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NUDGE QUESTI SCONOSCIUTI: strategie per rendere semplici scelte complesse

“Carne: abbiamo una bella bistecca pesante, oppure agnello, rognone, fegato fritto intriso, impanato. Altrimenti pesce: abbiamo rombo grasso grasso, oppure baccalà porchettato intriso, unto al Grand Marnier, altrimenti un salmone magro”.

E’ così che Roberto Benigni, nelle vesti di un cameriere, presenta a un importante cliente entrato al ristorante in orario di chiusura, il menù. Una tortuosa lista di cibi, sapendo però che in cucina c’è solo salmone e insalata. Ma il modo in cui snocciola una dopo l’altra le diverse alternative, orienterà il cliente verso l’unica soluzione disponibile: il salmone.

Era il 1999, nelle sale usciva La vita è bella e di Nudge ancora non si parlava. Eppure questo simpatico esempio ben rappresenta la strategia che diciotto anni più tardi regalerà il Nobel per l’economia a Richard Thaler, il papà dei nudge.

LE SPINTE GENTILI

Se nel film, Benigni, si trova costretto a orientare il cliente, per forza di cose, verso l’unica soluzione possibile, i Nudge hanno un obiettivo meno commerciale e più funzionale al benessere individuale e collettivo sia in termini di salute, soldi e sia di felicità: aiutarci a preferire l’opzione migliore fra le diverse alternative possibili ma senza sforzo e fatica.

I nudge sono infatti un modo di pensare, una strategia pensata per rendere semplici scelte complesse.

In italiano la parola nudge può essere tradotta come spinta gentile ed è un approccio tutt’altro che casuale, accettato anche dai più scettici, perché validato da poderose ricerche scientifiche.

Quando ci troviamo a prendere una decisione, la maggior parte delle volte lo facciamo affidandoci più al nostro istinto che alla nostra razionalità. Se fossimo totalmente razionali, probabilmente sceglieremmo sempre la dieta giusta, il programma di allenamento più funzionale ai nostri obiettivi, non fumeremmo, non consumeremmo alcolici, non consulteremmo lo smartphone mentre siamo alla guida, valuteremmo nel dettaglio pro e contro di un’eventuale offerta di lavoro, scegliendo infine quella, sulla carta, meno rischiosa per noi e con i benefici più grandi. E ci innamoreremmo solo dopo aver attentamente vagliato ogni alternativa.

Ma non è così che ci comportiamo nel quotidiano. Siamo facilmente influenzabili, cediamo alle tentazioni e, sappiamo che al cuor non si comanda: non è possibile scegliere sempre e solo l’opzione migliore. Anzi, soprattutto in amore spesso andiamo in tutt’altra direzione… per non parlare della nostra capacità analitica quando parliamo della nostra squadra sportiva… del cuore.

È così che, per far sì che le persone prendano decisioni migliori – per il proprio benessere in primis, ma anche per la società in generale – alle volte serve loro un piccolo aiuto, una “spintarella”, un nudge appunto.

METTI UNA MOSCA IN AEROPORTO

Hai mai sentito la storia della mosca nei bagni dell’aeroporto di Amsterdam?

E’ stato sufficiente applicare l’adesivo di una mosca in ogni orinatoio maschile dell’aeroporto di Schiphol per far sì che la quantità di urina finita sul pavimento diminuisse dell’80%. Un dato che si è tradotto in una minore necessità di interventi di pulizia dei bagni e, di conseguenza, un significativo risparmio sui prodotti di disinfezione e detersione. Un effetto domino che ha portato enormi benefici all’aeroporto e ai suoi dipendenti in primis e ai passeggeri che dovevano utilizzare i bagni, poi. Non è un caso che le mosche si trovino oggi in molti altri bagni pubblici in giro per il mondo.

Le nostre scelte non avvengono nel vuoto: scegliamo sempre all’interno di contesti e architetture ben definite, anche se non ne siamo troppo consapevoli. E il modo in cui questi ambienti sono progettati influenza in modo evidentissimo le nostre decisioni, spingendoci in una direzione piuttosto che un’altra.

BANCHE E SCONTRINI

Qualche anno fa alcune banche spostarono il pulsante per richiedere lo scontrino, dopo un prelievo al bancomat, dall’angolo in basso a destra a quello in basso a sinistra dello schermo. Migliaia di euro buttati al vento? Assolutamente no.

Questa semplice modifica ha consentito alle banche di risparmiare milioni e milioni di scontrini, di carta e toner. Come?

La morfologia del nostro corpo, il nostro essere destrimani nella maggioranza dei casi, ci porta a scegliere più frequentemente un’opzione se questa si trova a destra dello schermo, così come a prestare più attenzione alle pagine dispari di un giornale, quelle che si trovano sulla destra. Le opzioni sono sempre lì a disposizione (selezionare “sì”, oppure “no” per richiedere o meno lo scontrino), non scappano, ma il modo in cui sono presentate, ci spinge a preferirne una piuttosto che un’altra.

Per risparmiare l’Istituto bancario poteva fare altre scelte, come quello di non erogare più scontrini, o farli pagare, ma in questo modo non sarebbe stato un nudge. I nudge infatti non vietano o riducono le scelte, ma presentano le alternative più funzionali al nostro benessere, al nostro portafoglio e per l’ambiente in modo che sia più facile sceglierle. La banca ha scelto di modificare l’architettura di quella scelta specifica, lasciando ai pasionari dello scontrino, la possibilità di continuare a richiederlo, ma spingendo in modo gentile gli altri, a richiederlo meno di frequente o solo quando è strettamente necessario. Se ci pensate bene, la maggior parte delle volte che lo richiediamo, finiamo poi con il gettarlo prima ancora di esserci allontanati dallo sportello.

I nudge ci lasciano liberi di scegliere l’opzione che preferiamo, ma rendono più attrattiva l’alternativa maggiormente conveniente e funzionale al nostro benessere, al nostro portafoglio, alla nostra salute, alla nostra produttività, alla nostra felicità e al pianeta.

SCELTE CHE VALGONO UNA VITA

Una delle spinte maggiormente efficaci per promuovere comportamenti virtuosi è l’utilizzo strategico dell’opzione di default. Un caso esemplare è quello della donazione di organi.

Se confrontiamo la percentuale di donatori di organi nei diversi Paesi europei, si vede che questa non è influenzata dalle opinioni individuali o dalla cultura di appartenenza, ma dalla modalità con cui è strutturato il modello di adesione al programma di donazione. Nei Paesi in cui il cittadino deve fornire un consenso esplicito per donare gli organi, la percentuale di donatori risulta molto bassa. Di contro, nei Paesi in cui il cittadino è automaticamente incluso nel programma di donazione e, al contrario, il dissenso alla donazione deve essere fornito attivamente, la percentuale di donatori è al di sopra del 90%.

Applicare l’opzione di default significa impostare un’opzione che verrà scelta automaticamente, a meno che le persone scelgano attivamente di comportarsi in modo diverso. Nella vita quotidiana la troviamo ad esempio, negli smartphone e nei dispositivi digitali, venduti con impostazioni predefinite che possiamo scegliere o meno di cambiare. I sensori di movimento sono semplici strategie per evitare sprechi di energia: fanno in modo che la luce si spenga automaticamente ogni qualvolta il sensore non rivela la presenza di persone nell’ambiente. In questo modo, i rilevatori di movimento creano l’equivalente di un valore predefinito.

Così come le impostazioni del computer spengono l’apparecchiatura quando non è in uso dopo un lasso di tempo stabilito. Carte di imbarco e badge per congressi, come altri strumenti di identificazione, possono essere sostituiti nelle finalità da smartphone e tablet e stampati solamente su richiesta. La copia elettronica della fattura è ormai divenuta la regola e quella cartacea un optional su richiesta. Sempre più spesso sono offerti incentivi con punti premio sulle carte fedeltà per acquisti effettuati senza fornitura di imballaggio nei supermercati e nel circuito del piccolo commercio.

ABBONARSI DI DEFAULT

Molti abbonamenti vengono rinnovati automaticamente a meno che non si decida attivamente di annullare l’iscrizione. Questa stessa scelta può essere posta in due modi differenti: allo scadere dell’abbonamento è possibile rinunciare all’offerta, per non ritrovarsi abbonati automaticamente; oppure, è possibile esplicitamente richiedere di continuare ad aderire. Queste due opzioni, sono logicamente equivalenti, ma a causa della nostra passione per la scelta di non scegliere, tenderemo a non modificare la nostra adesione iniziale: ci troveremo quindi, nel primo caso, iscritti, mentre nel secondo caso non iscritti. Per questo le imprese, in questi casi e in molti altri simili, preferiscono porre le questioni nella seconda forma. Perché così non scegliamo e finiamo per pagare beni e servizi dei quali avremmo fatto tranquillamente a meno. Ma in questo caso non stiamo parlando di nudge ma di sludge!


NUDGE VS SLUDGE

Gli sludge (una parola inglese che significa, non a caso, fango), a differenza dei nudge presentano opzioni di scelta che avvantaggiano chi li propone e scoraggiano ad attuare comportamenti che invece sono nell’interesse della persona, come reclamare un rimborso, cancellarsi da una newsletter e fare reclamo, come ben dettaglio nel libro “Nudge Revolution, la spinta gentile per rendere semplici scelte complesse”. 

Sebbene possano sembrare simili, i nudge rispetto gli sludge cercano di incoraggiare il cambiamento per favorire scelte virtuose, per il nostro benessere, il nostro portafoglio, per la nostra felicità, produttività e per il pianeta. Se sei in dubbio, chiediti quanto sia semplice e libera la tua scelta e saprai subito se ti trovi di fronte a un nudge o a uno sludge.

Architettare dei nudge, non è complesso. Spesso infatti sono sufficienti piccole modifiche al contesto per ottenere grandi risultati. Un esempio? Sostituire in azienda i dispenser contenenti merendine e cibo ipercalorico con contenitori trasparenti con frutta fresca e noci ben visibili. Banale? Decisamente… Eppure questo piccolo accorgimento adottato negli uffici di Google a New York, ha permesso di ottenere risultati impressionanti, come ridurre del 30% le calorie totali consumate dai dipendenti, eliminare una percentuale di grasso del 40% negli snack; indurre i dipendenti a consumare 3,1 milioni di calorie in meno in sole 7 settimane di esperimento.

Rendere semplici scelte complesse dunque si può, con i Nudge!

https://magazine.darioflaccovio.it/2019/11/14/nudge-questi-sconosciuti-strategie-per-rendere-semplici-scelte-complesse/

 

TUTTO ciò che ABBIAMO REALIZZATO ARRIVA dalla LETTURA


Tutto ciò che apprezziamo nel mondo moderno ha le sue radici nella scrittura. Tutto ciò che abbiamo realizzato è venuto dalla lettura.

Dalla logica di Aristotele, all’astronomia di Keplero, passando attraverso la fisica di Newton, la biologia di Darwin e la filosofia di Kant: nessuno di loro è più in vita eppure, delle loro idee parliamo ancora. Allo stesso modo dei grandi della letteratura: non abbiamo più modo di dibattere con loro, ma i loro pensieri si sono fatti immortali e andiamo a ricercarli di tanto in tanto. Quando abbiamo bisogno di confrontarci con un maestro, un mentore. Un amico.

Senza libri, non saremmo mai sfuggiti ai confini dello spazio e del tempo. Uno dei modi più efficaci per conoscere il mondo è quello di immergersi nella saggezza del passato. Siamo – si dice – come spendiamo il tempo e diventiamo ciò che consumiamo.

NON SEMPRE SAPPIAMO LEGGERE NEL MODO GIUSTO

Spesso ci hanno insegnato a leggere solo per imparare a memoria una certa nozione. Ricordo ancora le tante frasi dei Promessi Sposi che la professoressa di italiano alle Medie ci costringeva a memorizzare. Una tortura sterile e poco utile a sviluppare il senso critico e la capacità di analisi di noi studenti. E così le ore passavano pesanti mentre ripetevo parti di un romanzo che difficilmente potrò mai apprezzare. Insomma quell’insegnante ci insegnava a memorizzare non per farci comprendere, ma per farci recitare e l’unico nostro obiettivo era quello di superare indenni “la recita” di turno. Qualunque cosa al di fuori di quell’obiettivo contava pochissimo per il risultato finale.

Per fortuna l’amore per la lettura (e la scrittura) ha superato questi maltrattamenti e sono andata oltre ma molti da quel metodo cieco, ne sono stati sedotti, e ogni qual volta che avvertono di non riuscire a ricordare o memorizzare tutto ciò che leggono, convinti di star perdendo tempo, si scoraggiano da ulteriori letture. E i libri che hanno comprato rimangono a prendere polvere su qualche tavolino.

LEGGERE SIGNIFICA SCOPRIRE NUOVE PROSPETTIVE

Leggere non significa passare al setaccio ogni parola, ma scoprire nuove prospettive, nuovi punti di vista. E per farlo al meglio occorre chiedersi il motivo per cui si legge… Che tu stia litigando con un classico russo, o una commedia, un volume di psicologia o il diario di un imperatore romano, in ogni caso stai cercando di guardare la realtà da una angolatura diversa. Per scoprire l’ignoto, anche in ciò che già credi di sapere.

Leggere non è solo un hobby, è soprattutto una virtù. Ogni parola, ogni frase e ogni paragrafo scritto bene hanno il potere di insegnare qualcosa. Anche chi sei, se sei pronto ad accettarlo.

Addio Amos… scrittore della speranza

“Non c’è una felicità che assomiglia all’altra”, scriveva nel romanzo epistolare “La scatola nera”. Vivere nonostante la disperazione era forse la sua massima espressione di felicità.

Amos Oz, il grande scrittore israeliano, che nelle parole ha sempre cercato il senso del vivere e l’umanità delle cose, ha perso la sua ultima battaglia a 79 anni, dopo lunga malattia.

“Imparai a leggere praticamente da solo, ero ancora molto piccolo. Che altro avevamo da fare? Alle sette di sera eravamo già chiusi in casa per via del coprifuoco imposto dagli inglesi a tutta la città. Spesso saltava la corrente elettrica, negli anni Quaranta del secolo scorso a Gerusalemme, ma anche quando non saltava si viveva comunque dentro una luce vaga, perché era immorale usare una lampadina da quaranta watt quando si poteva leggere, cavandosi gli occhi, con una da venticinque (“che cosa avrebbero detto i vicini, vedendo un’illuminazione da gala?”.

L’ultimo libro tradotto in italiano “Finchè morte non sopraggiunga”, si fa oggi premonitore, nonostante sia stato pubblicato nel 1971.

Con ironia e passione, ha raccontato nei suoi libri l’amore e la morte, i sensi di colpa e la nostalgia. Di qualcosa che è stato ma poteva essere molto diverso. Il suicidio della madre, e lo spasmodico bisogno di trovarne un senso, la ribellione alle leggi famigliari entrando in un kibbutz e abbandonando il cognome originario, il racconto della storia di Israele. La lotta al fanatismo perché combattere «un pugno di fanatici su per le montagne dell’Afghanistan» è una cosa, ma «essere» contro il fanatismo significa essere aperti al pluralismo e alla tolleranza. Perché il fanatismo, prima di qualsiasi integralismo, è questione antichissima e radicata nella natura umana: «un gene del male».

«Lo scenario non è solo un ritratto di Israele dal giorno in cui fu fondato nel 1948 fino a oggi. È altresì una rappresentazione della stessa condizione umana. Noi tutti, ovunque, viviamo davvero alle pendici di un vulcano attivo. Forse il vulcano mediorientale è più attivo di quello europeo, ma ogni essere umano, in ogni luogo ed epoca, vive a stretto contatto con la disperazione, la paura, la catastrofe».

Lo ricordo con una frase che mi ha fatto molto pensare:  “Ritengo che l’essenza del fanatismo stia nel desiderio di costringere gli altri a cambiare. Quell’inclinazione comune a rendere migliore il tuo vicino, educare il tuo coniuge, programmare tuo figlio, raddrizzare il fratello, piuttosto che lasciarli vivere”

Addio Amos, che tu possa continuare a lottare anche là, dove forse la penna da arma, può farsi abbraccio.

 

 

NATALE senza COMPITI: EPPURE lo STUDIO RIDUCE il RISCHIO di INFARTO e le MALATTIE NEUROLOGICHE

Vorrei tranquillizzare il ministro dell’Istruzione Bussetti informandolo che di studio è mai morto nessuno e anzi fa bene al cervello, rallenta l’Alzheimer e riduce le probabilità di avere un infarto cardiaco.

E’ di questi giorni la circolare ufficiale firmata da Bussetti e mandata ai docenti al fine di sensibilizzarli ad avere la mano leggera nell’assegnare i compiti, essendo le imminenti vacanze “giorni di festa da passare in famiglia e non sui libri”. Forse il ministro non sa che gli adolescenti italiani, secondo i dati Ocse non  vantano un livello di alfabetizzazione di primo piano se confrontato  con gli altri paesi del mondo. Mi astengo da giudizi personali e rispondo appellandomi alla scienza…

Le ricerche

La ricerca svolta dall’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma ha dimostrato l’effetto positivo dello studio sull’integrità del cervello, sia dal punto di vista strutturale sia funzionale, in particolare dell’ippocampo, l’area del cervello che svolge un ruolo di primissimo piano nei processi di memoria a lungo  termine. L’indagine sperimentale, tutta italiana, si è guadagnata la copertina della rivista internazionale “Human Brain Mapping” che ha pubblicato i risultati del lavoro.

Da tempo le teorie sostengono che un individuo maggiormente scolarizzato e con un più alto livello di istruzione, quindi più impegnato mentalmente, è in grado di creare una sorta di riserva cognitiva che protegge il cervello dai danni causati dai processi legati all’invecchiamento, come accade nella malattia di Alzheimer.

In altri termini, l’allenamento allo studio e il livello culturale permetterebbero di accumulare un “patrimonio” mentale più ingente che poi viene eroso più lentamente dai fenomeni legati all’invecchiamento cerebrale fisiologico e patologico.

Studiare non fa bene solo alla mente, m anche al cuore: riduce infatti il rischio di infarto. A darci questa notizia i ricercatori di varie università europee, dalla Oxford al Centro Ricerche in Epidemiologia e Medicina Preventiva (Epimed) dell’Universita’ dell’Insubria, che ha coordinato lo studio: “Education and coronary heart disease: mendelian randomisation study” e pubblicato sul British Medical Journal.

Per giungere a queste conclusioni i ricercatori hanno analizzato 162 varianti genetiche già collegate in passato con gli anni di studio e raccolte da 543.733 uomini e donne di origine europea.

I risultati

Dai dati raccolti è emerso che 3,6 anni aggiuntivi di scolarità causano il 33% in meno di eventi coronarici, insomma, le persone che studiano di più rischiano di meno di avere un infarto. Incrementare il numero di anni a studiare riduce il conseguente rischio di sviluppare malattie coronariche. Insomma, se la cultura non dovesse essere un sufficiente motivo per studiare, a stimolarci potrebbero essere i rischi per il nostro cuore.

Conclusioni

I ricercatori spiegano: “Il legame tra bassa educazione e incremento di rischio coronarico è noto da tempo, ma è sempre stato attribuito ad altri fattori, quali fumo, dieta ed attività fisica. I risultati devono stimolare il dialogo tra la comunità medico-scientifica, la classe politica e gli operatori di salute pubblica per pianificare strategie volte a incoraggiare i giovani a migliorare sempre il proprio livello di educazione. Infatti, interventi come la riduzione delle tasse scolastiche, o il contrasto dell’abbandono scolastico precoce, potrebbero diventare misure con riflessi positivi in termini di salute pubblica, con forte impatto sulla prevenzione delle malattie coronariche”.

Di studio dunque non solo si muore ma anzi se ne esce più forti. Forse qualcuno dovrebbe avvisare il Ministro dell’Istruzione…

LEGGO per LEGITTIMA DIFESA

Leggiamo poco, quasi nulla. E scriviamo tanto. Con le conseguenze che ognuno può immaginare.

Secondo il rapporto dell’Istat 23 milioni di persone dichiarano di aver letto appena un libro in 12 mesi: il che vuol dire che 6 italiani su 10 non leggono nemmeno un libro all’anno. Inoltre queste statistiche si basano sulla quantità, non sulla qualità della lettura. Per quanto possa essere soggettivo il valore di un libro, è giusto ricordare che in tali dati il libro di ricette di Benedetta Parodi e Guerra e Pace di Tolstoj hanno la stessa incidenza.

Se si vuole fare un confronto con gli altri paesi europei: la percentuale dei lettori è superiore al 75 per cento nella maggior parte dei paesi del centro e del nord dell’Europa occidentale: Svezia (89 per cento, il dato più alto), Danimarca, Finlandia, Estonia, Olanda, Lussemburgo, Germania, Regno Unito. Mentre è inferiore al 60 per cento in Portogallo, Cipro, Romania, Ungheria, Grecia. E Italia.

IL DISPREGIO DELLA CULTURA

Un soggetto competente viene definito un “professorone”, con tono dispregiativo; un uomo di cultura viene additato come nemico del popolo perché non vive sulla propria pelle la difficoltà di arrivare a fine del mese. Come se uno come Pier Paolo Pasolini non avesse avuto diritto di parlare dei “ragazzi di vita”, solo perché era benestante.

Nel 2018, ai politici italiani non conviene mostrare un alto lignaggio culturale: è preferibile immedesimarsi con “la gente”, sbagliare qualche congiuntivo e riallacciarsi a una certa cultura popolare che preferisce citare Massimo Boldi piuttosto che Petrarca.
Nel 1987, durante il discorso per il premio Nobel, Iosif Brodskij commentò: “Per me non c’è dubbio che, se scegliessimo i nostri governanti sulla base della loro esperienza di lettori e non sulla base dei loro programmi politici, ci sarebbe meno sofferenza sulla Terra. Credo che a un potenziale padrone dei nostri destini si dovrebbe domandare, prima d’ogni altra cosa, non già quali siano le sue idee in fatto di politica estera, bensì cosa ne pensi di Dostoevskij, Dickens, Stendhal”. Più di 30 anni sono passati da quel discorso, eppure è ancora attuale.

La lettura da molti viene ancora vista come un mero esercizio cerebrale o un passatempo per coloro che non devono dedicarsi a occupazioni più urgenti o necessarie, e invece, bisognerebbe leggere per “legittima difesa”, per ampliare i propri orizzonti e formare uno spirito critico in grado di permetterci di comprendere il mondo e agire con cognizione di causa, seguendo i nostri valori, non imposti da altri.

LA STORIA INSEGNA

La storia ci insegna che i libri hanno sempre rappresentato un pericolo per le dittature. Il popolo doveva restare ignorante per essere controllabile e gestibile, e la cultura veniva proposta come il nemico unico e assoluto. Pensiamo ai Bücherverbrennungen durante il nazismo: i roghi nei quali venivano bruciati tutti i libri distanti dall’ideologia totalitaria, oppure ai libri bruciati in Cile sotto Pinochet, o ancora a quelli più recenti dati alle fiamme dall’Isis. Senza dimenticare la Santa Inquisizione. La stessa letteratura distopica ha creato allegorie che si riallacciano a questo contesto. Tra queste spicca Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, con i pompieri che bruciano i libri in una società dove leggere è reato. Adesso, per lo meno in Italia, non è più necessario bruciare i libri però, semplicemente perché nessuno li compra e tanto meno li legge.

E’ VERO che SONO i più CAPACI ad AVERE SUCCESSO nella VITA?

E’ vero che sono i più capaci ad avere successo nella vita?

Raramente la lettura di un saggio si fa leggera come un romanzo, eppure il libro di Nassim Taleb riesce a fare esattamente questo effetto.

Giocati dal caso parla della fortuna, o meglio, del ruolo che il caso gioca nella nostra vita. ma parla anche di quella fortuna che, non essendo percepita come tale, viene scambiata per abilità: una confusione presente nei campi più disparati: dalla scienza alla politica, dalla letteratura alla finanza.

Taleb, sullo sfondo della sua esperienza di trader a Wall Street, ci mostra le conseguenze che possono nascere dal confondere la fortuna per abilità: sono numerosi gli idioti fortunati e gli scemi strapagati che si sono semplicemente trovati nel posto giusto al momento giusto. Individui del genere purtroppo attraggono schiere di seguaci devoti che credono ciecamente in quello che loro – talvolta in buona fede – spacciano per metodo.

La lettura di “Giocati dal caso” esplora quelle deformazioni cognitive del nostro cervello che ci portano alla ricerca continua di nessi di causalità anche là dove si tratta di pura casualità, tendenze inveterate (frutto dell’evoluzione avvenuta per la maggior parte in un ambiente molto più lineare di quello in cui viviamo oggi) di cui non riusciamo a liberarci, e che conducono ad equivoci di cui il libro ci mostra le conseguenze, talvolta drammatiche, mentre fa cadere come birilli i nostri pregiudizi sull’idea di successo e di sconfitta.

Scriveva Jean Cocteau: “Certo che la fortuna esiste. Altrimenti come potremmo spiegare il successo degli altri”, al giorno d’oggi, senza fortuna, ci mancherebbero gli alibi.
Buona fortunata lettura

LEGGERE per SAPERE… LEGGERE per AVERE

11 libri in tre settimane, poco meno di 5 mila pagine. Questo è il piacere che mi sono regalata nelle vacanze estive, decisamente controcorrente rispetto i dati Istat, secondo cui il 53% degli italiani non ha letto neppure un libro in 12 mesi e il 15% ne ha letti una dozzina.

Eppure, esempi alla mano, chi ha un lavoro appagante e una vita di successo è mediamente un avido lettore.

Steve Jobs aveva un’ossessione per i poeti inglesi, in particolare per William Blake.

Phil Knight, fondatore della Nike, venera a tal punto la sua libreria, che gli ospiti sono costretti a visitarla scalzi.

David Rubenstein, co-fondatore di The Carlyle Group, un private equity che gestisce oltre 150 miliardi di dollari, ha l’abitudine di leggere una dozzina di libri… a settimana!

Winston Churchill, primo ministro inglese durante la II guerra mondiale, vinse il premio Nobel per la letteratura.

Warren Buffett, il più grande investitore di tutti i tempi, legge 500 pagine ogni giorno. Inizia la giornata leggendo dozzine di quotidiani e dedica un’ampia parte della sua giornata al suo consumo vorace di libri.

Il miliardario Mark Cuban trascorre fino a 3 ore delle sue giornate a leggere libri

Bill Gates, si sa, legge 50 libri all’anno.

E quando è stato chiesto come avesse imparato a costruire razzi, Elon Musk ha risposto semplicemente: “Leggo libri”.

1.200 DELLE PERSONE PIU’ RICCHE AL MONDO LEGGONO TUTTE MOLTISSIMO. MA COSA LEGGONO?

Secondo Thomas Corley, autore di Rich habits: The daily success habits of wealthy individuals, le persone con un reddito annuo superiore ai 160.000 dollari e un patrimonio netto liquido superiore ai 3 milioni di dollari leggono testi che parlano di auto-miglioramento, istruzione e successo. Le persone con un reddito annuo non superiore ai 35.000 dollari e un patrimonio netto liquido di 5.000 dollari leggono principalmente per essere intrattenute.

Se non siete dei lettori voraci, non dove iniziare con Roth, Musil o Proust a colpi di 500 pagine al giorno. Sono sufficienti una ventina di pagine purchè siano una ventina tutti i giorni.

Se per caso pensaste di non riuscire a trovare il tempo, considerate che per leggere 200 libri in un anno ci vogliono 417 ore. A fare il calcolo lo scrittore Charles Chu, che per 2 anni ha provato a tenere la media di Buffet: “Sembrano tante, ma se consideriamo che ne usiamo 608 sui social media e 1642 davanti alla tv capiamo bene che quelle ore ce le abbiamo”.