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U 731: l’UOMO ANNIENTA se STESSO

U 731. E’ il comparto dell’esercito giapponese nel quale, durante la II guerra sino-giapponese e la II Guerra Mondiale, si consumarono terrificanti atrocità nel nome di un folle progetto: trovare l’arma finale (chimica e batteriologica) che garantisse la supremazia definitiva del Giappone sul mondo.

Mente di tutto questo: Shiro Ishii (famoso per aver debellato, con uno speciale filtro per l’acqua, un’epidemia di meningite). Ishii si convinse di poter dare una mano al proprio paese con le ricerche su un nuovo tipo di guerra: quella batteriologica. Scienza, medicina, biologia e tecnologia combinate insieme potevano permettere al Giappone di vincere il conflitto, pur non potendo competere in armamenti, produttività e risorse con nazioni come Stati Uniti o Unione Sovietica.

Nacque così l’Unità 731. Nei campi di prigionia giapponesi, il repertorio di Ishii prevedeva: vivisezione senza anestesia, congelamento e amputazione degli arti. Alle vittime venivano ricucite gambe e braccia amputate, su altre parti del corpo per testare la resistenza dei soggetti a ustioni, elettroshock e gelo fino alla morte.

Alcuni prigionieri furono esposti a temperature di -20°C, fin quando le loro braccia congelate, colpite da un bastoncino, non emettevano un rumore simile a quello di una tavola in legno. Dopodiché venivano prima immerse nell’acqua bollente e dopo la loro pelle veniva strappata come carta.

Altri raccontano di un esperimento di inoculazione del virus della peste su 12 cavie; solo una persona sopravvisse per 19 giorni, per poi venire vivisezionata.

Per testare le armi spesso venivano posizionati a diverse distanze da una granata, che poi veniva fatta esplodere. Anche i bambini non venivano risparmiati. Per lo sviluppo di nuove armi biologiche venivano usati come cavie i cinesi. Gli aerei a bassa quota bombardavano città e villaggi nemici con pulci infettate con la peste.

Il problema, in quel caso, fu che le pulci infettarono anche le stesse truppe giapponesi, provocando la morte di 1.700 soldati perciò, dopo il primo tentativo, l’esperimento fu interrotto.

Le vittime degli esperimenti con armi batteriologiche fatti in Cina si stima siano state più di 200 mila. D’altronde Mao diceva: la bomba atomica non mi spaventa. Di cinesi ne ho talmente tanti.

Perché avrebbe dovuto avere paura della guerra batteriologica?

A Ishii, graziato per aver condiviso informazioni sulle sue ricerche con i vincitori della guerra, fu consentito di continuare le ricerche fino al 1959, quando morì per cause naturali a 67 anni. Le sue ricerche hanno reso il Giappone leader mondiale nella guerra batteriologica. Un triste primato.

AUSCHWITZ ASIATICA: le ATROCITA’ che l’UOMO REGALA a se STESSO

Ci sono esperimenti che seppur controversi hanno reso il mondo un posto migliore. Ce ne sono altri che sono serviti per creare lugubri catene di fabbriche della morte. Consegnandoci un altro tassello di ciò che è l’essere umano con i suoi comportamenti e le sue scelte. 

U 731. Il comparto dell’esercito giapponese nel quale, durante la II guerra sino-giapponese e la II Guerra Mondiale, si consumarono terrificanti atrocità nel nome di un folle progetto: trovare l'”arma finale” (chimica e batteriologica) che garantisse la supremazia definitiva del Giappone sul mondo.

Mente di tutto questo: Shiro Ishii (famoso per aver debellato con uno speciale filtro per l’acqua una epidemia di meningite). Si convinse di poter dare una mano al proprio paese con le ricerche su un nuovo tipo di guerra: quella batteriologica. Scienza, medicina, biologia e tecnologia combinate insieme potevano permettere al Giappone di vincere il conflitto, pur non potendo competere in armamenti, produttività e risorse con nazioni come Stati Uniti o Unione Sovietica. Nacque così l’Unità 731.

Nei campi di prigionia giapponesi, il repertorio di Ishii prevedeva: vivisezione senza anestesia, congelamento e amputazione degli arti. Alle vittime venivano ricucite gambe e braccia amputate, su altre parti del corpo per testare la resistenza dei soggetti a ustioni, elettroshock, gelo e persino centrifugati fino alla morte. Alcuni prigionieri furono esposti a temperature di -20°C, fin quando le loro braccia congelate colpite da un bastoncino non emettevano un rumore simile a quello di una tavola in legno. Dopodiché venivano prima immerse nell’acqua bollente e dopo la loro pelle veniva strappata come carta. 

Altri raccontano di un esperimento di inoculazione del virus della peste su 12 cavie; solo una persona sopravvisse dopo 19 giorni, ma venne vivisezionata immediatamente. Per testare le armi spesso venivano posizionati a diverse distanze da una granata, che poi veniva fatta esplodere. Anche i bambini non venivano risparmiati.

Per lo sviluppo di nuove armi biologiche venivano usati come cavie i cinesi. Gli aerei a bassa quota bombardavano città e villaggi nemici con pulci infettate con la peste. Il problema, in quel caso, fu che le pulci infettarono anche le stesse truppe giapponesi, provocando la morte di 1.700 soldati perciò, dopo il primo tentativo, l’esperimento fu interrotto. 

Le vittime degli esperimenti con armi batteriologiche fatti in Cina si stima siano state più di 200 mila. D’altronde Mao diceva: ‘la bomba atomica non mi spaventa. Di cinesi ne ho talmente tanti’. Perché avrebbe dovuto avere paura della guerra batteriologica?

A Ishii, graziato per aver condiviso info sulle sue ricerche con i vincitori della guerra, fu consentito di continuare le ricerche fino al 1959, quando morì per cause naturali a 67 anni. Le sue ricerche hanno reso il Giappone leader mondiale nella guerra batteriologica. Un triste primato