Tag Archivio per: #neurogastronomia

AL CIBO NON SI COMANDA… Ma con i Nudge seguire una dieta non è mai stato così facile!

E’ fra le parole più cercate sul web. La (in)seguiamo di continuo, spesso senza grandi risultati. Eppure non ci arrendiamo, come dimostrano i ciclici tentativi che mettiamo in atto per mitigare il nostro senso di colpa. Soprattutto dopo aver esagerato con le calorie ingerite, dopo i falsi buoni propositi di andare in palestra, le taglie dei vestiti che si fanno sempre più strette e l’impietoso giudizio dello specchio.

Insomma al cibo non si comanda. Non a caso, tutto sembra metterci i bastoni fra le ruote quando vogliamo… vorremmo ridurre di qualche centimetro il nostro giro vita. Andiamo al ristorante e nonostante il nostro convincimento a ordinare insalata e riso integrale, alla fine divoriamo più di quanto facciamo quando non siamo sotto regime dietetico.

A venirci in aiuto, per fortuna, anche questa volta ci sono i Nudge, le spinge gentili. La strategia che ci insegna come prendere decisioni funzionali al nostro benessere senza sforzo e con il minimo sforzo.

ATTENTI ALLA TAGLIA DEI VOSTRI OSPITI

Lo sapevi che siamo influenzati sia dalla taglia degli altri commensali, sia da quella del cameriere, quando ci troviamo seduti allo stesso tavolo, menù alla mano? A seconda della corporatura del cameriere cambia il tipo e il numero di portate ordinate. Anche se può sembrare bizzarro, è provato scientificamente da uno studio congiunto condotto dai ricercatori dell’università tedesca di Jena e di Ithaca (Stato di New York) e pubblicato sulla rivista scientifica Environment & Behaviour: al variare dell’indice di massa corporea (IMC) del cameriere, cambia anche il quantitativo di cibo mangiato e di liquidi bevuti a tavola. E, in particolare, più il valore dell’IMC (che si ottiene dividendo il proprio peso corporeo in chilogrammi per il quadrato della propria altezza in metri) è alto, più chi siede al tavolo tende a ordinare cibi ipercalorici e dolce, vino, liquori e caffè zuccherato a fine pasto.

Detto in altri termini: la rotondità del cameriere induce a esagerare in fatto di calorie, a non sentirci in colpa se mangiamo oltremisura e a non sentirci giudicati.

Il 18% dei clienti serviti da camerieri sovrappeso consuma più alcolici, mentre la scelta di ordinare il dessert è quattro volte più frequente, sempre se l’indice di massa corporea dell’inserviente è superiore a 25 (il valore oltre il quale si parla di sovrappeso per l’uomo).

Altri studi hanno dimostrato come ci lasciamo condizionare dalle scelte dichiarate dei nostri commensali quando ordiniamo al ristorante. E tendiamo a omologarci, ordinando le stesse cose dei nostri amici. Ma a farci cambiare idea su cosa mangiare può contribuire anche la musica: il New York Times già nel 2012 dimostrò come i locali usavano l’artificio della musica alta per convincere i clienti a… bere di più.

Sapere queste cose non ci farà perdere peso, ma credetemi, la consapevolezza è il primo passo verso abitudini più salutari o più allineate ad obiettivi che talvolta si fanno ostici. Detto in altri termini, ci sono molti modi per scalare una vetta!

TAKE AWAY

A mettere a rischio il nostro giro vita è (anche) il cibo da asporto. Sempre più in voga e soprattutto comodo. Pensiamo a quante nuove società fanno servizio a domicilio… Fino a qualche anno fa, ti sentivi fortunato se la pizzeria di fiducia ti portava a casa la margherita, nei giorni di pioggia battente.

Dati alla mano, ad usufruire maggiormente dei take away sono le persone socialmente svantaggiate, quelle meno istruite o con redditi più bassi. Questo può essere spiegato dal fatto che queste persone tendono ad avere meno tempo per cucinare, meno conoscenze su un’alimentazione sana e meno soldi per alimenti sani. I livelli di consumo di cibo da asporto sono, differentemente da quanto si potrebbe pensare, maggiori nei gruppi svantaggiati e dove, fra i cibi più richiesti ci sono appunto quelli che raddoppiano le probabilità di obesità: le patatine fritte.

A condizionare le nostre abitudini alimentari sono poi i cibi che più facilmente troviamo nell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo. Per chi vive o lavora in aree dove le opzioni di cibo sano e fresco latitano, le scelte non salutari sono probabilmente l’opzione più semplice, se non l’unica.

A boicottare le nostre buone intenzioni è anche come il cibo ci viene servito. Il team di iNudgeYou, per esempio, ha condotto alcuni studi proprio in questo senso. A una conferenza, durante la pausa, gli ospiti potevano scegliere tra una mela intera e pezzetti di torta. Quando le mele sono presentate intere, soltanto il 32,9% delle persone le ha mangiate, invece quando sono state presentate tagliate, a sceglierle è stato l’85,3%.

SALE E SALIERE

Abbondare con il sale, se da un lato rende più saporite le pietanze, dall’altro ha ricadute pesanti sulla salute. In Inghilterra, alcune indagini hanno rivelato che venivano consumate ingenti quantità di sale nei locali di fish and chips: in un solo pasto era contenuto quasi la metà dell’apporto quotidiano consigliato. Per ridurne la quantità, sono state realizzate delle saliere con soli cinque fori (quelle tradizionali ne contengono diciassette): l’obiettivo era correggere il gesto automatico di ogni consumatore.

Prima di decidere quale fosse la quantità ideale di fori, gli architetti delle scelte (coloro che progettano i nudge) hanno esaminato campioni di fish and chips dei vari ristoranti della zona, per determinare come il design delle saliere potesse risolvere il problema. Con questo nuovo tipo di contenitori si poteva diminuire l’apporto del 60% senza sacrificare le esigenze del consumatore.

SE FOSSE LA FORMA DEL BICCHIERE A FARCI UBRIACARE?

Un altro piccolo trucco è porre attenzione alla forma del bicchiere. I ricercatori dell’Università di Bristol ritengono che beviamo più velocemente da bicchieri dalla forma ricurva rispetto a quelli dritti. Nel corso di un esperimento, infatti, i soggetti impiegavano sette minuti a bere mezza pinta di birra contenuta in un bicchiere ricurvo, contro gli undici impiegati quando la stessa quantità era servita in bicchieri dritti.

Un’altra spintarella è non servire vino in cartone e prediligere le bottiglie. Perché le bottiglie, essendo in vetro, sono trasparenti e permettono di vedere la quantità consumata, e di fissare degli indicatori, cosa non possibile con i contenitori in cartone.

OGNI GIORNO PRENDIAMO 200 DECISIONI SUL CIBO

Se sei stato assalito dallo sconforto, devo comunicarti che in media ogni giorno prendiamo duecento decisioni che hanno a che fare con il cibo, la maggioranza delle quali inconsce.

Ecco perché gestirle tutte è impresa ardua, però possiamo guidarle.

Per esempio possiamo iniziare a usare piatti più piccoli, che contengono una porzione di cibo più piccola di quella usata di solito. Tanto non sentirai la fame. A dimostrarlo, un esperimento in cui i partecipanti, divisi in due gruppi, venivano invitati a consumare una zuppa.

Un gruppo mangiava da una scodella che impercettibilmente e a loro insaputa, continuava a riempirsi di minestra da un foro nascosto sul fondo. L’altro gruppo invece consumava il cibo da una tazza normale. Chi mangiava dalla tazza truccata ha consumato il 73% di zuppa in più senza saperlo. Ma soprattutto non si sentiva più sazio di chi aveva invece mangiato una dose normale di zuppa. Il calcolo calorico non era stato fatto dalla pancia ma dagli occhi.

Ci sono molti modi per vivere una dieta. L’importante è scegliere un modo semplice e che nel possibile ci faccia anche divertire, giocando con le diverse opzioni che i Nudge ci mettono a disposizione. Se vuoi saperne di più ho racchiuso tanti altri consigli nel libro Nudge Revolution. La strategia che permette di rendere semplici scelte complesse.

Se accetti la spinta, potresti accorgerti che tante scelte possono essere davvero molto facili… anche seguire una dieta.

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista DF Magazine: https://magazine.darioflaccovio.it/2020/02/06/come-fare-la-dieta-nudge-avere-forma-smagliante/

 

McDONALD’S si fa BUONO al PALATO, QUANDO non si sa che è McDONALD’S

Pur essendo di qualche anno fa, lo scherzetto organizzato da due olandesi ha ancora molto da insegnarci sulla percezione che abbiamo del cibo.

I due, dopo aver acquistato da McDonald’s dolci e pollo fritto, sono andati a offrirli in degustazione, privi del caratteristico logo, a una fiera gastronomica. Il cibo, presentato come bio, è stato apprezzato da molti visitatori e presunti esperti che, curiosi, si sono fermati ad assaggiare. Alcuni si sono addirittura sbilanciati in analisi gustative.

SE AVESSERO SAPUTO CHE IL CIBO ERA DI McDONALD’S AVREBBERO ESPRESSO LO STESSO CONSENSO?

Non è una novità che in molti paesi il cibo biologico venga considerato più saporito e gustoso del fratello convenzionale, figuriamoci del cibo spazzatura. Le prove scientifiche di questa superiorità gustativa generalizzata però latitano, ma non pochi esperimenti, gettano qualche spiraglio di luce sulla questione.

Sulla falsa riga dello scherzo olandese, ne è stato fatto uno anche a Milano, dove in pieno centro è stato aperto un locale di tendenza e servito ai clienti un nuovo Mc panino. Ma anziché su un anonimo vassoio di plastica il cibo è stato posizionato su un ripiano di ardesia. E anche in questo caso il panino è stato particolarmente apprezzato, benchè di gourmet o di bio avesse ben poco.

Scherzi a parte, quando acquistiamo o mangiamo del cibo riceviamo tantissime informazioni: provenienza, etichetta, contenuto nutrizionale, prezzo, metodo di produzione, come viene presentato e così via. E tutto questo può avere una profonda influenza sulla nostra percezione sensoriale. Il punto cruciale è che quando acquistiamo un prodotto alimentare lo scegliamo solo in parte tenendo conto delle caratteristiche che possiamo sperimentare con i nostri sensi, come il colore o il sapore. Altre non sono verificabili con un semplice assaggio: il metodo di produzione, le proprietà salutistiche o la provenienza geografica. Vari esperimenti hanno mostrato come queste caratteristiche intangibili possano influenzare la percezione del gusto.

IL PECORINO BIO

Un gruppo di ricercatori italiani ha fatto assaggiare a 150 persone un formaggio pecorino biologico e uno convenzionale chiedendo di dare un voto da 1 a 9. Il primo assaggio si è svolto senza che nessuno sapesse quale dei due prodotti stesse gustando. E i due prodotti sono risultati essere equivalenti ed entrambi apprezzati, con 7 come punteggio medio.

Il giorno successivo a tutti i soggetti è stato fatto assaggiare solo il pecorino bio, con allegato un foglio che descriveva le caratteristiche del metodo di produzione biologica. La media dei punteggi è stata di 7.4. Il pecorino bio quindi è stato apprezzato di più laddove se assaggiato era identificato. In altre parole, il gusto è fortemente influenzato dall’aspettativa, e poiché molte persone si aspettano che il bio sia più gustoso, quando lo assaggiano lo trovano più gustoso di quello che è in realtà.

L’ANANAS

A cittadini britannici e olandesi è stato fatto assaggiare dell’ananas di tre varietà diverse coltivati in modo convenzionale, presentato però a volte come biologico, a volte come convenzionale o come prodotto del commercio equo e solidale. Le persone che avevano una aspettativa positiva rispetto al biologico hanno dato un voto più alto quando veniva proposto come bio, nonostante fosse sempre lo stesso ananas, e addirittura lo percepivano più dolce e succoso. L’influenza può anche essere negativa: chi aveva una aspettativa negativa nei confronti dai prodotti del commercio equo o dei prodotti bio li percepiva all’assaggio peggiori di quanto facessero senza l’informazione, falsa, della provenienza. Più precisamente la presenza dell’informazione “bio” migliorava la percezione del 55% dei soggetti, e la peggiorava nel 38% dei casi, mentre l’informazione “equo e solidale” migliorava i punteggi nel 43% dei casi e li peggiorava nel 45% dei casi.

La cosa interessante è che non cambiava solo il gradimento generale ma anche i punteggi di descrittori specifici, come “dolcezza” o “intensità del sapore”.

Studi che dicono moltissimo su come i nostri giudizi siano facilmente influenzabili. E non solo quando si tratta di cibo. Ciò che va tenuto presente in qualità di consumatori è che le informazioni che riceviamo sul cibo possono avere una profonda influenza su di noi, creando aspettative positive o negative, arrivando addirittura a modificare la percezione del gusto e le nostre reazioni. Facendoci percepire addirittura eccellente un cibo spazzatura.

NEUROGASTRONOMIA: è l’odore a farci percepire il gusto di ciò che mangiamo

Avete mai provato a bere un succo di frutta tappandovi il naso? Vi accorgerete che non sarete in grado di individuare il frutto da cui proviene.

Tendiamo a pensare che quando gustiamo qualcosa, il sapore lo avvertiamo grazie alle papille gustative presenti in bocca. In realtà, quel sapore, dipende per l’80 per cento dall’olfatto: quando mettiamo in bocca un alimento o una bevanda molte molecole presenti si staccano per raggiungere la cavità nasale, attivando i recettori olfattivi.

A definire il sapore di una pietanza è innanzitutto l’ambiente: ciò che vediamo, prima di mangiare qualcosa, attiva il nostro cervello preparandolo a determinati sapori.

«Chimicamente parlando – spiega Stuart Firestein della Columbia University – la molecola che ci fa percepire l’aroma del Parmigiano e l’odore del vomito è la stessa: si tratta dell’acido butirrico. Tuttavia, il cervello, interpretando la situazione che ha sotto gli occhi, attiverà un odore escludendo l’altro». Allo stesso modo di come avviene per le illusioni ottiche, il cervello può essere ingannato.

In un esperimento è stato chiesto a intenditori del vino e ad assaggiatori professionisti di analizzare vini bianchi di ottima qualità che però erano stati tinti, con coloranti, in modo da far loro assumere il colore di grandi rossi come Bordeaux, Barolo, Amarone. In quei bianchi gli assaggiatori avvertivano i profumi di frutti rossi o di spezie, tipici dei vini rossi.

E gli altri sensi? Concorrono in maniera fondamentale a formare, nel nostro cervello, il sapore. L’analisi l’ha condotta Gordon Shepherd, professore della Yale University, che ha creato anche un neologismo che ben traduce l’innovativa visione dello studioso: neurogastronomy, neurogastronomia. «Il tatto – dice Sheperd – ci permette di riconoscere la consistenza in bocca dei cibi. L’udito è fondamentale: provate a pensare di mangiare le patatine senza sentirne il suono croccante o la carne senza avvertire quel tipico rumore quando la mastichiamo». La parola, poi, è il mezzo che l’uomo ha per comunicare: in origine se un cibo era pericoloso o commestibile, oggi per condividere un sapore e la sua cultura. «Perché la gastronomia è un’esperienza unica, propria solo delle specie umana. Nessun altro essere vivente ha sviluppato un così complesso sistema in grado di riconoscere una simile varietà di sapori». Merito del nostro cervello, l’unico neurogastronomo.

MANGIARE in COMPAGNIA? fa INGRASSARE

Che differenza c’è fra un essere umano e un pollo?

Nessuna, dice la scienza. Almeno in fatto di cibo.

Un pollo che ha già mangiato quanto basta per saziarsi, ricomincia a mangiare se nella gabbia a fianco viene messo un pollo affamato.

Una persona parca nell’alimentazione, mangia molto di più se si trova in un gruppo di buone forchette.

Chi pranza con un altro commensale assume il 35% di cibo in più rispetto a quando è da solo. Quattro persone allo stesso tavolo mangiano il 75% in più; se le persone sono più di sette la percentuale sale a 96%. Allo stesso modo una persona che ama il cibo, tenderà alla moderazione in un gruppo che mangia poco: il comportamento medio del gruppo esercita una notevole influenza.

Questa informazione la conoscono molto bene i pubblicitari che con il loro sottolineare continuamente di un dato prodotto “è il preferito dalla maggioranza” o “sempre più persone” lo consumano… ci spingono a comprare ciò che fa la maggioranza.

Subiamo quindi, come i polli, l’influenza non voluta di altre persone e abbiamo la tendenza a essere condizionati dalle abitudini alimentari di chi ci sta vicino durante i pasti, quali che siano le loro intenzioni.

Le donne nello specifico a un appuntamento galante tendono a mangiare meno, gli uomini di più, convinti che il sesso femminile sia favorevolmente impressionato.

Secondo un recente studio condotto, se si vuole portare avanti una dieta è meglio non accettare inviti a pranzo o a cena a casa di familiari o amici, men che meno al ristorante. E la motivazione è semplice: la possibilità di trasformare i buoni propositi in un fallimento e di abbandonare la dieta definitivamente sono del 60%. Lo studio è stato condotto per 12 mesi su 150 persone, tutte messe a regime dietetico per perdere peso. Il risultato è stato netto: il rischio di “sgarrare” era più elevato se non si mangiava da soli. Ma non è solamente la convivialità a rovinarci la linea: assumere cibo al lavoro è più “pericoloso” che mangiare a casa, perché è davvero difficile resistere al dolcetto portato dal collega per festeggiare un compleanno, una promozione o una maternità. E le possibilità di dire addio alla dieta salgono al 40%.

Dove mangiare, allora? L’automobile è il posto migliore: lì non ci sono tentazioni, e poi la scomodità fa ridurre il tempo dedicato al pasto. In questo caso la possibilità di rinunciare al regime ipocalorico è solo del 30%. Quindi se volete perdere peso, andate a pranzo con un’amica che vanta il peso forma (ma senza divorare di nascosto i suoi avanzi).

RAFFINATA STRATEGIA NEGOZIALE e INTELLIGENTE APPLICAZIONE di NUDGE (laddove meno te lo aspetteresti)…

Non sono mai stata attirata dai ristoranti che applicano la formula “all you can eat” perché la prima cosa che mi viene in mente quando mi vengono proposti, è l’immagine di materie prime scadenti, grassi in eccesso e igiene che lascia a desiderare. Oltre che essere la meta preferita di turisti e studenti voraci.

Così, quando sono stata costretta ad entrarci con colleghi, non essendoci altra scelta nei più ristretti dintorni, mi sono sentita in trappola.

Dovete sapere che io adoro il pesce fresco e i ristoranti dove nulla è lasciato al caso e ti senti così coccolato da non poterci non ritornare ogni volta che puoi. Così aperto il menù e ritrovata la parola sushi in mille diverse forme, a fianco di immagini tutt’altro che appaganti, mi sono spazientita. La scelta più salutare era buttarsi sul riso al vapore e aspettare che gli altri commensali, meno pretenziosi, finissero di fare incetta di qualsiasi sorta di alimento comprensivo nel menu. Eppure una domanda continuava a tormentarmi… come poteva quella offerta a soli 18 euro tutto compreso, essere commercialmente redditizia per il ristorante? Come potevano contenere la bulimia nervosa dei clienti golosi di pesce senza essere danneggiati economicamente? Dove stava il guadagno?

Così ho iniziato ad osservare, a raccogliere informazioni, come in una vera e propria analisi negoziale. Nella giungla della ristorazione, questo locale che probabilmente prima di questa scelta soffriva di scarso appeal, proporre un menù “all you can eat” a un giusto prezzo, poteva risollevarne le sorti. Come in una negoziazione efficace, il trucco è dare ai clienti ciò che vogliono, ma alle nostre condizioni.

Così ho iniziato a studiare il menù e capire i termini che quel ristorante dettava non erano pochi. Bastava leggere fra le righe. L’offerta di 18 euro era limitata a un’ora e mezza (dalle 12 alle 13.30), i bambini sino agli 8 anni, potevano godere di un menù a metà prezzo solo se accompagnati da due adulti. Inoltre c’era un numero limitato di portate (8) che si poteva consumare e alcune richiedevano un fee aggiuntivo. E, soprattutto, a tuttociò che si avanzava nel piatto, veniva applicata la tariffa normale.

Quel ristorante cominciava a piacermi. Perché proponeva sì un menù a prezzi moderati, ma alle loro condizioni. Ottima strategia negoziale e un intelligente applicazione di nugde. Insomma, c’è sempre da imparare se si è sufficientemente curiosi…