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L’AGONIA delle CONVERSAZIONI NOIOSE

Abbiamo tutti esempi di conversazioni noiose in cui siamo rimasti intrappolati e che siamo stati incapaci di chiudere in tempi rapidi. Ciò che però ignoriamo è che spesso, sono entrambi gli interlocutori a volere termine la chiacchierata, prima di quanto poi avviene.

Nolenti o volenti, perdiamo la capacità di soddisfare i nostri interessi e di allinearci a quelli di coloro con cui stiamo chiacchierando. Perdendo tempo prezioso o non sfruttandolo al meglio.

Non siamo cioè né efficaci, né strategici.

LA RICERCA DI HARVARD

A mostrare la nostra incapacità di mettere fine a conversazioni poco utili o a gestirle tanto da farle diventare efficaci se non per noi, almeno per l’altro, due esperimenti condotti da un gruppo di ricerca del dipartimento di psicologia dell’Università di Harvard.

In uno, 252 persone reclutate all’interno del dipartimento di psicologia, sono stati accoppiate per tenere una conversazione che poteva durare, a loro piacimento, fino a 45 minuti.

Nel secondo, a 806 volontari reclutati casualmente, è stato chiesto di rispondere ad alcune domande riguardo alle loro conversazioni più recenti, e nello specifico di dichiarare se il momento in cui avrebbero voluto concludere la conversazione e il momento della fine effettiva, coincidessero.

I RISULTATI

In entrambi i casi:

–        più di due terzi ha riferito che la conversazione era durata più a lungo di quanto avesse voluto,

–        il 10% dichiarato che la conversazione era stata troppo breve e che avrebbe voluto continuare a parlare,

–        a essere soddisfatti della durata appena il 2%.

I risultati complessivi degli esperimenti indicano che la durata desiderata delle conversazioni è di circa la metà rispetto a quella effettiva. È emersa inoltre una generale incapacità di intuire i desideri dell’altra persona. Alcuni partecipanti hanno infatti sovrastimato le intenzioni dell’altro: le ipotesi erano sbagliate nel 64% dei casi.

Dale Barr, psicologo all’Università di Glasgow, ritiene quello di Harvard il primo studio che prova a misurare con precisione quanto sia difficile per le persone bilanciare i propri desideri con ciò che desiderano i loro interlocutori. Altre ricerche, supportano quanto le persone siano meno capaci a decifrare cosa pensano gli altri rispetto a quanto immaginano.

E se a peggiorare la situazione si aggiungessero anche i bias?

QUANDO I BIAS NON AIUTANO

Insomma, non siamo bravi né a soddisfare i nostri interessi né quelli dei nostri interlocutori. Non solo non siamo strategici ma nemmeno efficaci. Almeno in alcuni tipi di conversazione. Tanto da preferire di rimanere intrappolati, per non offendere l’altro, che trovare una vita di uscita.

Una delle ragioni è da attribuirsi al courtesy bias, il pregiudizio che spinge a essere cortesi con coloro che cercano la nostra opinione, o che paiono ascoltarci. Questo impedisce la libera espressione di qualsiasi feedback onesto che potrebbe essere percepito come negativo dal destinatario. Mentre il bias di cortesia può salvare le persone da situazioni di disagio a breve termine, può anche ostacolare scambi costruttivi che possono aiutare a migliorare le cose.

Non è da meno il bias dello status quo, la tendenza a lasciare le cose come stanno. E quindi se anche ci annoiamo, riteniamo che siamo meno faticoso che intervenire cambiando strategia.

Ad annebbiare la nostra percezione potrebbe intervenire anche l’effetto del falso consenso, che induce a vedere le proprie scelte e giudizi come comuni e appropriati alle circostanze esistenti. Presumendo che gli altri la pensino come noi, sopravvalutiamo quanto gli altri possano condividere i nostri pensieri, le nostre azioni e atteggiamenti. Tanto da non farci nemmeno considerare che ciò che stiamo dicendo forse non è così interessante per chi ci sta davanti.

Questo è appena un breve excursus, a cui si sommano molti altri pregiudizi a seconda del contesto e dell’interlocutore che si prende in considerazione all’interno di una qualsiasi interazione. Sarebbe errato ignorarne impatto e portata. Più sfidante, purché si riesca a bypassare lo status quo, è trovare tutti gli altri.

Con il senno di poi, per concludere, è molto chiaro il motivo per cui, in molti casi, preferiamo parlare davanti a un drink o pranzando: a un certo punto il bicchiere vuoto o il conto da pagare offrono un appiglio per porre fine all’agonia di quella conversazione.

TI ANNOI AL LAVORO? NON SEI IL SOLO!

Mi annoio facilmente. Da sempre. E questo mi porta a diversificare lavori, divertimenti e letture. E devo dire che funziona. Per la maggior parte delle volte.

Leggendo qua e là studi a riguardo ho scoperto che la noia è un problema che attanaglia molti più di quanto avrei mai pensato. Da un sondaggio condotto in America nel 2017 è emerso che è una condizione vissuta particolarmente sul luogo di lavoro. Alcuni leggendo questo avranno fatto un salto sulla sedia… Come è possibile annoiarsi al lavoro… di solito, per molte occupazioni almeno (e condivido totalmente), non c’è neppure tempo di respirare… altro che annoiarsi. Eppure anche i lavori più interessanti hanno sfaccettature di attività che inducono alla noia…  

Ebbene, dal sondaggio è emerso che le persone che sul luogo di lavoro si annoiano, tendono a scacciare questa condizione navigando in internet, mandano messaggi, mentre (fatto curioso) il 37% rimanente, guarda la TV sullo smartphone. Come una ex dipendente della società cinematografica di Robert De Niro Canal Productions che in quattro giorni ha guardato 55 episodi di “Friends”, tutti in orario di lavoro (se siete interessati a saperne di più: https://variety.com/2019/biz/news/robert-de-niros-company-files-6-million-suit-against-ex-employee-1203305958/?__twitter_impression=true).

E’ inoltre noto che la noia porta a bassa motivazione, errori inutili, mancanza di produttività e a sviluppare incidenti… in un negozio di biciclette del Regno Unito, alcuni lavoratori annoiati tentarono di scappare dalla monotonia cremando un topo.

Prima di dar fuoco a roditori morti per sentirsi vivi, vediamo cosa suggerisce la scienza. Un paper pubblicato su Current Directions in Psychological Science indica una soluzione virtuosa e controintuitiva al guardare film sul telefonino: cercare un modo per rendere il lavoro più interessante.

Sicuramente  molti di noi ci avevano già pensato, il problema è come questo sia possibile… aggiungo io!

PERCHE’ CI ANNOIAMO

Lo psicologo sociale dell’Università della Florida Erin Westgate, spiega che sono due le principali cause che portano ad annoiarci: “Ci annoiamo quando non siamo in grado di prestare attenzione o non riusciamo a trovare un significato in ciò che stiamo facendo”.

Potremmo avere problemi a prestare attenzione al nostro lavoro perché è troppo facile o troppo difficile, per dirla in altre parole. Potremmo annoiarci inserendo meccanicamente dati in un sistema, così come tentando di risolvere un problema matematico particolarmente difficile.

E potremmo annoiarci quando sentiamo che il nostro lavoro non è importante: o come lo chiama l’antropologo David Graeber bullship jobs, a indicare occupazioni soggettivamente insignificanti e insoddisfacenti. Quando abbiamo a che fare con questo tipo di noia, è facile sentirsi soli, tristi e disimpegnati come se fossimo in un film d’arte, ma senza l’estetica raffinata e la capacità di apparire cool.

TROVARE UNO SCOPO

Anche se il lavoro che si sta svolgendo è poco significativo, trovare uno scopo è una delle soluzioni più semplici e pratiche che la docente di management di Yale, Amy Wrzesniewski suggerisce. In un termine “job crafting.” Ad esempio, ha scoperto come gli inservienti ospedalieri che hanno compreso l’importanza del loro lavoro sono profondamente più soddisfatti di chi invece porta a termine i compiti meccanicamente. Potendo interagire con i pazienti hanno così anche la possibilità di farli stare meglio.

Un altro consiglio arriva dalla giornalista (ed ex avvocato) Ephrat Livni: considerare il lavoro come un gioco, trovando modi per apprezzare e valorizzare qualunque attività ci venga retribuita. Così come possiamo rendere più sfidante una attività particolarmente noiosa.

L’ANTIDODO ALLA NOIA

Il punto più importante del paper riguarda le diverse tipologie di attività che siamo portati a fare pur di allontanare la noia.

Ciò che la nostra mente ci induce a fare è quello di passare a qualcosa di più divertente, come scorrere Instagram, giocare sul telefono o guardare 55 episodi di Friends. Eppure, saltarellare da una attività piacevole all’altra non sembra essere un buon antidoto alla noia. Anzi un aggravante nel lungo termine.

I diversivi infatti sono un po’ come il cibo spazzatura, danno soddisfazione sull’immediato a scapito del benessere futuro.

In altre parole, quando scegliamo una nuova attività, dovremmo indirizzarci verso quella che richiede ai nostri cervelli di fare più lavoro, non meno. Ciò che consigliano i ricercatori è quello di guardare un documentario sull’Olocausto – certamente non divertente, ma probabilmente coinvolgente – piuttosto che immergersi in giochi quali Candy Crush.

Estendendo questa logica al contesto del lavoro, un professore che si annoia mentre scrive lettere di raccomandazione per gli studenti potrebbe fare una pausa leggendo dei documenti che parlano di nuove scoperte nel suo campo. Questo potrebbe rinvigorire il suo investimento nell’aiutare i nuovi talenti ad avere successo e cambiare il suo approccio nel redarre raccomandazioni.

Insomma sconfiggere la noia è quasi impossibile, però possiamo mitigarla e gestirla noi, anziché lasciare a lei l’ultima parola!