispetto a quelli che si sono descritti come grandi intenditori.

Scarpe di tela

Alcuni anni fa, le scarpe di tela sono diventate molto popolari, ma è difficile attribuire la loro notorietà solo al comfort e allo stile. Quando l’azienda Toms Shoes è stata lanciata sul mercato, hanno affermato che, per ogni paio venduto, un altro paio sarebbe stato donato a un bambino bisognoso . È possibile che la manifestazione di responsabilità sociale di Toms abbia contribuito al loro successo: il numero di scarpe donate è passato da 10mila nel primo anno a 200mila nel secondo anno. In effetti, Toms ha ispirato altre aziende ad adottare l’approccio ” compra uno, dona uno “.

Ma, a un certo punto, la reputazione di Toms è stata messa in discussione. In particolare quando la donazione era considerata dirompente dalle economie locali e poco utile per risolvere problemi più ampi affrontati da chi viveva in condizioni di estremo bisogno. L’azienda avrebbe potuto fare uno sforzo in altro modo per offrire un aiuto concreto.

Come evitare l’effetto Noble Edge

Il primo passo è riconoscere l’esistenza di pregiudizi e la nostra fallacia nel farci persuadere senza essere sufficientemente informati sulle campagne social che diversi brand pubblicizzano poco a poco verso gli utenti finali ingenui.

Possiamo allora adottare un approccio più razionale . Questo significa che, invece di acquistare in automatico, dobbiamo valutare preventivamente pregi e difetti del prodotto e dell’azienda/negozio, confrontandoli con la concorrenza. Il fatto che un marchio sia socialmente responsabile può essere un punto di forza, ma se crediamo che i loro prodotti o servizi lascino molto a desiderare, forse è il momento di iniziare a cercare alternative.

Ricordalo la prossima volta che una pubblicità toccherà il tuo buon cuore. Potrebbe non essere come sembra!

Fonti


[1] Asch, SE, Formare impressioni di personalità, Journal of anormal and social Psychology, Vol. 41, numero 3, luglio 1946, 258-290

[2] Chernev, A., & Blair, S. (2015). Fare bene facendo del bene: l’alone benevolo della responsabilità sociale delle imprese, Journal of Consumer Research , 41 (6), 1412–1425

[3] Montgomery, M. (2015), Cosa possono imparare gli imprenditori dalle lotte filantropiche delle scarpe TOMS. Forbes . https://www.forbes.com/sites/mikemontgomery/2015/04/28/how-entrepreneurs-can-avoid-the-philanthropy-pitfalls/#246802d51c38

[4] Lindström J., TOMS Shoes: effetti positivi e negativi nei paesi in via di sviluppo, Helsinki Metropolia University of Applied Sciences Bachelor of Business Administration European Management https://www.theseus.fi/bitstream/handle/10024/144020/Jasmin_Lindstrom. pdf?sequenza=1