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AMBASCIATOR porta PENA (soprattutto in caso di cattive notizie)

Una condizione che caratterizza molte delle mie esperienze lavorative è dare cattive notizie. Prima in campo sanitario, poi all’università e infine nelle organizzazioni.

Non ci avevo fatto caso fino a qualche giorno fa, quando mi sono trovata a comunicare cattive nuove per conto terzi. E come spesso accade, ho toccato con mano quanto ambasciator non porta pena, sia un detto che nel tempo ha perso molta della sua validità.

Più portiamo cattive notizie, meno ci apprezzeranno. E a dirlo è la scienza!

 “Nella maggior parte dei casi, si tende a considerare come soggetti negativi coloro che sono portatori di cattive notizie”, sostiene lo staff del Journal of Experimental Psychology, dopo 11 esperimenti condotti sul tema.

Uno di questi ha coinvolto pazienti sottoposti a biopsia per sospetto tumore. Per comunicare loro l’esito positivo o negativo dell’esame è stato organizzato un incontro a cui erano presenti due infermiere, una con il compito di comunicare la diagnosi e l’altra per prendere un successivo appuntamento. Nel momento in cui è stato chiesto alle persone che hanno ricevuto cattive notizie di fornire un giudizio sulle due infermiere, soltanto l’infermiera “messaggera” è stata giudicata meno simpatica e meno competente.

Il giudizio negativo verso una persona che ha il compito di comunicare una notizia risulta anche in situazioni in cui è palesemente chiaro che il messaggero non ha alcuna responsabilità sull’evento negativo.

Lo scenario tipico? Quello dell’assistente di volo che viene chiamato a informare i passeggeri in attesa che, a causa di un problema tecnico, la partenza sarà ritardata.

EFFETTO MUM

Portare cattive notizie è dunque un lavoro ingrato, non a caso forte è il rischio di cadere vittime dell’effetto MUM, minimizing unpleasant messagge.

Avversione a dare cattive notizie che è determinata non solo dal fatto che si vuole proteggere il destinatario del messaggio, ma anche dalla paura che l’interlocutore si arrabbi o pensi male di noi, dalla necessità di non venire associati all’evento negativo e essere considerati meno attraenti.

Tale effetto porta quindi a minimizzare i messaggi spiacevoli, a trattenere informazioni negative e a modificare le comunicazioni per farle sembrare positive. Il problema è che alla fine il messaggero rischia di distorcere la realtà. Pensiamo all’effetto in un’organizzazione in cui ogni dipendente decide di alleggerire le notizie negative. Man mano che le informazioni si diffondono, il messaggio si allontanerà sempre più dalla verità.

SPACE SHUTTLE CHALLENGER

Il pericolo dell’effetto MUM nelle organizzazioni è stato studiato dal premio Nobel per la fisica Richard Feynman, esaminando i passi che hanno portato all’esplosione dello space shuttle Challenger del 1986. Quando Feynman ha chiesto agli ingegneri quale pensavano fosse la probabilità di guasto al motore, hanno riferito tra 1 su 200 e 1 su 300. Tuttavia, quando Feynman ha posto la stessa domanda al capo della NASA, la risposta è stata 1 su 100.000. Queste cifre mostrano una grande discrepanza; è probabile che gli ingegneri abbiano reso le loro stime più favorevoli quando hanno riferito ai loro responsabili, che poi hanno anche abbellito le stime, e così via fino a quando i dati hanno raggiunto il capo della NASA. Quando le informazioni negative vengono continuamente distorte mentre salgono di livello, i decisori finiscono per ricevere informazioni inesatte. L’effetto MUM potrebbe aver giocato un ruolo significativo nella tragedia. Evidentemente, può avere conseguenze devastanti.

CROSS CULTURE E MUM EFFECT

Al disastro dello shuttle Challenger, che fu il risultato di una comunicazione imperfetta e di dinamiche di potere sbilanciate tra parti che condividevano tratti culturali simili, si aggiunge lo schianto del Volo Avianca 52 (un volo di linea da Bogotà a New York) nel 1990. Le cause sono da ricercarsi nella mancata condivisione di dati sul basso livello di carburante tra piloti e controllori e da incomprensioni sulla procedura di emergenza da seguire, a cui si aggiunse il problema di norme sociali intrinseche, come la difficoltà di mettere in aperta discussione l’autorità del personale più anziano (elevata distanza dal potere, tipica delle culture latino-americane).

A questo punto, seppur le cattive notizie non piacciano, quanto possiamo o un’organizzazione può permettersi il lusso di ignorare?

Il costo della comunicazione “apprensiva” può essere alto. Come affermò Sir Alec Guinness “Non ho mai saputo che le cattive notizie migliorassero evitandone la condivisione”.

L’IMPATTO, di un singolo TOCCO, su DECISIONI e COMPORTAMENTI

Qualche giorno fa, entrando in un negozio di abbigliamento, la commessa (che non conoscevo), si è avvicinata e mi ha toccato la spalla invitandomi a visionare i nuovi arrivi. Il #gesto mi ha infastidito, come mi infastidiscono tutti coloro che mentre ti parlano ti devono per forza toccare. Ma ciò che mi ha sorpreso è constatare come invece, per molti, quel gesto apparentemente causale, è inconsciamente persuasivo e pervasivo.

MANCE, DRINK E CONSUMI

Proprio così, un semplice #tocco (una stretta di mano come una pacca sulla spalla) è estremamente persuasivo. Le prime evidenze risalgono al 1984, quando i ricercatori dell’Università del Mississippi e del Rhodes College hanno studiato, in un ristorante, le interazioni tra camerieri e clienti. Hanno così scoperto che un tocco è in grado di condizionare l’ammontare della mancia che verrà lasciata a fine pasto.

Durante lo studio, i camerieri hanno toccato per un istante la mano o la spalla di alcuni clienti, mentre consegnavano il resto. Il risultato è stato interessante: le mance sono risultate maggiori quando i camerieri toccavano i clienti rispetto a quando non lo facevano. Le persone erano disposte a dare più soldi dopo essere stati toccati.

Nella condizione no-touch, hanno dato mance nella percentuale del 12,2% rispetto l’ammontare del conto. Quando invece le persone hanno ricevuto un tocco sulla spalla, la percentuale è salita al 14,4, al 16,7% quando a venir toccata era la mano.

Tradotto in numeri significa che un cameriere, che segue dieci tavoli a sera, per cinque giorni a settimana, su un conto di 50 $ a tavolo, potenzialmente potrebbe ottenere circa 6 mila dollari di entrate extra l’anno. Una bella somma semplicemente aggiungendo un breve tocco insieme al conto.

Lo studio è poi stato esteso ad altre tipologie di ospitalità e comportamenti dei clienti: ad esempio, i ricercatori della Virginia Commonwealth University hanno scoperto che uomini e donne consumavano più alcol quando venivano toccati dai camerieri, mentre prendevano l’ordinazione.

E IN EUROPA?

Gli studi sull’impatto del tocco nelle #decisioni non ha coinvolto solo l’America. I ricercatori dell’Université Bretagne Sud hanno scoperto che anche i clienti francesi sono sensibili al tocco durante un’esperienza culinaria.

L’aspetto interessante dello studio francese è che la #mancia, pur non essendo obbligatoria, poiché inclusa nel conto, è stata comunque data in proporzioni maggiori dai clienti che sono stati toccati.

Questo dimostra che il tocco breve e non invasivo, ha un valore in #contesti e ambienti diversi.

TOCCO PERSUASIVO

Nel 1990, Jacob Hornik dell’Università di Tel Aviv ha condotto diversi esperimenti per misurare l’influenza del tocco sulle risposte dei #consumatori. In uno studio, gli acquirenti sono stati avvicinati mentre entravano in una libreria. Ad ogni cliente è stato dato un catalogo contenente informazioni su sconti e articoli presenti nel negozio. In particolare, alcuni clienti sono stati toccati sul braccio mentre veniva consegnato loro il catalogo, altri no.

Coloro che sono stati toccati hanno trascorso il 63% di tempo in più nel negozio rispetto a quelli che non sono stati toccati. Hanno anche valutato il negozio in modo più favorevole e hanno speso il 23% in più.

Ci sono poi studi che dimostrano come la sola visualizzazione del tocco può influire sulle intenzioni di acquisto. Uno studio monitorato con imaging cerebrale, condotto da ricercatori dell’Università di Shenzhen ha scoperto che guardare altre persone mentre toccano i prodotti ha aumentato l’intenzione di acquistare gli articoli, un’intuizione applicabile al nostro mondo moderno pieno di shopping online e annunci multimediali.

Un veloce contatto sociale può aumentare i comportamenti amichevoli e prosociali. Includere un tocco a una richiesta, può aumentare la nostra disponibilità a partecipare a sondaggi, a dare soldi in beneficenza e persino a prendersi cura del cane di uno sconosciuto per 10 minuti mentre entra in un negozio!

Uno studio, del 1970, ha scoperto che le persone sono più propense a restituire una moneta dimenticata in una cabina telefonica se chi le ha precedute le toccava quando lasciavano la cabina rispetto a chi non lo faceva. Quasi tre decenni dopo, uno studio del 2007 in Francia ha rilevato che le persone sono più propense a regalare una sigaretta se la richiesta è accompagnata da un tocco.

Questi risultati ci mostrano come i tocchi che riceviamo nelle interazioni sociali quotidiane possano fornire un punto di partenza per la #cooperazione e la conformità. Un breve tocco persuasivo può esercitare un forte impatto, anche tra estranei.

E SE A TOCCARCI E’ UN ROBOT?

Anche il tocco di un #robot ha potere persuasivo. Nel 2021, in Germania, è stato condotto uno studio che ha coinvolto degli studenti universitari, per capire se un robot umanoide che toccava o meno loro la mano durante una conversazione ne avrebbe modificato i #comportamenti.

Gli studenti sono stati divisi in due gruppi. Un gruppo ha avuto una semplice conversazione con il robot. Il secondo gruppo ha ricevuto tre carezze alla mano, durante l’interazione.

Pensaci un attimo: saresti più propenso a soddisfare una richiesta di un robot se ti toccasse o ti parlasse?

Questa è la domanda che i ricercatori hanno posto agli studenti.

Il robot ha chiesto agli studenti di prendere parte a un corso. I risultati hanno mostrato che l’81% degli studenti ha risposto “sì” laddove il robot li ha toccati. Nel gruppo dove il tocco è mancato, ha soddisfatto la richiesta solo il 59%. Il tocco di un piccolo robot ha contribuito a convincere le persone a conformarsi.

A questo punto una domanda sorge spontanea: se un robot ti toccasse mentre entri in un negozio, pensi che soddisferesti la richiesta di provare un nuovo prodotto?

In una società e in un’epoca storica in cui le interazioni tra esseri umani e robot non posso che aumentare e affinarsi, i risultati di questi studi hanno potenti implicazioni.

Forse, dopotutto, vista la ritrosia verso chi invade il mio spazio, non sarei la vittima perfetta per commessi e camerieri ma chissà se a toccarmi fosse un robot… forse mi parrebbe meno invasivo.

Cosa ne pensate?

SIAMO SICURI che l’IA SEMPLIFICHI la VITA? Le mie BATTAGLIE PERSE con ALEXA

Adoro la tecnologia che mi semplifica la vita.

Anelo all’auto elettrica, annoiandomi alla guida e avendo un senso dell’orientamento deficitario anche con il navigatore in funzione… al robot che fa la spesa, pulisce casa e se possibile cucina… e poi c’è Alexa, che da qualche settimana è refrattaria alle mie richieste. Si rifiuta di accendere alcune stazioni radio italiane (RDS per citarne una) a vantaggio della BBC che, seppure sento spesso per allenare il mio inglese, non dovrebbe avere il monopolio. Alexa è stata acquistata per aiutarmi laddove glielo permetto. Anche se la sua fissazione o testardaggine a farmi sentire ciò che piace a lei è tutt’altro che persuasiva.

Qual è dunque la vera utilità degli assistenti vocali?

I ricercatori dell’Università di Sidney hanno scoperto che i messaggi che arrivano da dispositivi di Intelligenza Artificiale (IA) sono più persuasivi quando evidenziano come dovrebbe essere eseguita un’azione, piuttosto che perché[1].

Ad esempio, siamo più disposti a mettere la protezione solare quando un dispositivo di IA spiega come applicare la crema, piuttosto che perché. Tendenzialmente non crediamo che una macchina possa comprendere le necessità e soddisfare i nostri desideri.

La ricerca suggerisce che le persone trovano i consigli dell’IA più persuasivi in situazioni in cui questa mostra semplici passaggi su come preparare una spremuta o scegliere la racchetta da tennis giusta, piuttosto che il perché tale scelta sia importante o necessaria.

L’intelligenza artificiale ha il libero arbitrio?

La maggior parte di noi crede di avere il libero arbitrio. Ci complimentiamo con chi aiuta gli altri perché pensiamo che lo faccia liberamente e penalizziamo coloro che danneggiano o ignorano gli altri. Siamo disposti a ridurre la pena se il reo è stato privato del libero arbitrio, ad esempio se in preda a un delirio schizofrenico.

Ma cosa pensiamo del libero arbitrio rispetto l’‘IA?

In un esperimento sono stati dati a una persona $ 100 a cui si è chiesto di regalarne una parte, a piacimento, a un’altra persona. L’unica condizione è che il ricevente accetti quanto gli viene donato o entrambi otterranno niente.

Quando la prima persona tiene per sè 80$ e ne regala 20, il ricevente tende a rifiutare l’offerta. Benchè razionalmente $ 20 sia meglio di niente, le ricerche suggeriscono che è probabile che l’offerta di $ 20 venga rifiutata perché percepita come ingiusta. Ci si aspetta di ricevere almeno la metà, ossia 50 dollari. O ci sentiamo svalutati[2].

Cosa succede se il proponente anziché un essere umano è un’IA?

Il rifiuto si riduce in modo significativo: è più probabile che le persone accettino l’offerta “sleale” di soli 20 dollari.

Questo perché non pensiamo che l’IA abbia l’intento dannoso di sfruttarci o svalutarci: è solo un algoritmo, non ha il libero arbitrio, quindi possiamo accettare soli 20 dollari.

Il fatto che le persone possano accettare offerte sleali dall’AI preoccupa perché significa che questo fenomeno potrebbe essere usato in modo dannoso e manipolativo. Ad esempio, un’azienda potrebbe manipolare i lavoratori affinché accettino salari ingiusti dicendo che è stata una decisione presa da un computer. Per proteggere i consumatori, occorre capire quando, dove e quanto le persone sono vulnerabili alla manipolazione da parte dell’IA.

Siamo sorprendentemente disposti a divulgare informazioni all’AI

In alcuni lavori in via di pubblicazione, i ricercatori hanno scoperto che le persone tendono a divulgare informazioni personali ed esperienze imbarazzanti più volentieri all’intelligenza artificiale che a un essere umano.

E’ stato detto ai partecipanti di immaginare di essere dal medico per un’infezione del tratto urinario. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi, quindi metà ha parlato con un medico in carne ed ossa e metà con un medico di IA. I partecipanti sono stati informati che il dottore avrebbe fatto alcune domande per trovare il miglior trattamento e più si rispondeva più questo avrebbe aiutato il medico.

I partecipanti hanno rivelato più informazioni personali all’AI, riguardo a domande potenzialmente imbarazzanti sull’uso di giocattoli sessuali, preservativi o altre attività sessuali. Questo perché siamo portati a pensare che l’IA non giudichi, mentre gli umani sì.

Parlare con un sistema di intelligenza artificiale ci fa sentire più al sicuro e meno giudicati, nonostante molte persone temano per la loro privacy.

Se l’intelligenza artificiale avesse il libero arbitrio?

Dare all’IA caratteristiche umane o un nome umano, induce a credere che l’IA abbia il libero arbitrio[3]. Con tutte le implicazioni del caso:

  • L’’IA si fa così più persuasiva non solo quando dice come fare le cose, ma anche quando spiega il perché, poiché vedendola a noi simile, pensiamo sia in grado di comprendere obiettivi e motivazioni umane
  • Offerte e condizioni sleali (per esempio i 20 dollari dell’esperimento sopra citato) hanno meno probabilità di essere accettate se l’IA ha un aspetto umano che la accomuna all’uomo
  • Iniziamo a sentirci giudicati dall’intelligenza artificiale e in imbarazzo e tendiamo a rivelare meno informazioni personali
  • Ci sentiamo in colpa quando danneggiamo un’IA dall’aspetto umano, e quindi tendiamo ad agire in modo più benigno nei suoi confronti

In futuro con il progredire dell’IA, quando diverranno utili in cucina, a servire, a vendere, a prendersi cura dei pazienti in ospedale e persino a sedersi a un tavolo da pranzo come un partner normale, sarà importante capire come influenza le nostre decisioni per proteggerci là dove e quando serva[4].

Intanto Alexa ha deciso di farmi sentire una stazione radio irlandese…

 

Fonti

[1] Kim TW, Duhachek A.,  Artificial Intelligence and Persuasion: A Construal-Level Account. Psychological Science. 2020;31(4):363-380.

[2] Henrich J., Boyd R, Bowles S., Camerer C.F., Foundations of humans sociality: economic experiments and ethnographic evidence from fifteen small-scale societies, 2006, Oxford University Press

[3] http://abotdatabase.info/

[4] Danaher J., McArthur N., Robot sex: social and ethical implications, The Mit Press, 2017

SOLDI, PREMI E POLPETTE… NON SONO SPINTE GENTILI. RIFLESSIONI ESTIVE ANALIZZANDO SOLUZIONI POCO STRATEGICHE

Ci stanno provando in tutti i modi a convincere gli indecisi a vaccinarsi. Ma nonostante in tanti nominino le spinte gentili, soldi, premi e polpette hanno ben poco a che fare con i Nudge.

IN GIRO PER IL MONDO

In Serbia ogni cittadino che si vaccina riceve in cambio 25 euro. Negli Stati Uniti, Joe Biden ha chiesto agli Stati di offrire 100 dollari per ogni nuovo vaccinato, e rimborsare tutte le imprese che hanno concesso permessi retribuiti ai loro dipendenti per vaccinarsi.

Lo stato dell’Ohio ha offerto a ogni vaccinato la possibilità di partecipare a un’estrazione con in premio un milione di dollari. Il governatore della California ha lanciato la lotteria in denaro Vax for the Win, con un premio finale di un milione e mezzo a 10 fortunati nuovi vaccinati.

A Detroit sono stati regalati 50 dollari a chi portava una persona a farsi vaccinare e in West Virginia ogni vaccinato, ha ricevuto un buono risparmio da 100 dollari. A New York sono stati regalati biglietti per concerti, partite di basket, corse gratuite in metro e in treno per i pendolari. Nel New Jersey vengono regalate pinte di birra, nello stato di Washington spinelli.

In Russia, le autorità hanno distribuito cinque auto a settimana in un’estrazione a premi a cui ha partecipato solo chi poteva dimostrare di aver fatto almeno una dose di vaccino.

In Libano, Uber ha offerto due corse gratuite fino a 40.000 LBP (poco meno di 50 euro) ciascuna, per viaggiare da e verso i centri vaccinali.

In Romania, il governo ha consegnato ai nuovi vaccinati panini con salsiccia.

Ai londinesi, oltre a usufruire dei trasposti gratuiti per recarsi nelle sedi vaccinali, è stata data la possibilità di vincere biglietti per la finale degli Europei di calcio.

In Asia sono stati distribuiti premi in cibo. In Indonesia, una gallina viva, nelle Filippine sono state messe in palio mucche e riso.  Nella periferia di Pechino vengono regalate uova agli ultra sessantenni che hanno completato il ciclo vaccinale.

A Hong Kong, ci sono in palio lingotti d’oro, Rolex di diamanti, un buono spesa di centomila dollari e una casa da oltre un milione e quattrocentomila dollari.

In Grecia viene invece offerto un buono da 150 euro ai giovani fra i 18 e i 25 anni che si vaccina. A Praga per i dipendenti statali che si vaccinano ci sono due giorni di ferie retribuite in più.

C’E’ CHI PREMIA E CHI PUNISCE

C’è chi invece ha scelto punizioni anziché premi. A Giacarta ci sono multe fino a cinque milioni di rupie (300 euro) per le persone che non si immunizzano.  In alcune zone dell’India non si servono liquori a chi non dimostra di essere vaccinato.

Gli Emirati Arabi limitano le partecipazioni a eventi live, attività sportive artistiche e culturali. In Arabia Saudita non si può entrare nei centri commerciali, in Kazakistan niente bar, cinema e aeroporti. Nelle Filippine i cittadini possono optare tra: Il vaccino o il carcere[1].

Il Cremlino ha affermato che le persone non vaccinate potrebbero non accedere al posto di lavoro, non escludendo discriminazioni.

E L’ITALIA?

Anche da noi le proposte si differenziano.

Nel Lazio ci si può spostare gratuitamente con Uber che mette a disposizione due corse verso e da i centri vaccinali. Nel Messinese, la Coldiretti regala una bottiglia di Siccagno di Valledolmo (passata di pomodoro).

In Piemonte ci sono incentivi per i medici di base che riescono a convincere i propri utenti. Se il 90% di questi risulterà vaccinato entro il 15 settembre, riceveranno un compenso di 2 euro in più per assistito e di 1 euro e mezzo se la percentuale si fermerà tra l’87 e l’89,99%. La Ausl di Bologna riconoscerà un premio ai pediatri che convinceranno il 70% dei loro giovani pazienti a vaccinarsi.

UN PO’ PIU’ COMPLICATO DI COSI’…

Perfetto.

Anche no!

Distribuire soldi come se piovesse, non è un nudge (i nudge per essere tali non prevedono né incentivi economici né disincentivi). Come è già accaduto nel 2005, in Perù, quando si è voluto affrontare il problema delle diseguaglianze e frenare la povertà. E il governo ha lanciato i conditional cash transfer (cct), la versione nazionale degli Juntos: sussidi monetari condizionati che prevedevano pagamenti mensili di 100 soles in favore di genitori poveri, perlopiù madri. Per non perdere il sussidio, le donne dovevano assicurarsi che i figli frequentassero l’85% delle lezioni scolastiche in un anno e che si sottoponessero regolarmente a controlli medici e nutrizionali.

«In paesi come il Brasile, i cct sono stati importanti nell’accesso all’istruzione e nella conseguente riduzione delle disuguaglianze», spiegò la scelta Branko Milanovic, a lungo capo economista alla Banca mondiale[2]. Eppure i cct non sono la panacea, come dimostrano le voci critiche, tra cui quella del premio Nobel per l’economia Angus Deaton che ha evidenziato la loro incapacità di ridurre la povertà in via permanente[3]. Tuttavia questi programmi, complessivamente poco costosi per le finanze pubbliche (cifre tra lo 0,04 e lo 0,8% del Pil), continuano a essere molto popolari: nella sola America Latina si contano 129 milioni di beneficiari.

Al di là della loro presunta o reale efficacia, che lasciamo misurare agli economisti di mestiere, i cct sono incentivi economici e per questo ben lontani dalle politiche di nudging.

Un sussidio non può essere un nudge, come non lo è una multa e neppure una condanna alla prigione. Senza contare che gli incentivi economici distribuiti con questa leggerezza, sollevano un interrogativo etico e discriminatorio: i benestanti non saranno di certo spinti a vaccinarsi per soldi mentre gli svantaggiati subiranno una pressione non indifferente. Senza contare che nel medio – lungo termine diventano demotivanti. E quindi inefficaci.

Senza voler aprire una diatriba neuroetica, è impossibile non guardare ai dubbi che il denaro inevitabilmente solleva: l’incentivo economico non può che alimentare la cultura del sospetto. Non dimentichiamoci che è il bene comune e la protezione ai più fragili che dovrebbe spingere verso la vaccinazione.

Ecco perché più che gli incentivi, ci sono altre strategie a cui si potrebbe e dovrebbe ricorrere. La moral-suasion: incentrata su argomenti attrattivi, anzichè costrittivi e la spinta gentile, capace di rendere facili scelte complesse. Non obbligando, ma creando contesti che, senza togliere la libertà, rendono le decisioni più agevoli e funzionali.

CONTESTO

Non ovunque e non sempre è facile vaccinarsi. Spesso è più un percorso a ostacoli che una via di uscita: comunicazione confusa e contraddittoria, difficoltà a prenotarsi o impossibilità a scegliere quando farlo, o a spostare l’appuntamento, luoghi spesso scomodi o difficilmente raggiungibili se non si è automuniti, mancanza di chiare informazioni su possibili effetti collaterali e un’assistenza post vaccinazione latitante. Lo dico per esperienza diretta.

Senza contare che chi si occupa delle campagne di sensibilizzazione, poco o nulla sa di spinte gentili ed economia comportamentale. E nemmeno ci pensa a consultare gli esperti del settore.

Più che regalare bibite, biglietti della lotteria e qualche banconota, sarebbe più utile investire il denaro nel prelevare a domicilio persone con problemi di mobilità o affette da fragilità, predisporre équipe che portino la vaccinazione a domicilio, un’assistenza post vaccino quando necessaria, numeri verdi dove gli operatori rispondono in modo diretto e non costringano ad attese infinite senza nessuno che si faccia carico del problema.  O ancora, facilitare la vaccinazione di quei lavoratori saltuari e che hanno paura di perdere giorni di lavoro in caso di avventi avversi o problematiche post vaccino[4].

Insomma ci sono molti modi per usare il denaro. E a parità di budget, ricorrere ai Nudge (non come azione estemporanea ma come policy) porterebbe maggiori benefici rispetto ai compensi economici, mitigando o eliminando i sospetti e rafforzando la fiducia nel sistema sanitario pubblico.

FIDUCIA

La fiducia, ricordo, non si può comprare e gli incentivi possono alimentare dubbi sulle reali intenzioni delle istituzioni scientifiche. Un studio del 2020, condotto in 19 paesi utile a determinare i tassi di accettazione e i fattori che influenzano la propensione a vaccinarsi, ha mostrato come in realtà il 71,5% dei partecipanti sarebbe propenso al vaccino e il 48,1% ha riferito che accetterebbe la raccomandazione del datore di lavoro nel farlo. Le differenze nei tassi di accettazione variavano da quasi il 90% (in Cina) a meno del 55% (in Russia). Gli intervistati, a prescindere dalla nazionalità, che segnalano livelli più elevati di fiducia verso il proprio governo, hanno maggiori probabilità di ì vaccinarsi[5].

Tenendo conto di questi dati, gli incentivi difficilmente sono la soluzione. Se non per ridurre la procrastinazione, secondo gli studi dei premi Nobel per l’economia Duflo e Banerjee, e aumentare la percentuale dei vaccini dal 18 al 39%[6]. Un costo che è sicuramente giustificato.

Non c’è dunque una soluzione univoca. E ciò che realmente funzionerà lo si vedrà nel tempo. Intanto, non dimentichiamoci che i Nudge per quanto allettanti andrebbero applicati da chi li conosce per davvero. Non è una moda. E’ una strategia. Da Nobel. I soldi, e la letteratura scientifica lo dimostra, non sono così efficaci come ci piace pensare, benchè sia una soluzione sicuramente semplice e rapida…

FONTI

[1] https://www.reuters.com/world/asia-pacific/philippines-duterte-threatens-those-who-refuse-covid-19-vaccine-with-jail-2021-06-21/

[2] Fiszbein A., Schady N., et al., Conditional Cash Transfers reducing present and future poverty, The World Bank report, 2009.

[3] Deaton A., Instruments, Randomization, and Learning about Development, Journal of Economic Literature, Vol. 48, N. 2, June 2010, pp. 424-55.

[4] https://www.nytimes.com/2021/07/09/nyregion/free-doughnuts-arent-going-to-boost-vaccination-rates.html

[5] Lazarus, J.V., Ratzan, S.C., Palayew, A. et al. A global survey of potential acceptance of a COVID-19 vaccine. Nat Med 27, 225–228 (2021).

[6] https://www.nber.org/system/files/working_papers/w28726/w28726.pdf

Il LAVORO si PAGA. SEMPRE

“Non chiedermi di pagare per lavorare”.

E’ l’avviso che vorrei che tutti, sul proprio biglietto da visita, facessero imprimere. A scanso di equivoci e a protezione di chi più facilmente di altri, cade vittima di millantatori e manipolatori.

In poco più di due mesi, è il terzo cliente che mi chiama perché lo aiuti a prendere una decisione in merito ad una proposta di collaborazione “interessantissima e irrinunciabile”, alla quale però non solo non ci sarebbe remunerazione, ma addirittura viene chiesto del denaro (non poco) in cambio.

Detto in altri termini: “ti offro l’opportunità di lavorare con me, alla interessante cifra di $$$, che però mi versi tu che lavori”, senza contare gli altri “benefit” inclusi nell’offerta.

E’ indiscutibile la capacità manipolatoria di questi “venditori” di opportunità, ma ciò che più mi ha fatto pensare è che ben 3 (quindi non una coincidenza) manager di alto profilo, con un lavoro invidiabile e contenti di ciò che fanno, abbiano anche solo preso in considerazione simili proposte.

Ripensando agli studi fatti negli anni, riconduco il tutto a due facce dello stesso fenomeno. La prima, di ordine socio-culturale, chiama in causa la svalutazione del lavoro intellettuale, e della persona in questione. La seconda è di ordine antropologico: il commercio a prezzo fisso nasce con i grandi magazzini nell’800, precedentemente vigeva la pratica della contrattazione, erede del baratto, che nella sua versione più estrema includeva anche l’eventualità dell’acquisizione a titolo gratuito o per baratto.

Diverso, invece, il percepito per chi formula la richiesta. Chiedere può essere sfrontato, ma non è un peccato, e l’imbarazzo si fa pari a zero se sostenuto dalla miracolosa frase “senza fini di lucro”.

Ma se occorre addirittura pagare per lavorare, un professionista muore. L’individuo muore.

Ai professionisti che seguo, rispondo a questo quesito così: accettare un lavoro gratis o addirittura a fronte di un pagamento, senza le dovute riflessioni, ma solo per ‘esserci’, corrisponde ad auto-svalutare il valore della propria professionalità e le proprie competenze.

Se però quella di pagare per lavorare è una scelta alla quale non puoi sottrarti ricorda: il tuo lavoro sarà quotato di conseguenza sia dalle persone con cui hai già collaborato (e che ti faranno nuove proposte basandosi su questo dato, sottintendendo cioè che tu questi progetti li segui gratis o addirittura paghi tu chi te li commissiona), sia dal network che gira attorno a queste persone e riposizionare il proprio valore economico sarà molto difficile!

Imparare a dire no o avanzare richieste non è sempre facile, intendiamoci, ma è una scelta che ti tutela e che come professionista devi imparare a fare.

Ho imparato che la serietà di una persona o di un progetto si misura anche da questi parametri.

La PERSUASIONE OCCULTA nel WEB si CHIAMA CAPTOLOGIA

Influenza il modo in cui pensiamo e agiamo e ci aiuta a risolvere nuovi problemi attraverso nuove soluzioni. Ci ammalia, motiva e convince.
Chi, cosa?

La captologia, quel territorio di indagine dove arte della persuasione e scienza dei computer si mescolano e che comprende la progettazione, la ricerca e l’analisi di prodotti informatici interattivi, come il Web, software per computer, smartphone e apparecchi specializzati, inclusi siti, applicazioni mobili e social network, creati allo scopo di cambiare atteggiamenti o comportamenti delle persone.

A coniare il termine, nel 1996, B.J. Fogg, direttore del Laboratorio di Tecnologia Persuasiva alla Stanford University, derivandolo dall’acronimo Computers As Persuasive Technologies: CAPT.

La persuasione, nel senso della captologia, si riferisce a qualsiasi tentativo atto a provocare “intenzionalmente”, tramite l’interazione uomo-macchina, un determinato cambiamento “volontario” nelle idee e nei comportamenti, senza far uso di inganno o coercizione. Sono esclusi quei cambiamenti che, pur avvenendo a seguito dell’interazione uomo- macchina, non sono stati voluti e intenzionalmente pianificati dal progettista.

L’idea della persuasione subliminale ha origine negli anni 50 con gli “inserti subliminali” nei cinema, poi screditata quando chi la lanciò ammise di aver falsificato le ricerche. L’attuale resurrezione del subliminale, questa volta su computer, si fonda su nuove evidenze dalle neuroscienze che hanno mostrato come ad esempio le parti del cervello deputate all’elaborazione del linguaggio si attivano di fronte a stimoli subliminali contenenti parole.

Non si può non citare alcuni curiosi risultati.

Come quello condotto da M. Cavazza (Teesside University) in cui gli utenti usando al computer una simulazione 3D di un frigorifero, dovevano riempirlo con vari cibi. I ricercatori hanno tentato di influenzarne le scelte inserendo immagini subliminali di cibi. Quando gli utenti reagivano immediatamente dopo lo stimolo subliminale (entro 1 secondo), le loro scelte venivano effettivamente influenzate, mentre se passava più tempo l’effetto andava perso.

Gli stimoli ambientali, quali colori od odori, a cui non siamo soliti attribuire significati persuasivi, possono influenzarci, come hanno dimostrato due ricercatori olandesi, Cees Midden e Jaap Ham. Cambiare il colore delle luce ambientale in base a quanto elevato è il consumo risultante dalla programmazione del termostato, è una strategia efficace per ottenere comportamenti energetici più contenuti. Un’ottima applicazione di nudge, posso aggiungere.

Se invece si vuole persuadere in rete e raccogliere un numero ampissimo di followers? La cosa più valida da fare (come ha dimostrato Genevieve Johnson dell’Università dell’Oklahoma) è:
– millantare un elevato livello di esperienza sul tema che si tratta,
– esprimersi con la sicurezza e chiarezza di chi sa tutto (anche se non è così)
– atteggiarsi ad autorità indiscutibile, e quindi impossibile da contraddire
– e per rafforzare anche i più insensati “ragionamenti”, ricordate di citare qualche (sconosciuto) scienziato o (improbabile) pubblicazione scientifica.

Talvolta o forse troppo spesso purtroppo il Web riesce a dare credibilità anche a persone che non apparirebbero né esperte né autorevoli in un confronto pubblico faccia a faccia ed in tempo reale.