La parola leadership è, in questi ultimi anni, fra le più usate/abusate nel business (e non solo). Non a caso, le aziende spendono un bel po’ di soldi, per aiutare i propri uomini di punta, a svilupparla al meglio: circa 3,4 miliardi di dollari all’anno, secondo le stime, ma nulla o poco cambia.
Perché?
Non è mancanza di talento o pigrizia. O di cattiva programmazione o inefficienza. E’ ciò che viene chiamato in gergo “gap conoscitivo”, il grande abisso fra ciò che sappiamo e ciò che effettivamente applichiamo sul lavoro.
Esistono molte cause: sistemi di ricompensa fallaci, competizione all’ultimo sangue, stremanti obiettivi a breve termine, motivazione vacillante, carichi di lavoro disumani, riunioni fiume, spesso anche inconcludenti, e via dicendo. In pratica il manager sa cosa deve fare ma non ha modo di farlo.
Prendiamo ad esempio Mario, un manager che si sta impegnando per essere un grande leader: si preoccupa dell’engagement del proprio team, perché sa bene che è il riconoscere il valore dell’altro che dà benzina all’impegno. Poi però Mario comincia pian piano a correre da una riunione all’altra, focalizzandosi sulle singole attività, sui fogli di Excel, su cose non strettamente importanti o spettanti al suo ruolo, dimenticandosi di coinvolgere la squadra, motivarla, congratularsi anche quando fa un ottimo lavoro… vorrebbe farlo, ma qualcosa di sempre più impellente, reclama il suo tempo e la sua attenzione.
In fondo Mario ha seguito corsi su corsi su come impiegare al meglio le sue skills ma nessuno gli ha insegnato cosa realmente motiva le persone. Lui medesimo.
In questi casi basterebbe ci fosse appollaiato sulla spalla di Mario, una sorta di consigliere pronto a sussurrargli: “Mario, alla prossima riunione, prova a elogiare chi della tua squadra si è distinto per aver portato un risultato eccellente. Per qualcosa di positivo che ha fatto e per cui si è distinto. Qualcuno che ha dato il buon esempio”. Già, perché alle volte bastano due righe di e-mail per fare miracoli, per incoraggiare, ad esempio, anche le persone più introverse, prima di una riunione, a parlare e migliorarne il senso di inclusione.
Questo suggerimento è di fatto un promemoria, o meglio una spinta, un nudge. E i nudge possono fare una enorme differenza sui comportamenti che mettiamo in atto e possono sostanzialmente colmare la differenza fra ciò che sappiamo e ciò che applichiamo effettivamente sul lavoro. Molto più di standardizzati corsi di formazione.
COSA SONO I NUDGE?
Ufficialmente, il termine nudge è stato definito e reso popolare da due grandi professori di economia, Richard Thaler e Cass Sunstein: «Un nudge è qualsiasi aspetto della presentazione delle scelte che condizioni il comportamento degli individui, senza vietare però alcuna possibilità». In altre parole i nudge sono interventi che guidano le persone nella scelta verso decisioni più efficienti, preservando la libertà di scelta individuale. Alle spinte ognuno di noi può sempre e deliberatamente opporsi in quanto non sono vincolate da alcuna legge, se non da comune buonsenso. Un avvertimento è un esempio di nudge, l’allarme che si attiva quando dimentichiamo di allacciarci le cinture di sicurezza in auto, così come le indicazioni del GPS oppure un’impostazione predefinita.
Per qualificarsi come nudge, un intervento non deve prevedere incentivi materiali, tanto quanto i disincentivi. Multe e condanne in prigione non sono spinte gentili.
PIU’ FORMAZIONE NON E’ SEMPRE LA MIGLIORE SOLUZIONE
Il potere dei nudge di influenzare positivamente il comportamento umano si è rivelato così impattante che le grandi aziende, i militari e persino i paesi hanno formato delle “nudge unit” ufficiali, una sorta di task force per elaborare strategie per raggiungere con meno sforzo e più successo gli obiettivi organizzativi, rendere i luoghi di lavoro più funzionali al benessere individuale e collettivo, motivare i propri dipendenti e via dicendo.
Tutti, anche i manager più navigati e motivati, cadono facilmente nelle vecchie abitudini, concentrandosi su compiti che invece dovrebbero delegare, o si dimenticano di fornire feedback efficaci, dare apprezzamenti, sbagliano stile comunicativo e rimangono incastrati nella routine.
Anche se non esiste un proiettile d’argento, un antidoto universale, sappiamo che più formazione è raramente la risposta. Dovremmo forse dedicare meno tempo e denaro a nuovi programmi di formazione manageriale e un po’ di più all’applicazione delle conoscenze che già si possiedono. Con le odierne tecnologie digitali, dall’e-mail alla messaggistica ai messaggi audio, è più facile che mai ricorrere od organizzare campagne di nudging per promuovere i comportamenti virtuosi desiderati.
NUDGE E MOTIVAZIONE
Fra i compiti che spettano al leader, c’è indubbiamente quello di saper motivare collaboratori e dipendenti. Detto così sembra semplice, ma non lo è. Probabilmente molti di noi, senza usare i nudge, se dovessero, di punto in bianco, pensare a strategie per motivare i colleghi, a costo zero, brancolerebbero un bel po’ nel buio.
Come possono aiutare i nudge?
La motivazione non viene attivata dal denaro, ecco sfatato un primo mito. I soldi contano, ma nella scala gerarchica occupano un ruolo marginale. Il primo posto è occupato dall’individuazione di uno scopo, un purpose nell’attività che si sta svolgendo, come ben si evince già nella prefazione del libro Nudge Revolution. La strategia che rende semplici scelte complesse.
A dimostrare la portata dello scopo sono anche gli studi e le ricerche di Dan Ariely, professore di psicologia ed economia comportamentale alla Duke University. In un esperimento ha chiesto alle “cavie di turno” di montare dei Lego Bionicle per soldi. I partecipanti sapevano già che una volta realizzati, questi sarebbero stati “distrutti”, per poi essere ricostruiti da altri. Se in un primo momento, i volontari hanno accettano di buon grado di stare al gioco dietro compenso, man mano che l’esperimento procedeva le cose si sono fatte via via più incerte. Dopo non più di una decina di prove i volontari hanno dato forfait.
Il motivo: hanno perso motivazione. Non vedevano le loro azioni ricompensate da uno scopo reale: «Distruggendo i Lego davanti ai loro occhi – ha spiegato Ariely – hanno anche sostanzialmente distrutto la felicità che traevano da quest’attività».
Ciò che ci motiva è essenzialmente avere ben chiaro lo scopo, la ragione delle nostre azioni. Il perché facciamo una determinata cosa.
Se si è annoiati o si pensa che la propria motivazione stia venendo meno, Ariely consiglia di dare risposta a due domande. “Quale significato possiamo trovare in quello che facciamo? E in che modo il lavoro che svolgiamo contribuisce ad aiutare gli altri?».
E’ la definizione di uno scopo a motivarci e di conseguenza a renderci più felici e soddisfatti. A farci fare meglio le cose, a non farci mollare o a farci mollare in un tempo più dilatato, a rendere le decisioni meno faticose e insidiose. A far sembrare anche il compito più ingrato, utile, necessario e importante.
Un bonus in busta paga non sempre migliora la produttività di un lavoratore, anzi spesso ha l’effetto opposto. Come dimostra un esperimento sociale condotto in uno stabilimento Intel: i responsabili della fabbrica avevano stanziato dei bonus di produttività per motivare i dipendenti nella produzione di chip, in particolare nella loro prima giornata del ciclo lavorativo.
Cosa sarebbe successo se, invece di una ricompensa economica, fosse stata consegnata direttamente a casa una deliziosa pizza formato famiglia? Cosa sarebbe successo se al posto di una ricompensa tangibile, i dipendenti avessero ricevuto un messaggio dal proprio capo con su scritto “ottimo lavoro”?
Nel primo giorno di produzione, coerentemente con le intuizioni dei responsabili, fu riscontrato che il denaro, la pizza e l’elogio avevano tutti dato risultati migliori della condizione di controllo (né messaggi né promesse di bonus). Tutti e tre gli approcci accrescevano la motivazione in modo simile. Ma ecco la sorpresa: il coupon per la pizza incrementava la produttività del 6,7%, quasi a pari merito con il 6,6% di incremento ottenuto dal riconoscimento scritto. Dei tre incentivi, il denaro aveva la resa peggiore, attestandosi leggermente più in basso al 4,9%.
Paradossalmente quando il nostro lavoro viene riconosciuto ed apprezzato siamo disposti a lavorare di più per una paga inferiore. Come dimostra la metafora dei tre operai, la motivazione è un elemento imprescindibile.Tre persone erano al lavoro in un cantiere edile. Avevano il medesimo compito, ma quando fu loro chiesto quale fosse il loro lavoro, le risposte furono diverse. “Spacco pietre” rispose il primo. “Mi guadagno da vivere” rispose il secondo. “Partecipo alla costruzione di una cattedrale” disse il terzo.”
Più un’azienda sa offrire ai dipendenti opportunità che creano significato e legame, maggiori sono le probabilità che quei dipendenti si impegnino di più e che la loro fedeltà sia più duratura.
Se avete ancora qualche dubbio circa il potere del denaro nella motivazione, pensate se nel ricevere un regalo alla vostra festa di compleanno, un amico palesasse quanto gli è costato in termini economici. Quante probabilità ci sono che lo invitereste anche l’anno successivo?
Qualsiasi cambiamento si voglia generare, prima occorre comprendere quale sia il comportamento che si desidera modificare, tenendo conto dei valori, bisogni, desideri e priorità che muovono l’individuo. Riconoscerli è cruciale, dato il complesso ambiente nel quale le persone prendono decisioni. Più conosciamo a fondo gli individui di cui vogliamo modificare i comportamenti e più riusciremo a creare architetture delle scelte efficaci. E i nudge permettono tutto questo!
Questo articolo è anche stato pubblicato sul Magazine DF: https://magazine.darioflaccovio.it/2019/12/17/motivazione-leadership-e-tante-piccole-spinte-gentili/