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COSA ha da INSEGNARE HANNIBAL LECTER in fatto di NEGOZIAZIONE? A mio avviso, MOLTISSIMO

Poche persone sono intellettualmente interessanti e ossessivamente composte come Hannibal Lecter, il protagonista de Silenzio degli innocenti di Thomas Harris.

Uomo dai gusti raffinati e dall’intuito senza pari, è in grado di gestire le conversazioni con la precisione di un chirurgo e l’aplomb di un direttore d’orchestra. Il suo approccio alla Negoziazione trascende le tattiche convenzionali, mescolando fascino calcolato, silenzio snervante e osservazioni taglienti come un rasoio in una masterclass di manovre psicologiche.

Hannibal Lecter, è sempre un ottimo interlocutore per parlare di Negoziazione.

NELLA MENTE DI HANNIBAL LECTER

Hannibal presenta la Negoziazione come una raffinata forma d’arte dove la sottigliezza incontra la strategia e il potere è esercitato con la precisione di un bisturi, ogni pausa, sguardo e parola è orchestrata per il massimo effetto.

Analizziamo la sua strategia… che seppur cinematografica, offre spunti interessanti di riflessione

Analisi psicologica

Per negoziare bisogna guardare sotto la superficie. Uno sguardo appena accennato, il tono di voce, l’esitazione a metà frase: non sono solo semplici dettagli, sono indizi.

Hannibal Lecter:

Sei molto ambiziosa, vero? Sai cosa mi sembri con la tua borsetta pulita e le scarpette a buon prezzo? Mi sembri una campagnola. Un’energica campagnola ripulita con poco gusto. Sei stata nutrita bene (..), ma non ti sei spinta più in là di una generazione rispetto ai rifiuti umani da cui provieni, vero? E quell’accento che hai tentato così disperatamente di perdere, pura Virginia occidentale…”

Le parole che Lecter proferisce non sono semplici frecciatine, ma un’esposizione del tumulto interiore di Clarice, messo a nudo per poterlo poi usare.

Lezione: Osserva e ascolta per capire (non per rispondere) e non solo le parole ma anche le pause, i più piccoli, infinitesimali dettagli. Si riveleranno informazioni preziose. Di cui spesso l’interlocutore è ignaro di averli svelati.

Silenzio strategico

Silenzio. Per alcuni è un abisso, insopportabile e soffocante. Per Lecter è un palcoscenico su cui altri danzano inconsapevolmente. Quando si arresta durante le conversazioni con coloro che cercano di capire cosa sta pensando, non lascia loro niente se non il loro disagio. Nella lotta per sfuggirgli, rivelano molto più di quanto fosse loro intenzione. Il silenzio è un’arma formidabile!

Lezione: Lecter usa il silenzio, l’immobilità. Chi non riesce a resistere, tenderà a offrire molto più di quanto si potrebbe mai prendere con la forza.

Mirroring e ascolto attivo

Quando Lecter coinvolge l’ispettore Pazzi, ne rispecchia i gesti, le intonazioni. Lo mette a proprio agio, lo conduce nel suo mondo. Quando l’ispettore se ne rende conto, è troppo tardi[1].

Lezione: Lecter crea un legame, mostra un riflesso che conforta, per sedurre l’interlocutore. Persuasione o manipolazione?

Fascino calcolato

Il fascino è uno strumento delizioso. Una patina di civiltà, un complimento a cui è difficile sottrarsi. Maschera le intenzioni più profonde.

“Vorrei tanto che potessimo chiacchierare più a lungo, ma ho un vecchio amico a cena”[2],

dice Hannibal a Clarice riferendosi al dottor Chilton. Un sorriso celato dietro uno spiccato umorismo e un talento innato per i doppi sensi.

Lezione: Lecter usa il fascino non come gentilezza, ma come strumento per avvicinare le persone. In questo modo, non sospetteranno mai la vera distanza tra lui e loro.

Controllo attraverso l’intimidazione

La paura è un potente motivatore, ma se la si usa troppo apertamente, diventa volgare. La presenza di Lecter, la sua voce misurata, sono sufficienti:

Una volta un addetto al censimento cercò di mettermi alla prova. Mangiai il suo fegato con delle fave e un buon Chianti”

racconta, non con rabbia, ma con gusto. La paura, quando è gestita con eleganza, è irresistibile.

Lezione: non gridare, non minacciare. Parla con calma certezza e fermezza. Spesso la  solidità vale più di qualsiasi sfuriata o intimidazione!

Uso intelligente delle domande

La domanda. Così innocua, così disarmante.

“Perché pensi che tolga loro la pelle, agente Starling?”

Le domande di Lecter non sono mai oziose; sono sondaggi, estraggono verità mentre non offro nulla in cambio. Fa in modo che le domande conducano le sue prede lungo sentieri che ha scelto lui, che non hanno mai pensato di percorrere.

Lezione: usa domande che offrano un vantaggio; ogni domanda va pensata e studiata. Mai lasciare fare al caso.

Stabilire una cornice dominante

“Quid pro quo, Clarice”.

È una frase che Lecter usa per chiarire chi tiene le redini. Anche nella sua cella, Hannibal non era lui il prigioniero, era il direttore d’orchestra. Inquadra la conversazione, stabilisci i termini e altri seguiranno, anche quando si credono liberi.

Lezione: la cornice è potere. Una volta impostata, la possiedi.

Manipolazione attraverso la reciprocità

Un favore non è senza costi. Quando Lecter offre la sua intuizione su Buffalo Bill, non lo fa per carità. È investimento. Un debito che deve essere ripagato. Come a ricordare che il regalo più gentile è quello calcolato.

Lezione: un uso magistrale del principio di reciprocità di Cialdini!

Non avere fretta

La pazienza è una virtù. Anni, decenni, cosa sono per qualcuno che aspetta la perfezione? Mason Verger, Clarice, persino il dottor Chilton, nessuno si è reso conto che le azioni di Lecter facevano parte di un piano in fase di elaborazione da tempo.

Lezione: non avere mai (troppa) fretta. Posiziona i tuoi pezzi, anticipa le mosse e agisci nel momento migliore.

CONCLUSIONI

Talvolta leggiamo un libro o guardiamo un film solo per passatempo o piacere. Eppure, molte storie e altrettanti personaggi hanno tantissime cose da insegnare. Nel bene e nel male. Hannibal Lecter, anche nelle sue atrocità, è uno di questi. Affascinante, irreale, ma più umano di quanto ci fa comodo credere! Già solo fossimo bravi a praticare l’ascolto o utilizzare il silenzio in una negoziazione, già avremmo ottenuto un grande vantaggio competitivo!


[1] https://www.youtube.com/watch?v=FBmGkTodA3U

[2] https://www.youtube.com/watch?v=tMrgXU4WoBY

QUANDO a venir SCREDITATA è la PERSONA, NON ciò che DICE: la fallacia ad hominem

C’è chi, anziché affrontare l’argomento di discussione, attacca la persona che lo sostiene. Attuando una vera e propria strategia della retorica utile a deviare il dibattito dal contenuto sostanziale alla caratterizzazione personale.

Di fatto, questa tattica serve ad allontanare dal tema del confronto contestando non l’affermazione dell’interlocutore ma l’interlocutore stesso. Strategia che prende il nome di fallacia ad hominem o ad personam (argomento contro l’uomo)

QUALCHE ESEMPIO

A: “Penso che la crisi climatica e l’inquinamento siano i maggiori problemi che abbiamo al momento, se non li risolviamo al più presto ci saranno gravi conseguenze per tutti noi.” B: “Certo, parli te che non fai nemmeno la raccolta differenziata?”

A:Tu sostieni che Dio non esiste, ma tanto non capisci niente!” B: “Secondo te Dio esiste? Beh, perché sei ignorante!”

Come già per la fallacia dell’uomo di paglia, anche questa fallacia è abusatissima nel dibattito politico. Basti pensare quanto spesso, in campagna elettorale, i candidati criticano gli avversari non tanto per le loro idee presenti nel programma, quanto più per le persone che sono per la loro carriera lavorativa o altre loro scelte personali.

A: «In una condizione economica come quella attuale, bisognerebbe aumentare il deficit pubblico per sostenere il sistema privato in ginocchio».

B: «Il collega deputato non ha alcun titolo accademico per argomentare in maniera credibile su questi temi».

COME RICONOSCERE LA FALLACIA AD HOMINEM

  • Attacco personale: l’argomento si concentra sulle caratteristiche personali o sulla credibilità dell’individuo piuttosto che sul merito dell’argomento?
  • Deviazione dal tema: l’attenzione è stata deviata dall’argomento originale per concentrarsi su aspetti irrilevanti della persona?
  • Assenza di contraddittorio: non vengono fornite prove o argomenti per contraddire la posizione avversa, ma solo attacchi personali?

In sintesi:

–        La persona A fa l’affermazione X

–        La persona B fa un attacco alle circostanze di A

–        Quindi X è falsa

Rispondere a un’argomentazione attaccando chi la pone può essere molto facile. Tuttavia, è meglio resistere a questa tentazione. Perché, anche se, a prima vista, può sembrare una risposta coerente, dato che B mette in mostra una presunta ipocrisia di A, in realtà questa non è l’oggetto della discussione, dunque è irrilevante. B dovrebbe, invece, rispondere nel merito dell’argomentazione proposta, dichiarando la sua visione del tema e supportandola con altre argomentazioni.

Domande per smascherare la fallacia

  • Gli attacchi personali sono pertinenti all’argomento in discussione?
  • Sono state affrontate le premesse o le conclusioni dell’argomento avversario?
  • Gli attacchi personali sostituiscono un contraddittorio valido?

Modi per controbattere la fallacia

  • Ricondurre al merito: riportare la discussione al merito dell’argomento originale, ignorando o minimizzando gli attacchi personali.
  • Richiedere argomenti: sollecitare l’interlocutore a fornire argomenti validi invece di attacchi personali.
  • Evidenziare la fallacia: identificare esplicitamente l’uso della fallacia ad hominem come una deviazione dal dibattito razionale.

SOTTOCATEGORIE

Da questa fallacia argomentativa possono derivare delle sottocategorie, vediamone quattro:

AD HOMINEM ABUSIVO. È il caso in cui la controparte, in un dibattito, viene insultata, derisa o ne vengono sminuite le capacità. Come l’ad hominem classico, ciò viene fatto con lo scopo di distrarre e provocare l’avversario, che si sentirà in dovere di difendersi dalle accuse, sviando il discorso dall’argomento principale.

  • Di fatto: la tesi X è sostenuta da A. Ma A ha qualche caratteristica particolarmente negativa. Dunque, si può dubitare fortemente di X.
  • Sei una capra ignorante! (Vittorio Sgarbi ai suoi interlocutori)
  • Non prendo lezioni di vita da uno come te. Sei un pessimo soggetto. Pertanto, i tuoi consigli pedagogici li ignorerò.

AD HOMINEM CIRCOSTANZIALE. Qui vengono prese delle circostanze che riguardano l’avversario per essere usate contro di lui, rigorosamente irrilevanticon l’argomento della discussione.

  • “Ma certo, è proprio ciò che ci si aspetta da uno come te!”
  • “Rousseau è stato un pessimo padre. Perciò, non seguirò i suoi consigli pedagogici”.
  • “Aristotele ebbe schiavi. Non possiamo dunque accettare la sua etica”.

AVVELENAMENTO DEL POZZO. In questo caso, chi sceglie di avvelenare il pozzo decide di giocare d’anticipo e di attaccare la persona ancor prima che questa abbia potuto esprimere il suo parere.

“Solo un assassino potrebbe dichiararsi favorevole all’aborto!”

In questo modo, è come se l’interlocutore posizionasse una trappola nel momento in cui esprime la sua tesi, aspettando solo che l’interlocutore ci caschi.

Un’accusa così forte (chiamare “assassino” chi è favorevole all’aborto), infatti, ha tutto il potenziale per sviare l’oggetto della discussione verso la morale della vittima dell’accusa piuttosto che sul tema principale.

  • Non starlo a sentire, è un poco di buono.”
  • Prima di dare la parola al mio avversario, vi chiedo di ricordare che quelli che si oppongono ai miei progetti non hanno a cuore il bene dell’università… azienda… ecc..
  • Non preoccuparti di quello che dice; è solo un fallito nella vita.”

Questa fallacia, può tradursi nella diffusione di informazioni negative, vere o false che siano, contro il proprio interlocutore, che suggeriscono ad esempio che egli è pazzo, incompetente o, in passato, ha esibito comportamenti disdicevoli, minando, dunque, alla fonte la sua credibilità. La conclusione implicita, in questi casi, è che qualsiasi cosa l’interlocutore affermi, non è accettabile in quanto egli è pazzo, incompetente, ecc. Come fidarsi del resto di qualcuno che possiede quelle caratteristiche negative?

L’avvelenamento del pozzo è una strategia ampiamente utilizzata nei dibattiti contemporanei. In ambito politico, etichettare l’avversario in base alla appartenenza ideologica o partitica serve a decapitarne le tesi sul nascere. Un’accusa di “comunismo” o “fascismo”, precedente a ogni discussione nel merito, può valere a insinuare dubbi e sospetti nei confronti di qualsiasi tesi avanzata dall’interlocutore. È evidente come ciò non consenta di valutare un’iniziativa per i suoi meriti dal momento che l’alone negativo dell’appartenenza politica inibisce ogni seria considerazione della proposta.

Lo stesso avviene se si muove un’accusa di interesse al proprio avversario. Colore della pelle, orientamento sessuale e religioso, provenienza geografica, attività svolta: sono solo alcuni degli elementi su cui è possibile far leva per avvelenare il pozzo della contesa.

TU QUOQUE O APPELLO ALL’IPOCRISIA. Le parole attribuite a Giulio Cesare in punto di morte danno il nome a quest’ultima sottocategoria. Commettiamo questa fallacia quando ci difendiamo da una critica rigirandola verso l’altra persona:

A: “Sai che fumare fa molto male alla salute, dovresti smettere.”

B: “Parli proprio tu che dormi poco, mangi male, sei sempre stressato e non fai attività fisica?”

  • I politici cattolici difendono la famiglia. Eppure, molti di essi sono pure divorziati…
  • Il mio barista mi parla così tanto di onestà e onestà e poi non mi fa neppure lo scontrino.

La critica che B muove ad A sposta l’attenzione dall’oggetto iniziale della discussione pur essendo, di fatto, irrilevante (le pessime abitudini di B non hanno nulla a che vedere con la dipendenza dal fumo di A).

Si ricorre a questa fallacia per giustificare le proprie azioni menzionando azioni analoghe compiute da altri: si cerca cioè di screditare la posizione di un avversario asserendo la sua incoerenza nel mantenere detta posizione. È infatti impiegata come efficace specchietto per le allodole in quanto toglie la patata bollente dalle mani dell’accusato chiamato a difendersi, spostando il bersaglio sulla persona che ha fatto la prima accusa.

Spero che questa breve carrellata sia stata utile a fornire qualche utile strumento per meglio gestire confronti e negoziazioni critiche. Alla prossima fallacia…

NON LASCIARTI SCREDITARE dall’UOMO di PAGLIA e dagli ERRORI di RAGIONAMENTO

Ci sono persone che, quando parlano, hanno la capacità di portare il #discorso laddove vogliono loro, lasciando poco spazio all’interlocutore di turno. Senza perdersi in dissertazioni sul fatto che si tratti di #persuasione o #manipolazione, ciò che più spesso si dimentica è che lo stesso #potere è disponibile all’uso di entrambi gli interlocutori. E la cosa che più ancora dovrebbe far riflettere non è nemmeno tanto che compaiono discorsi poco veritieri e corretti, ma che non si sappia individuarli e neutralizzarli.

Ecco perché conoscere gli inganni discorsivi serve a scoprirli, evitarli e utilizzarli a proprio piacimento, quando serve.

Di inganni discorsivi, o più tecnicamente #fallacie, ce ne sono molti. Uno dei più comuni è la fallacia dell’uomo di paglia o straw man fallacy.

COSA SONO LE FALLACIE

Le fallacie sono errori nella formulazione di un ragionamento che rendono le argomentazioni non valide dal punto di vista logico: sono di fatto le frasi che impediscono a una discussione – pubblica o privata, a tavola o per iscritto, in famiglia o in contesto aziendale e politico, ecc – di progredire logicamente e, di fatto, rendono la conversazione inutile.

Spesso nascoste, talvolta utilizzate di proposito, hanno l’intento di ingannare chi ascolta e convincerlo che chi parla ha ragione: per questo sono molto frequenti, per esempio, nel dibattito politico, nei contesti sociali e religiosi.

La fallacia dell’uomo di paglia è una delle più utilizzate.

STRAW MAN FALLACY

È una tesi che una persona, in una discussione, attribuisce all’interlocutore, malgrado quest’ultimo non l’abbia sostenuta. La tesi è una forzatura volutamente assurda, sciocca o falsa, in modo da essere facilmente contraddetta.

Ecco un esempio:

Mario sostiene che “la pena di morte è ingiusta”.

Il suo oppositore, Andrea, risponde che “Mario sostiene che non bisogna punire gli assassini”.

In realtà Mario non ha mai sostenuto che non bisogna punire gli assassini, ma Andrea gli ha attribuito questa opinione e ora Mario dovrà affannarsi a dire che non è vero, ripartendo da una posizione svantaggiata.

È evidente il tentativo di cattiva argomentazione, contenente una fallacia: un errore argomentativo nascosto, di solito costruito ad arte. Trucco molto abusato che funziona pressoché sempre in quanto costringe l’ingannato, nel nostro esempio Mario, a una smentita che facilmente risulta debole o irritata e a quel punto ecco un altro trucco da bambini: “se ti irriti, allora è vero”!

Dare un nome al giochino è utile perché permette, una volta che sia noto e condiviso, di definirlo e smontarlo all’istante!

COME SI STRUTTURA LA FALLACIA

o   Una persona solleva l’argomento “A”.

o   Il suo avversario lo distorce e lo sostituisce con l’argomento “B”. Che è simile, ma fuorviante.

o   La prima persona confuta l’argomento “B”.

o   Quindi, poiché ha equiparato i due argomenti, dà l’impressione che anche “A” sia stato confutato.

Chi si avvale di questo trucco vuole:

  • Travisare l’argomentazione dell’interlocutore
  • Esagerare e distorcere l’argomento per rendere più facile la confutazione
  • Distogliere l’attenzione dalla reale tesi dell’interlocutore

Altri esempi (classici)

A: Sono d’accordo con la legalizzazione della marijuana.

B: In modo che tutti diventino dipendenti e il traffico di droga aumenti?

A: È importante avere una dieta equilibrata e sana.

B: Quindi continuiamo a uccidere animali innocenti.

A: Penso che dovresti modificare questo articolo.

B: Perché mi dici sempre che non scrivo bene?

COME CONFUTARE L’UOMO DI PAGLIA

Il modo migliore è anticipare l’interlocutore/avversario e offrire un argomento il più chiaro e preciso possibile.

Se la fallacia viene ignorata e l’avversario continua a insistere con la sua argomentazione volutamente travisata, è molto probabile che vinca la discussione. Inoltre, se difendi ciò che ha affermato l’avversario, sarà sempre più difficile provare la distorsione che era nel suo punto di vista.

Pertanto, la strategia più conveniente si basa sulla prevenzione. Ecco perché, per giocare di anticipo, occorre esprimere il punto di vista o le diverse argomentazioni nel modo più chiaro possibile, senza lasciare spazio a fraintendimenti.

Un’altra tattica è indicare l’uomo di paglia. Chiamare cioè in causa l’avversario per l’uso che fa dalla fallacia, spiegando perché il suo argomento è errato e come sta distorcendo la tua posizione originale. Si può inoltre metterlo sulla difensiva chiedendogli di giustificare perché crede che la posizione distorta che presenta sia la stessa che hai proposto tu originariamente.

Poiché le due posizioni sono diverse, il tuo interlocutore sarà costretto ad ammettere che il suo argomento non era valido, oppure cercherà di giustificarlo usando un ragionamento ancora più fallace, che puoi quindi attaccare.

In taluni casi si può ignorare la versione distorta del tuo argomento presentata dall’avversario e continuare a sostenere la posizione originale. Continuare però a concentrarsi sull’uomo di paglia richiederà, con molta probabilità, di dover smascherare la fallacia usata dalla controparte.

Insomma, seppur non sia facile non cadere nella trappola, iniziare con il riconoscerla più essere un vantaggio non da poco che vale la pena allenarsi a intercettare. Oltre il fatto che ci dirà molto del nostro interlocutore… e non è poco di questi tempi.

Bibliografia

D’Agostini F., Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2010.

Bermejo Luque L. Falacias y Argumentacion, Editori Plaza e Valdés, 2014.

Hamblin C.L. Fallacies, Advanced Reasoning Forum, 2022

https://www.researchgate.net/publication/316138189_Le_fallacie_argomentative_tra_logica_e_dialettica

Il CONFLITTO: una INDUSTRIA in ESPANSIONE L’ARTE del NEGOZIATO: la SOLUZIONE

Qual è il modo migliore di gestire i conflitti? Qual è il miglior consiglio per una coppia che sta per divorziare e che vorrebbe raggiungere un accordo equo e soddisfacente? Qual è la miglior strategia per ottenere un aumento o per evitare uno sciopero?

Negoziare è un fatto della vita, capacità strategica del fare manageriale e attività relazionale irrinunciabile.

Si negozia con il marito su dove andare a cena, e con il figlio sull’ora alla quale andare a letto. Il negoziato è un mezzo fondamentale per ottenere dagli altri quello che si vuole. E’ una comunicazione nei due sensi intesa a raggiungere un accordo quando voi e la controparte avete interessi in comune e altri in contrasto.

Tutti vogliono partecipare alle decisioni che li riguardano e sono sempre meno coloro che accettano decisioni prese da altri: l’arte negoziale è indispensabile per risolvere il contrasto.

Solitamente le persone vedono due modi di trattare: quello duro e quello morbido.

Il negoziatore morbido cerca di evitare il conflitto personale, e così fa rapide concessioni allo scopo di raggiungere un agreement, cercando una soluzione amichevole che nel tempo lo fa sentire sfruttato.

Il negoziatore duro vede ogni situazione come uno scontro di volontà nel quale la parte che assume l’atteggiamento più radicale e lo mantiene più a lungo, se la cava meglio. Vuole vincere, ma spesso provoca solo una reazione dura che esaurisce lui e guasta i rapporti con la controparte.

C’è un terzo modo di negoziare, nè duro, nè morbido ma duro E morbido. E’ il negoziato dei principi (principled negotiation), sviluppato all’Harvard Negotiation Project: “decidere le soluzione in base ai loro meriti piuttosto che attraverso un processo di tira e molla concentrato su ciò che ciascuna parte dice di volere o non volere”.

Suggerisce che si miri al vantaggio reciproco e che, laddove gli interessi sono in conflitto, si insista affinchè il risultato si basi su criteri di equità indipendenti dalla volontà delle parti. Ossia duro nel merito, morbido verso le persone. Consentendo di essere corretti pur proteggendosi contro coloro che vorrebbero approfittare della vostra correttezza.

Questo approccio è stato usato dai diplomatici americani nei colloqui con l’Unione Sovietica sul controllo degli armamenti, dai legali di Wall Street, che rappresentano le 500 società della classifica di Fortune, in processi di violazione delle norme antritrust, nonchè dalle coppie per decidere qualunque cosa, dove andare in vacanza o come dividere i beni in caso di divorzio.

Ogni negoziato è diverso, ma gli elementi non cambiano; chiunque può imparare questo metodo. Se sa come farlo. Se ti interessa approfondire il tema, scrivimi la tua mail per rimanere aggiornato e conoscere le date dei corsi.

Buona negoziazione!

COME SVILUPPARE la CAPACITA’ di DELEGA. Il mio APPROCCIO nel TROVARE SOLUZIONI

“Non è così che il lavoro andava fatto… “Mi costringete sempre ad intervenire… “Incompetenti e ingrati. Ecco quello che siete…

Aggirandomi per gli uffici, dialogando con le persone, ascoltando e osservando, ho raccolto i modelli comunicativi e comportamentali che abitavano un’interessante realtà italiana, dalle grandi potenzialità ma più impegnata a risolvere conflitti che a fare business. Più avvolta su se stessa che focalizzata all’obiettivo.

Il mio cliente è un imprenditore intelligente e capace, sconfortato e preoccupato della scarsa motivazione e collaborazione dei dipendenti, sottoposto a un carico di lavoro disumano perché costretto quotidianamente ad intervenire sulle inefficienze dei collaboratori. “Delego di continuo – si lamentava – ma poi sono continuamente costretto ad intervenire perché il lavoro non viene svolto in modo per me soddisfacente”.

Risultato: i collaboratori si sentivano dequalificati, demotivati, con un’autostima in crollo verticale e progetti e obiettivi a rischio boicottaggio, senza contare l’aumento di vertenze sindacali.

In casi come questo, spesso il capo è spinto dalla paura (non sempre consapevole) di non riuscire a mantenere l’azienda solida, di perdere credibilità, clienti, tutte cose conquistate in decenni di duro lavoro e sacrifici personali al limite dell’impossibile.

Per questo la credenza che si era costruito era pensare di non aver bisogno di nessuno per fare le cose, avendole sempre fatte da solo e bene…, anzi… “meglio degli altri”. Finendo di fatto in un loop, più si sostituiva ai collaboratori percepiti come lenti, incapaci, imprecisi e più questi diventavano sempre meno indipendenti ed efficienti.

Intervenire per evitare un inesorabile crollo della qualità e dell’immagine dell’azienda era fondamentale. La mia supervisione ha avuto come obiettivo portare l’imprenditore a sentire che il suo comportamento (che prevedeva di sostituirsi ai collaboratori), gli permetteva sì di mantenere gli alti standard prefissati proprio perché ci metteva del suo senza riserve, ma la sua costante e assidua solerzia nel sostituirsi agli altri, impediva loro di imparare, fare esperienza, costringendoli in una posizione di inferiorità e di delegittimazione. Tutte le volte che aiutava i collaboratori contribuiva a renderli meno affidabili e capaci.

L’imprenditore ha così potuto ampliare gli strumenti a disposizione (nello specifico la capacità di delega), sviluppare la flessibilità e considerare le situazioni da differenti punti di vista, fino a quel momento inesplorati, sostituendo una strategia e un comportamento non funzionali, con abilità più efficaci ed efficienti. Per se stesso e l’azienda.

Le NEUROSCIENZE al SERVIZIO della NEGOZIAZIONE

E se la nostra irrazionalità ci aiutasse a migliorare la nostra capacità negoziale?

Proprio così. Conoscere bias ed euristiche, le più note trappole mentali, può darci un vantaggio nell’ottenere ciò che più ci interessa al tavolo di una trattativa. Come? Attraverso un modello che intreccia le tecniche negoziali con i principi dell’economia comportamentale.

Sviluppata e resa fruibile da Daniel Kahneman, lo psicologo premio Nobel e dal collega economista Amos Tversky, l’economia comportamentale ci mostra perché troppo spesso, rispondiamo emotivamente non solo alle provocazioni ma anche alle semplici domande poste dalla controparte, rivestendole però di razionalità. Inquadrando le domande e le affermazioni in modo da influenzare il sistema emotivo dell’interlocutore, possiamo governare la razionalità della controparte e modificarne le risposte in modo vincente per entrambi.

A spiegare qualche trucco, di come cioè le Neuroscienze si mettono al servizio della negoziazione, viene in aiuto Chris Voss, negoziatore internazionale per l’FBI, a cui non potevo non chiedere consigli vista la mia passione per tutto ciò che è mediazione e negoziazione.

 

1.  Conquista la fiducia in tre parole
Il trucco è semplice. Per creare vicinanza con la controparte, i negoziatori si concentrano sulle ultime tre parole pronunciate dall’interlocutore e le ripetono o ripetono la più importante delle tre. Si chiama effetto mirroring. “Il mirroring è l’arte di suscitare la somiglianza – spiega Voss -. Ripetendo le sue parole è come se segnalassi allo specchio inconscio dell’altro il messaggio: io e te siamo uguali”. Nel caso della negoziazione, l’effetto specchio è creato ad arte per promuovere un’empatia tattica e indurre fiducia. Dopo aver pronunciato le ultime tre parole, Voss invita a rimanere in silenzio per dare all’interlocutore la possibilità di ribattere. “A questo punto, l’altro finirà per approfondire inevitabilmente quanto ha detto, collaborando al processo di connessione e iniziando a rivelare informazioni preziose”.

2. Rallenta
In qualsiasi tipo di negoziazione una parte ha bisogno dell’altra. Quindi, anche se il tuo interlocutore avesse posto una scadenza, non sentirti in obbligo di rispettarla. “È evidente che la controparte ha bisogno di te, altrimenti non si sarebbe messa a trattare”. Lo stesso vale per il tono di voce, in particolare quella che chiama la “voce da dj di mezzanotte”. Quando moduliamo la voce assumendo un tono più grave, trasmettiamo il seguente messaggio: è tutto sotto controllo. A causa del tono acuto, invece, ogni frase pronunciata suona come una domanda. Dunque, rallenta: l’obiettivo è creare le condizioni giuste perché l’altro sveli le proprie carte e sia disposto a venirti incontro.

3. Chiedi come
Una delle più importanti parole che è utile utilizzare è “come”, perché permette di rigirare il problema all’interlocutore. Per esempio, se una parte dice: “Porta mille euro domani”, la risposta “Come faccio a procurare mille euro entro domani?” rispedisce il problema al mittente. Inoltre, siccome nessuno vuole sentirsi impotente, questa formula ha il vantaggio di mettere l’altro nella posizione di cercare una soluzione. Se una negoziazione non va come desiderate, prova a rilanciare con: “Sembra che non ci sia nulla che si possa fare” e vedrai la controparte fare il possibile per dimostrarti che ci sono cose che è in grado di fare per te. Chiedere come, inoltre, obbliga l’interlocutore a vedere le cose dalla tua prospettiva e a tenerne conto mentre propone un accordo. Se l’interlocutore non si mostrasse collaborativo, ripeti la domanda: per te, è un modo per dire no senza farti un nemico. Le domande che cominciano con Come o Cosa, inoltre, offrono il vantaggio di raccogliere più dati possibili.

4. Arriva a un no
Per quanto possa sembrare contro intuitivo arrivare a un no è un ottimo punto di partenza. “Se da un lato dire di no fa sentire l’interlocutore al sicuro, dall’altro crea una situazione in cui si inizia a intravedere un terreno comune”. Il modo in cui si pone la domanda è fondamentale per ottenere questo tipo di risposta. Per esempio, quando si tratta di chiedere qualcosa sul posto di lavoro, come più tempo o più risorse, Voss propone di formulare le domande in modo da permettere all’interlocutore di dire no: “Vuoi che non ce la faccia a completare questo progetto?”. Permettere al proprio capo di dire di no lo fa sentire più sicuro e più si sente sicuro,  più è disposto a trattare. In maniera speculare, trovarsi nella posizione di dire sì dà la sensazione di essere pressati e manipolati. “Il sì è un impegno, mentre il no protegge e rilassa e le persone tendono a essere molto più aperte e collaborative quando pensano di essere in controllo della situazione”. Lo stesso consiglio si applica quando volete parlare con una persona al telefono. Potete chiedere; “Hai qualche minuto per parlare?”, ma questo porta l’interlocutore a irrigidirsi, perché vorrebbe dire no, ma si sente spinto a dire sì con il rischio di rimanere bloccato al telefono. Le cose cambiano radicalmente formulando la domanda in modo diverso: “È un momento sbagliato per parlare?”.

5. Elenca le criticità
Per creare empatia con la controparte, elencare le variabili negative che ti riguardano è fruttuoso: “So che ti è difficile fidarti di me, so che hai avuto problemi analoghi in passato”. Dichiarare apertamente i propri limiti fa sentire l’altro sicuro e vi permette di cominciare a essere più espliciti con le vostre richieste. Essere onesti e diretti sono ottime qualità, ma non sono gli alleati ideali nel caso di una negoziazione perché aumentano le distanze, riducono l’empatia e sono la premessa per un conflitto, mentre si cerca un accordo. Questo consiglio non si applica solo alle negoziazioni dell’Fbi, ma anche alle relazioni interpersonali. Quando una discussione si sta trasformando in un disastro, è possibile che uno dei due avanzi delle accuse, tipo “non stai ascoltando” o “sei ingiusto”. La risposta più naturale è cominciare la frase negando questo fatto, ma attenzione, perché questo significa negare i sentimenti dell’altra persona. “Prendete atto delle vostre mancanze per favorire un’atmosfera collaborativa”.

6. Trova l’aggancio
Ascoltare è anche un modo per raccogliere informazioni che ti aiuteranno anche quando credi di non avere un appiglio nella trattativa. Voss, assicura che c’è sempre un appiglio e va trovato. A un certo punto, le esigenze della controparte appariranno chiare e capirete perché sta resistendo. È come se l’altro avesse un’informazione che cambierà tutta la situazione. Nel conto entrano anche variabili che non sono importanti per l’altro, ma possono fare la differenza per voi. Tipo: meno soldi e più tempo libero, meno tempo libero e più formazione. Ricorda di porre le domande in modo aperto: le persone amano questo tipo di domande, perché li fanno sentire come se stessero decidendo e dunque abbassano la guardia. Quando avete conquistato la fiducia della controparte e fatto in modo che le emozioni lavorino a vostro vantaggio, fate attenzione alla parola magica: “Quando il vostro interlocutore arriva a un “ok”, significa che avete segnato un punto. Adesso, non siete più due nemici che si confrontano, ma due collaboratori che cercano di risolvere un problema a beneficio di entrambi.

I consigli di Voss sono appena iniziati, ora non mi resta che entrare man mano nei dettagli della tua tecnica. Buona negoziazione a tutti!
 

PERFETTI NEGOZIATORI con le TECNICHE dell’FBI

Vuoi convincere tuo marito a fare le pulizie in casa? Tuo figlio ad andare a letto presto? Il capo a darti un aumento? L’inquilina del piano di sopra a non riempirti il balcone di briciole? Il collega a fare gli straordinari (almeno alcuni) al posto tuo?

Il successo dipende in gran parte dalla nostra capacità di negoziare. Apprendere e poi applicarne le tecniche però non è cosa immediata. Quest’oggi voglio introdurti qualche segreto utilizzata dalla stessa FBI: Federal Bureau of Investigation, l’agenzia governativa di polizia federale degli Stati Uniti d’America che ha competenza per alcuni reati tra cui l’antiterrorismo e l’intelligence interna (https://www.fbi.gov/).

A dare il primo consiglio è Chriss Voss, agente dell’FBI già responsabile dei negoziatori per i rapimenti internazionali, docente ad Harvard, e CEO di Black Swan Group: “Il segreto è tenere sempre in conto le emozioni“. Spesso per trattare si è soliti “separare il problema dalle persone“, non prendere in considerazione i sentimenti dei nostri interlocutori.

Come si può separare la persona dal problema quando proprio le sue emozioni sono il problema?Prendiamo il caso di chi ha una pistola in mano ed è spaventatissimo: in quel caso le emozioni sono l’elemento principale in grado di deragliare la comunicazione. Ecco perché i bravi negoziatori invece di ignorarle o negarle, le riconoscono e cercano di influenzarle. I sentimenti non sono gli ostacoli ad una trattativa di successo: sono proprio loro a determinarla”.

Immaginate che il direttore del personale davanti a voi sia un rapinatore di banca. Con una pistola in mano e dieci ostaggi sdraiati per terra; invece di chiedere milioni e un jet privato, custodisce gelosamente il budget delle risorse umane. Con lui, capo del personale o scassinatore di caveau, bisogna usare la stessa tecnica, pur essendo le due figure naturalmente diverse. Come? Ascoltando molto e facendo parlare il più possibile la controparte. Nel caso di una rapina in banca, questo serve per capire carattere e debolezze del sequestratore. In un colloquio con il responsabile del personale o il capo ufficio, invece, la strategia è un invito all’«avversario» a prendere una posizione, che magari va nella direzione desiderata.

Entriamo nel dettaglio: vi viene proposta una assunzione con uno stipendio di 40 mila euro. Una volta che la società ha messo sul piatto la sua offerta, non è utile dire né sì né no, ma qualcosa come «così lo stipendio per una posizione come questa è quello». Quasi a mettere nell’aria il dubbio che forse, sul mercato, c’è qualcuno che potrebbe offrirvi di più. E – tra l’altro – lasciando la parola all’«avversario», che ora deve – lui – confermare o rilanciare.

Importante è non trasformate l’incontro – che sia nella stanza del capo o davanti a una filale di banca circondata dalla polizia – in un testa a testa fra due opinioni personali. Ma mettete sul campo dati, informazioni oggettive per sostenere i vostri argomenti.
Come dire: quello che voglio (l’aumento di stipendio o la resa del sequestratore) non è il frutto di un capriccio, ma un’evidenza. Perché, per esempio, il rapinatore non ha vie di fuga o – nel vostro caso – i dati di mercato parlano di una retribuzione media più alta per la posizione che ora ricoprite. Mettete quindi la controparte non di fronte a voi, ma al mondo circostante.

Naturalmente non mancheranno le contro-obiezioni. Ma se avete ragione, se la vostra richiesta è sensata, se l’azienda ha soldi in cassa e tiene a voi, forse il vostro obiettivo non è poi così lontano. L’importante, come consiglia l’Fbi ai negoziatori, è non perdere la calma mandando tutto all’aria. Se il direttore del personale o il vostro capo tentennano, abbozzano un «ni» che è più un «no» che un «sì», non arrabbiatevi subito e non perdete il controllo della situazione. Dimostrerete quel sangue freddo che non guasta e, soprattutto, lascerete aperta la porta a un prossimo aumento di stipendio.

TRUCCHI PRATICI

1. Ripetete alcune parole
Ripetere l’ultima delle tre parole che la controparte ha detto. È uno dei modi più veloci per stabilire un rapporto e far sentire l’altro sicuro abbastanza da rivelare se stesso. La bellezza di tutto questo è la sua semplicità. Le persone l’adorano; tattiche come questa rallenteranno il ritmo della conversazione a vostro favore e vi lasceranno più tempo per pensare“.

2. Praticate l’empatia “tattica”
E’ importante far capire alla controparte che comprendete le sue emozioni. Frasi come ‘sembra come se tu sia spaventato da…’ o ‘sembri preoccupato…’ avranno l’effetto di disarmarli”. Un’altra tecnica consiste nel cercare di immedesimarsi nell’altro a tal punto da anticipare quello che dirà a breve, e cercare di dirlo prima.

3. Cercate il “no”
Non bisognerebbe mai mettere la controparte all’angolo e costringerla a dire “sì”. Anzi è meglio fare una serie di domande che hanno come probabile risposta un “no”: “è un momento scomodo per parlare?”. In questo modo, l’interlocutore si sentirà più al sicuro e avrà l’illusione di avere in mano la situazione.

4. Ottenete un “va bene”
C’è un momento cruciale per una negoziazione: è l’attimo in cui la controparte si convince che chi parla ha capito i suoi sentimenti. Prima di ottenere un “ok”, è consigliato ripetere all’interlocutore come stanno andando le cose, riaffermare quali sono i suoi voleri e le sue emozioni. Fare, insomma, una sorta di riassunto.

5. Date all’altro l’illusione del controllo
Il secreto del successo di una negoziazione è dare all’altro l’illusione del controllo, fargli credere di avere in mano la situazione. Per questo, non ha senso forzare la controparte ad ammettere che avete ragione: “Meglio fare domande che inizino con ‘Come?’ o ‘Cosa?’ in modo che usino la loro energia mentale per trovare la risposta”. Che, spesso, scoprirete, coinciderà con la vostra.

OTTENERE IL MASSIMO, CONCEDENDO IL MINIMO… CON LE MANI LEGATE

Non è semplice ottenere il massimo, concedendo il minimo. Così come non è facile accettare di fingere di non avere sufficienti responsabilità di fronte a clienti, amici e fornitori. Eppure, talvolta, fingere di avere le mani legate, di non avere abbastanza potere, può portare grandissimi benefici.

In parole semplici, se abbiamo l’intelligenza di non gonfiarci come tacchini, pur di dimostrare quanto siamo bravi, più bravi della controparte, potremmo portare a casa risultati inaspettati. Soprattutto laddove la controparte soffre i problemi economici legati alla mancata disponibilità di tempo.

LA TECNICA DELLE MANI LEGATE

La tecnica delle mani legate consiste nel dichiarare, semplicemente, di non avere sufficiente potere per chiudere un accordo o firmare un contratto. Questo il succo del discorso. Semplice, ma attenti, non banale!

“Mi dispiace ma il mio responsabile non mi permetterà mai di firmare l’accordo se lei non arriva a proporre una cifra di almeno …. euro”.

La ragione di questa tecnica negoziale è indurre la controparte ad avanzare una proposta che possa metterci nelle condizioni di superare questo impasse, vero o immaginario, che sia, a cui noi “semplici collaboratori” dobbiamo rendere conto.

Dichiarare di avere le mani legate può rivelarsi utile anche per uscire da una situazione negoziale in cui ci siamo resi conto che non è più conveniente andare avanti o semplicemente perché abbiamo bisogno di più tempo per riflettere sul da farsi.

A sostenere la bontà di questa tecnica è stato un economista americano Thomas Schelling, premio Nobel 2005 per l’economia, e autore di un importante testo sui comportamenti strategici: Strategy of Conflict, considerato fra i 100 libri che hanno avuto maggiore influenza dopo la II guerra mondiale e fra i più importanti testi sulla negoziazione internazionale.

NEGOZIAZIONE E TEORIA DEI GIOCHI

Schelling utilizza, nel suo libro, diversi esempi per spiegare questa semplice tecnica:

  • Il sistema che fornisce alla polizia fogli di multa numerati e incancellabili fa sì che il funzionario, scrivendo il numero di targa della macchina prima di parlare con il conducente, non possa essere minacciato da quest’ultimo.
  • La chiusura sincronizzata della cassaforte nelle banche che fa sì che il dipendente anche volendo non possa aprirla.
  • La regola presente in molte università che nega ai professori il potere di cambiare il voto di uno studente una volta registrato.

Per Schelling l’essenza di questi esempi, tutti aventi lo stesso scopo, risiede nel paradosso che il potere di limitare le mosse di un avversario può dipendere dal potere di vincolare se stessi e paradossalmente l’avere le mani legate, durante una negoziazione, può trasformarsi da motivo di debolezza a punto di forza.

Perché questa strategia funzioni, è però necessario che la nostra limitazione sia completamente evidente e comprensibile alla controparte. Se così non è, l’efficacia della tattica è inutile.

IL POTERE NEGOZIALE

A Schelling si deve l’aver introdotto in modo esplicito il concetto di potere negoziale (bargaining power) definendolo come la capacità di vincolare se stessi a un determinato corso di azione. Definizione questa che deriva dalla teoria dei giochi e dal concetto di mossa strategica, prevedendo che attraverso una mossa strategica si possa influenzare in modo significativo l’azione della controparte e volgerla a esiti per noi più favorevoli. Insomma la differenza la fanno le persone, non solo le mosse, con la loro capacità di portare a soluzioni non prevedibili a priori.

Anche se le teorie di Schelling sono un po’ datate ormai, se si vuole conoscere meglio l’arte negoziale, non si può fare a meno di leggerlo. Credetemi, non rimarrete delusi. E la vostra capacità negoziale non potrà che beneficiarne.

COME andare d’ACCORDO con chi ha VALORI tanto DIVERSI dai NOSTRI

Persone con valori differenti possono andare d’accordo?

In un momento storico così ricco di odio e recriminazioni, è difficile crederlo. Tutti interessati a proteggere i propri stereotipi, le proprie posizioni ideologiche, le proprie univoche visioni e cercare di vincere anzi annientare l’altro in virtù di chissà quale premio o soddisfazione…

Eppure le dispute che hanno a che fare con i valori sono spesso molto complesse da risolvere. Perché? Perché i valori rappresentano quel sistema di convinzioni riguardo a ciò che crediamo giusto e sbagliato, bene e male e impatta costantemente sulle nostre decisioni e scelte personali.

Chi si occupa di negoziazione sa che le controversie e le liti sui valori, non possono essere risolte in modo tradizionale. Occorre lavorare molto per ampliare la possibilità di considerare le visioni contrarie meno distanti e insegnare modi per convivere nelle differenze.

In molti negoziati, entrambe le parti sono consapevoli dei reciproci interessi e sono disposte a impegnarsi per raggiungere un accordo che le soddisfi entrambe. Nei conflitti relativi all’identità personale, credenze o valori profondamente radicati, le dinamiche di negoziazione possono diventare più complesse e richiedere tattiche alternative di risoluzione. Le parti potrebbero non essere disposte a concedere alcuna concessione che aiuti l’altra, anche se ciò comporta una perdita da ambo i lati.

Insomma si è molto meno disposti a negoziare. Perché negoziare significherebbe tradire quelle convinzioni per le quali si crede così profondamente da essere persino spinti a uccidere.

Dalla Harvard Law School, ci vengono in aiuto 4 strategie per gestire proprio questo tipo di conflitti.

  • Prendi in considerazione interessi e valori separatamente: separa la persona dal problema e al tavolo delle trattative affronta le questioni individualmente. Determina il valore che la controparte dà alla sua posizione e contratta di conseguenza. Cerca di capire perché quel valore è per lei così importante.
  • Impegnati a costruire relazioni vincenti: cerca di costruire un rapporto  basato sui valori e sugli interessi comuni. Ricerca cosa unisce e non cosa divide
  • Appellati a valori: fare appello a valori comuni o condivisi può aiutare a colmare il divario al tavolo della contrattazione avvicinando le rispettive posizioni. Stabilendo un terreno di negoziazione comune, è possibile iniziare a creare valore (e rivendicare più valore).
  • Affronta direttamente le differenze: comprendere le differenze è di aiuto per raggiungere il successo nella negoziazione.

Anche nei casi in cui la risoluzione non sia possibile, questi quattro approcci consentiranno una maggiore comprensione tra le parti  e chiariranno dove si trovano le reciproche differenze di identità e di valori.

Se volessi saperne di più, ti consiglio di leggere: Risoluzione delle controversie, Lavorare insieme per la risoluzione dei conflitti (Harvard Law School).

QUALI ABILI NEGOZIATORI sono i BAMBINI (soprattutto a NATALE)

Negoziare è un’arte che i bambini esercitano con implacabile e naturale maestria, come dimostrano gli innumerevoli regali che riescono, con facilità disarmante, ad accumulare sotto l’albero. Ogni Natale.

I bimbi sono negoziatori nati, abili a mettere inconsapevolmente in atto alcune tecniche negoziali estremamente efficaci e, allo stesso tempo, sorprendentemente semplici ma che tendiamo, da adulti, a complicare e rendere innocue.

a. I bimbi non smettono mai di fare domande
Una delle tattiche più utili in una negoziazione di successo è fare domande ogni volta che non si sa o non si capisce. Da “grandi” tendiamo a perdere questa abilità nel timore di sembrare impreparati o incompetenti. Spesso, di fronte a un termine che non conosciamo invece di chiedere delucidazioni, annuiamo, celando il nostro non sapere dietro un apparente sorriso di saggezza.

b. I bimbi non smettono mai di chiedere
Non si fanno molti problemi a palesare ciò che vogliono. Che si tratti di un gioco, attenzioni o la favola della buonanotte. Insomma, di fronte a necessità e desideri i bimbi semplicemente chiedono. Da adulti, perdiamo tale la capacità. In una trattativa negoziale (e così a casa, sul lavoro e con gli amici) anziché chiedere, ricorriamo a inutili sotterfugi, nascondendo le nostre necessità, non facilitando la comprensione alla controparte di ciò di cui realmente abbiamo bisogno. Crediamo, erroneamente, che l’altro possa leggerci nel pensiero.

c. I bimbi non amano il “no” come risposta
Trattano il “no” come l’inizio e non la fine di una trattativa. La loro tendenza è infatti insistere affinchè la risposta cambi a loro vantaggio e nel caso non ci riescano, lotteranno a suon di “perché no?” fino a che la spiegazione non sarà soddisfacente a sostenere il mancato soddisfacimento del bisogno. Attenti dunque a fornire una risposta più che esaustiva e solo così le vostre proposte massimizzeranno i vostri risultati (non solo con i figli).

d. I bimbi sono sensibili alle punizioni
E sono abilissimi a influenzare i comportamenti degli adulti in modo da ottenere una dilazione o uno sconto. Immagino abbiate ben presente l’ultima volta che le urla apocalittiche di vostro figlio vi hanno spinto a sospendere una punizione pur di trovare un po’ di pace…
Ovviamente da adulti non possiamo buttarci a terra disperati di fronte al “no” del capo, ma spesso nelle negoziazioni di tipo commerciale, si ha più la tendenza a proporre la carota anzichè il bastone: ma il bastone rappresenta il costo, per entrambe le parti, del mancato accordo.

e. I bimbi sono esperti nello smascherare i bluff
Sono bravissimi a capire quando le minacce di un adulto non sono veritiere. “Se lo fai un’altra volta, non ti porto più al parco”. Se una minaccia è utilizzata regolarmente ed altrettanto regolarmente non viene eseguita, perde il suo potere, e voi perderete di credibilità e autorevolezza. Per lungo tempo.

Ecco perchè, mediando dal primo assioma della comunicazione, possiamo tranquillamente dire che non si può non negoziare.