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28 maggio ’25 – Strategie per rendere più facili scelte complesse in famiglia e sul lavoro – Coldiretti Cuneo

Mercoledì 28 Maggio ’25 parlerò di “Strategie di Nudging per rendere più facili scelte complesse in famiglia e sul lavoro“.

L’evento, dalle 15,30 alle 17, si terrà nella sede della Coldiretti di Cuneo – sede distaccata di Fossano in Via Foro Boario 17 .

L’evento è organizzato dal Comitato Coldiretti Donne.

NON sono i DIVIETI o SCELTE limitate a farci scegliere CIBI SANI e con un minor IMPATTO negativo sull’AMBIENTE… ristoratori pensateci!

Amo la carne e le poche volte che amici o colleghi sono riusciti a portarmi in un ristorante vegetariano o vegano ne sono uscita insoddisfatta. La costrizione di dover scegliere fra opzioni rigide e ingredienti dai nomi esotici ma (a me) sconosciuti, non mi ha invogliato a ritornarci.

Stessa pessima esperienza si è ripetuta qualche giorno fa: mentre cercavo di interpretare il menù, mi sono chiesta perché si fa ancora così poco ricorso ai #nudge e alle #scienze #comportamentali… utili per rendere l’esperienza culinaria meno incerta e più piacevole e divertente, a prescindere dal piatto proposto!

Cercare, infatti, di inserire piatti vegani o vegetariani è una buona cosa, così da accontentare le esigenze più diverse. Non sempre però, viene fatto nel modo giusto. Finendo con lo scontentare più di qualcuno.

Per esempio, in molti Burger King, il Bacon King viene proposto anche in opzione vegana, mentre le alette di pollo BBQ sono sparite, così da costringere gli amanti del pollo ad andare altrove, magari al McDonald’s, spesso ubicato dall’altra parte della strada. Molte catene commerciali hanno così iniziato a utilizzare offerte speciali a tempo limitato per testare nuovi prodotti e promuoversi come leader nel fast food a base vegetale.

QUALCHE DATO

Le stime indicano che la carne è responsabile del 60% dei gas serra che riscaldano il pianeta derivanti dalla produzione alimentare. Produrre 1 kg di carne bovina genera 70 kg di gas serra. Passare a un’alternativa vegetale alla carne, ridurrebbe le emissioni di quasi il 90% .

Pur sapendo che non è la sostenibilità la forza trainante di molti marchi, è pur vero che un buon business può anche essere un bene per il pianeta, soprattutto data la crescente domanda di opzioni a base vegetale. Burger King, per esempio, si è prefissato l’obiettivo di proporre un menu al 50% senza carne entro il 2030. Se riuscisse a raggiungere questo obiettivo, stima di ridurre le proprie emissioni del 41% .

Affinché questi sforzi portino risultati significati, ciò che occorre fare è aumentare il numero di persone che integrano opzioni a base vegetale nella propria dieta, piuttosto che spostare le persone da un ristorante all’altro o indirizzare chi mangia carne verso ristoranti che servono solo questo tipo di alimento.

COME FARE?

Qual è quindi il modo migliore per persuadere più persone a mangiare meno carne? Adottare la strategia Tofurky vietando la carne in ristoranti totalmente a base vegetale, o iniziative simili, seppur meno estreme, come giornate senza carne e menu vegani? O sarebbe più efficace aggiungere opzioni a base vegetale al menu esistente?

Non abbiamo bisogno della scienza comportamentale per sapere che limitare la scelta eliminando determinati alimenti è impopolare, se non addirittura controproducente. Al proposito basta ricordare l’iniziativa “Lunedì senza carne”, il cui scopo era per spingere a un consumo di carne più consapevole nelle mense di Google, proposta da Laszlo Bock, quando era direttore delle risorse umane. Se i vegetariani si rallegrarono, altri gruppi si indignavano fino ad allestire dei barbecue nel parcheggio. La lezione imparata da Bock è stata che ai dipendenti «non piaceva quando l’azienda faceva le scelte per loro». Pertanto per cambiare i comportamenti, la cosa migliore in assoluto da fare non è eliminare tutte le alternative, ma disegnare la scelta desiderata in modo tale da renderla molto più desiderabile e appetibile rispetto a tutte le altre.

Fortunatamente, i Nudge e alle scienze comportamentali, ci suggeriscono come modificare i menù, optando per opzioni più rispettose del clima e a base vegetale, senza alienare o perdere clienti.

I PROBLEMI CON I DIVIETI

Quando non vengono date alternative le persone si ribellano.

–        Togliere le opzioni porta i clienti a un’autoselezione. Proprio come i vegani non vanno in una steakhouse, chi non è interessato a mangiare vegano sceglierà un altro locale. Anche se fossimo interessati a provare un’opzione vegetariana o vegana, il fatto che le nostre scelte abituali non sono disponibili saremmo scoraggiati dall’entrare in quel ristorante.

–        Togliere la possibilità di scelta può portare a una reazione che l’aggiunta di possibilità di scelta non provoca. Se le persone sentono che la loro libertà è minacciata, potrebbero sentirsi costrette a fare il contrario per ristabilire la loro autonomia, andando incontro al fenomeno della reattanza.

Quando la casa automobilistica tedesca Volkswagen, ha deciso di rendere vegetariana una delle sue 30 mense di Wolfsburg nell’estate del 2021, eliminando il currywurst wurstel di vitello cosparso di abbondante salsa speziata al pomodoro e curry dal menu, si è scatenato un putiferio mediatico. Gli oppositori si sono schierati attorno all’hashtag #SaveTheCurrywurst . La Volkswagen, che dal 1973 produce non solo automobili ma anche salsicce, si è detta sorpresa dall’intensa pubblicità negativa, poiché la decisione era il risultato della crescente domanda da parte dei dipendenti di alternative più vegetali. Inoltre, se qualcuno aveva fame di currywurst, non doveva fare altro che recarsi in una delle altre 29 mense della Volkswagen nelle vicinanze che servono carne.

Nel 2022, la squadra di calcio Vfl Wolfsburg, è finita sui Media per un motivo simile. Il Wolfsburg ha collaborato con Oatly, il produttore svedese di latte d’avena, per “prendere posizione a favore del clima” eliminando il latte sia nello stadio sia nella mensa della squadra di calcio. Questa collaborazione rientrava nell’adesione a Sports for Climate Action, un impegno dell’industria sportiva a raggiungere zero emissioni entro il 2040. La decisione del Wolfsburg è stata ampiamente pubblicizzata come un impegno pluriennale. Tuttavia, pochi giorni dopo, in seguito a forti pressioni da parte della lobby agricola e politica, il Wolfsburg ha annunciato che “c’era stato un malinteso” e che avrebbe limitato l’iniziativa a un solo mese.

Questi due esempi dimostrano come maggiore è la limitazione nella scelta, maggiore è la reazione negativa e, purtroppo, maggiore è il rischio di progresso complessivo.

CONSIGLI (NON RISCHIESTI) PER I RISTORATORI

Contenuto dell’articolo

Cosa dovrebbero fare, quindi, i ristoratori che vogliono incoraggiare i clienti a passare a opzioni a base vegetale? Anziché limitare la scelta, dovrebbero ampliare la loro selezione di piatti vegani e vegetariani per incoraggiare scelte alimentari più sostenibili, senza ricorrere a divieti.

Wagamama, una catena di ristoranti asiatici, offre un esempio intelligente di questo approccio includendo tutti i suoi piatti a base vegetale nel menu normale, accanto a quelli a base di carne, e offrendo anche una sezione vegana separata. Di conseguenza, i clienti alla ricerca di opzioni a base vegetale possono trovarle facilmente, mentre altri potrebbero essere incoraggiati a provare qualcosa di nuovo. Così come fanno Eataly e Signorvino per citare due esempi nostrani.

Max Burgers, catena svedese di hamburgher, nel corso degli anni, ha introdotto sempre più opzioni a base vegetale nel suo menù, con l’obiettivo di vendere un hamburger a base vegetale per ogni hamburger di carne venduto. È stato uno dei primi ristoranti a ricorrere ai nudge per incoraggiare scelte alimentari più sostenibili. Già nel 2008, Max Burgers iniziò a inserire etichette sui menu che indicavano la quantità di CO2 prodotta per portare questo piatto in tavola. Da allora, ha utilizzato nudge, come l’impostazione dell’hamburger vegetariano come predefinito nelle sue postazioni di ordinazione digitali, per aumentare la quota di ordini a base vegetale.

EVIDENZE A SOSTEGNO

Uno degli studi sul campo ha voluto verificare se cambiando l’ordine in cui vengono presentate le opzioni di carne e vegetariane, la scelta dei clienti si sarebbe modificata. Per tre settimane, in un noto ristorante di pranzi d’affari a Göteborg, in Svezia, sono state distribuite casualmente due versioni dello stesso menù, registrando ciò che i clienti ordinavano. La prima versione elencava per prima la carne, con la disponibilità di un’alternativa vegetariana menzionata in fondo; una seconda versione di menù elencava per prima la scelta vegetariana, con la disponibilità di un’alternativa di carne in fondo. Il ristorante normalmente propone due piatti del giorno nel menù, uno di pesce e uno di carne. Su richiesta, preparavano anche un piatto vegetariano, simile a quello di carne e con lo stesso prezzo delle altre due opzioni.

Quando l’opzione di carne era elencata per prima e la scelta vegetariana era indicata solo come alternativa in fondo al menù, il 2% dei clienti ha ordinato una versione vegetariana. Quando l’opzione vegetariana era elencata per prima e la carne in alternativa, a ordinare il piatto vegetariano era il 20% dei clienti.

Mettere un piatto in cima al menù lo trasforma nella scelta predefinita con cui vengono confrontate le altre opzioni.

La maggior parte delle persone infatti legge un menù dall’inizio alla fine e potrebbe fermarsi non appena vede qualcosa di gradito, soprattutto quando, come nel caso sopra menzionato, è fuori per un pranzo di lavoro veloce e preferisce concentrarsi sui propri commensali piuttosto che studiare la lista. Elencare la carne come alternativa in fondo al menu crea anche un piccolo fastidio, dovuto alla necessità di chiedere dettagli al cameriere. Alcuni potrebbero interpretare il piatto in cima come una raccomandazione della cucina.

L’esperimento ha dimostrato che non è necessario eliminare la carne dal menù se si vuole ridurne il consumo; esistono altri modi per aumentare il consumo di cibi vegetariani, senza rischiare reazioni negative.

Un interrogativo interessante che suscita questo studio è: le persone desiderano già mangiare vegetariano, ma l’attuale struttura dei menù, le opzioni delle mense e le opzioni predefinite le spingono a mangiare più carne? Se avessero una forte preferenza per il consumo di carne, allora cambiare l’ordine del menu o cambiare il piatto predefinito non dovrebbe influenzare le loro scelte. Eppure, come conferma una recente meta-analisi, cambiare l’opzione predefinita da carne a piatto vegetariano ha un effetto costantemente forte.

ARCHITETTURA DELLA SCELTA VS DIVIETI

Adottare una dieta a base vegetale è un modo semplice ed efficace per ridurre il nostro impatto negativo sul clima. Catene di fast food, stadi e mense aziendali hanno un enorme potenziale nel modificare il modo di mangiare, offrendo opzioni vegetariane e vegane a chi non pensa di cercarle. È fondamentale che questi luoghi di ristorazione evitino l’autoselezione e gli effetti negativi derivanti dalla limitazione delle opzioni. L’aggiunta di nuovi prodotti a base vegetale e l’utilizzo di un’architettura di scelta hanno maggiori probabilità di successo in termini di sostenibilità e di business.

Avere molte opzioni a base vegetale in ogni Burger King influenza le scelte alimentari più di un Burger King completamente a base vegetale per un solo mese. Un currywurst vegano in tutte le mense Volkswagen e latte d’avena insieme al latte vaccino allo stadio di Wolfsburg genererebbero meno lamentele e durerebbero più a lungo rispetto a cercare di cambiare troppo e velocemente le abitudini dei clienti per essere poi costretti a tornare indietro.

Insomma, la prossima volta, pensateci.. a cosa ordinate e a cosa proponete!

TURISMO VIRTUSO a COPENAGHEN: con i NUDGE? Anche, ma soprattutto con un po’ di buon senso!

Ci sono molti modi per occuparsi della salute del Pianeta, uno di questi è #CopenPay: l’iniziativa promossa dall’ufficio del turismo Wonderful Copenaghen dal 15 luglio all’11 agosto 2024.

Il progetto mira a incentivare comportamenti turistici sostenibili, premiando i visitatori che adottano pratiche ecologiche, quali spostarsi in bicicletta, utilizzare i mezzi pubblici o partecipare a campagne di raccolta rifiuti.

COME FUNZIONA

Ogni azione conta. Per guadagnare premi nelle attrazioni di Copenaghen, un pranzo gratis o una tazza di caffè, un tour in kayak o un ingresso gratuito a un museo è sufficiente comportarsi in modo virtuoso. Questo significa, ad esempio, muoversi in bicicletta anziché in auto o evitare le bottigliette di plastica.

L’82% dei turisti, quindi anche noi, afferma di voler agire in modo sostenibile, ma nella realtà solo il 22% ha cambiato il proprio comportamento. E’ da questo dato che nasce il progetto. L’intento è appunto quello di trasformare le azioni virtuose nei confronti dell’ambiente in valuta per vivere esperienze culturali. Copenaghen ha l’ambizione di ispirare i visitatori a fare scelte ecologiche consapevoli e a colmare il grande divario tra il desiderio di agire in modo sostenibile e il comportamento effettivo.

Un esempio? Chi visita la Galleria Nazionale di Danimarca e porta con sé dei rifiuti di plastica, può partecipare a un laboratorio per utilizzarli in modo creativo e renderli un’opera d’arte. Chi decide di prendere i mezzi pubblici o utilizzare una bicicletta per spostarsi, può provare l’esperienza di sciare sul tetto di Copenhill, l’impianto di riscaldamento della città.

Il funzionamento del sistema è semplice: basta mostrare un biglietto dei mezzi, arrivare in bicicletta o dimostrare piccole ma importanti azioni ecologiche per riscattare le ricompense.

PERCHE’ COPENAGHEN

La capitale danese non è nuova a iniziative di questo genere. La città è spesso citata come esempio per le sue politiche ambientali innovative e il suo impegno costante nella riduzione delle emissioni di CO2. I cittadini di Copenaghen sono tra i più attivi del mondo, e l’uso della bicicletta è parte integrante della vita quotidiana. Questa nuova iniziativa si inserisce in un contesto già orientato alla sostenibilità e alla promozione di uno stile di vita sano e rispettoso dell’ambiente.

Attraverso CopenPay, miriamo a incentivare il comportamento sostenibile dei turisti arricchendo al contempo la loro esperienza culturale della nostra destinazione. È un passo sperimentale e piccolo verso la creazione di una nuova mentalità tra i viaggiatori e uno dei tanti progetti che stiamo portando avanti per rendere i viaggi più sostenibili“, ha affermato Mikkel Aarø-Hansen, CEO di Wonderful Copenaghen.

Nel dubbio, se ancora non avete programmato dove andare in vacanza, la capitale danese potrebbe essere un’opzione interessante… o quanto meno vantaggiosa per il pianeta!

2 febbraio 2024 – Intervista di Professione Finanza e Family Economy su bias, nudge e noise

Intervista di Professione Finanza e Family Economy su bias, nudge e noise in relazione al libro “Gli errori della mente”, ACS editore, Milano, 2022

 

27 Giugno ’23 – Speech “AI fra errori necessari, impatti possibili e buone pratiche” – Fondazione Links e AIDP Piemonte

Speech con la collega Pamela Melato: “AI fra errori necessari, impatti possibili e buone pratiche” alla Fondazione Links di Torino, all’interno dell’evento organizzato dal gruppo AIDP4Future, Hr Tech: La tecnologia al servizio delle Persone.

 

8 Febbraio ’23 – Nudge Revolution in Coldiretti Donna Impresa Piemonte

L’ 8 febbraio 2023 – Nudge Revolution sono in Coldiretti Donna Impresa Piemonte

Workshop presso la sede Coldiretti Torino – Donne Impresa

I NUDGE che AIUTANO gli ANIMALI a non ESTINGUERSI

Tutto è iniziato allo Shedd Aquarium di Chicago. Un addestratore di animali, Ken Ramirez, ha applicato, senza saperlo, la teoria dei Nudge per rendere loro un po’ più facile la vita e in taluni casi permetterne la sopravvivenza.

Ramirez è noto, nel suo campo, per aver addestrato migliaia di farfalle a eseguire un’esibizione coreografica a ritmo di musica, in un giardino botanico. Oggi però il suo obiettivo non è più focalizzato a generare divertimento, bensì a proteggere gli animali selvatici intervenendo sulle loro abitudini e sui loro comportamenti. L’approccio assomiglia molto alle strategie di Nudging messe in campo da governi e organizzazioni per spingere gli esseri umani verso scelte salutari e virtuose[1].

Per addestrare le farfalle, Ramirez ha insegnato loro ad associare uno stimolo (un lampo di luce o una vibrazione), a una ricompensa alimentare. In questo modo ha fatto sì che gruppi di insetti volassero in direzioni diverse, in tempi definiti.

In Sierra Leone, ha aiutato i ranger a proteggere un gruppo di scimpanzé dai bracconieri. Non tutti gli scimpanzé erano soliti urlare all’avvicinarsi dell’uomo, e questo impediva in taluni casi di essere sentiti dai ranger. Se solo l’intero gruppo avesse gridato all’unisono, il rumore sarebbe stato sufficientemente intenso da venir recepito.

Questo ha suggerito a Ramirez una soluzione: installare dei contenitori da cui far cadere frutti e insetti, in prossimità degli alberi dove oziavano le scimmie. Quando qualcuno si avvicinava, le scimmie iniziavano a far rumore e i ranger attivavano, tramite un telecomando a distanza, l’apertura dei contenitori, dispensando così cibo e insetti. Gli scimpanzè hanno imparato velocemente la sequenza “urlo – ottengo cibo” e a strillare alla vista di un essere umano.

In questo modo il bracconaggio è stato ridotto dell’86%.

Qualche esempio di Nudge

Ramirez non è un accademico, ma questo non gli ha impedito di realizzare interventi di nudging ispirandosi a quanto già applicato in altri campi.

Per favorire il collegamento fra habitat diversi sono stati realizzati veri e propri percorsi privilegiati. Spesso, però, gli animali li ignoravano. Per incoraggiarli, è stato sparso sul tragitto dello sterco animale o dell’urina così da far loro credere che altri animali fossero già passati da lì in precedenza, invogliandoli a fare lo stesso[2].

Nel Parco Nazionale di Banff, in Canada, i biologi, per evitare che i grizzly venissero investiti dai treni, hanno posizionato lungo i binari un sistema di luci e campanelli che si attivava al passaggio dei convogli. Tale nudge ha consentito a orsi, lupi, alci, piccoli mammiferi e uccelli di allontanarsi dalle rotaie in tempo[3].

La percentuale di animali che muoiono investiti da veicoli è stimata intorno al 10%, comprese le specie in via di estinzione come la pantera della Florida e gli elefanti in India[4], perciò questa potrebbe dunque essere una soluzione semplice da attuare.

Per contenere la voracità delle gru, note per razziare i campi dei contadini – un singolo uccello può mangiare anche 400 chicchi di mais al giorno – sono stati posizionati spaventapasseri sonori[5], così da fare da deterrente, insieme a colture esca[6].

In Zambia, per dissuadere gli elefanti dall’attraversare la Repubblica Democratica del Congo durante la loro migrazione annuale e contrastare i bracconieri, Ramirez ha creato con tronchi e alberi alcune deviazioni e ha realizzato pozze d’acqua artificiali capaci di attirare gli animali sul nuovo sentiero. Il progetto è arrivato, con successo, al suo terzo anno di vita.

Un altro intervento è stato realizzato per modificare le cattive abitudini degli orsi bruni canadesi[7]. Nella località turistica di Whistler nella British Columbia, ogni anno, milioni di turisti raggiungono la zona e i ranger sono costretti, regolarmente, a sparare agli orsi, perché troppo pericolosi per l’incolumità delle persone.

Così si è pensato, prima di sparare i proiettili di gomma come si era sempre fatto, di usare un fischietto come avvertimento. Se l’orso scappa, un campanello viene attivato per segnalare lo scampato pericolo e si evita così la sparatoria.

Non tutte le iniziative, purtroppo, vanno a buon fine e non tutti gli animali sono inclini alle spinte gentili, quali sono i Nudge[8]. In Australia, un particolare tipo di marsupiale in via di estinzione ha imparato a evitare di mangiare una specie particolare di rospi, a lui nocivo, dopo che i biologi lo hanno nutrito con salsicce di rospo imbevute di una sostanza chimica che induce la nausea[9]. Tuttavia, aggiungere alle carcasse del bestiame sostanze sgradevoli per cercare di persuadere i coyote che gli animali da fattoria non valgono la pena di essere mangiati non li ha sempre dissuasi dal predare pecore e mucche.

Le obiezioni

Intervenire così attivamente su habitat e abitudini, ha sollevato alcuni dubbi all’interno della comunità scientifica. In realtà molti animali non sarebbero sopravvissuti senza i Nudge.

Prima di rilasciare una rara specie di corvi hawaiani per permettere loro di riprodursi, è stato loro insegnato ad aprire dei baccelli contenenti del cibo. Inizialmente tali baccelli sono stati dati aperti, poi solo parzialmente chiusi e quindi del tutto chiusi. Allo stesso modo di quando si spostano gli animali selvatici da un’area all’altra, occorre in molti casi, insegnare loro nuovi comportamenti e abitudini per far fronte al nuovo habitat[10].

Senza contare quanto influenziamo la fauna selvatica già solo attraverso la nostra semplice presenza. Gli uccelli, nelle città, cantano in modo diverso per attutire il livello di rumore del traffico[11]. Mentre le volpi si fanno più coraggiose[12].

Nudge dunque sono utili, purché li si attuino in combinazione con altre strategie. Se si vuole tenere gli orsi fuori dalle città è importante, per esempio, che le persone chiudano a chiave i cassonetti e mettano in sicurezza gli alberi da frutto, altrimenti difficilmente la spinta gentile, da sola, produrrà i cambiamenti sperati. Se non ne siamo convinti, pensiamo a cosa accade a Roma con i cinghiali che letteralmente si buttano sui cassonetti della spazzatura…

Conclusioni

Gli animali in genere sono molto recettivi e imparano in fretta. La differenza sta nel modo in cui si attua un’azione di persuasione.

Non dimentichiamo che gli oranghi del Borneo hanno imparato come rubare le imbarcazioni degli umani, sciogliendo anche i nodi più complicati: le guidano con le lunghe braccia e sfruttano il sistema di pesca degli uomini per mangiarsi i pesci[13].

Uno stormo di uccelli è stato in grado di evitare una tempesta lontana 900 km, prevedendone lo spostamento e scappando in tempo. La tempesta colpì gli Usa nel 2013, uccidendo 35 persone, e gli uccelli studiati hanno tutti agito in maniera indipendente per sfuggirle. Secondo i ricercatori, che sperano di poter un giorno prevedere catastrofi come questa studiando gli spostamenti degli uccelli, a metterli in guardia è stata la loro capacità di avvertire gli ultrasuoni[14].

In Cina, da anni si sta cercando di capire cosa renda possibile la previsione di un terremoto da parte dei serpenti. Non esiste ancora uno studio scientifico a riguardo, ma i ricercatori monitorano il comportamento di questi animali che – dicono– sono stati in grado di prevedere un terremoto a 120 km di distanza, tentando in tutti i modi di abbandonare i loro rifugi, anche in pieno inverno[15].

Chissà se un Nudge potrebbe anche essere di ausilio per incrementare le doti predittive di uccelli e serpenti. A trarne vantaggio sarebbe sicuramente anche l’uomo.

Fonti

[1] https://www.newscientist.com/article/mg25033400-900-can-we-use-nudge-theory-to-help-endangered-animals-save-themselves/

[2] Greggor A.L., Berger O., Blumstein D.T.,  The Rules of Attraction: The Necessary Role of Animal Cognition in Explaining Conservation Failures and Successes, Annual Review of Ecology, Evolution, and Systematics, 2020, 51:1, pp. 483-503

[3] Backs J.A., Nychka J.A., St. Clair C.C., Warning systems triggered by trains increase flight-initiation times of wildlife, Transport and Environment, Vol. 87, 2020

[4] Blackwell B.F., DeVault T.L., Fernández-Juricic E., Gese E.M., Gilbert-Norton L., Breck S.W., No single solution: application of behavioural principles in mitigating human–wildlife conflict, Animal Behaviour, Vol. 120, 2016, pp. 245-254

[5] https://digitalcommons.unl.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1007&context=nwrcwdmts

[6] https://www.savingcranes.org/wp-content/uploads/2018/10/cranes_and_agriculture_web_2018.pdf

[7] Homstol L., Applications of learning theory to human-bear conflict: the efficacy of aversive conditioning and conditioned taste aversion, A thesis submitted to the Faculty of Graduate Studies and Research for the degree of Master of Science in Ecology, Department of Biological Sciences, Edmonton Alberta, 2011

[8] https://wildlife.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/jwmg.21449

[9] https://www.newscientist.com/article/mg23931871-000-how-dodgy-sausages-are-saving-a-cute-marsupial-from-toxic-toads/

[10] Berger-Tal O., Blumstein D.T., Swaisgood R.R., Conservation translocations: a review of common difficulties and promising directions, Animal Conservation, Vol. 23, Issue 2, April 2020, pp. 121-131

[11] Slabbekoorn H., Peet M., Birds sing at a higher pitch in urban noiseNature 424, 267 (2003).

[12] Gil-Fernández M., Harcourt R., Newsome T., Towerton A., Carthey A., Adaptations of the red fox (Vulpes vulpes) to urban environments in SydneyAustraliaJournal of Urban Ecology, Vol. 6, Issue 1, 2020

[13] https://www.newyorker.com/tech/annals-of-technology/orangutan-learns-fish

[14] Streby H.M., Kramer G.R., et all, Tornadic storm avoidance behavior in breeding songbirds, Current Biology, Vol. 25, issue 1, pp. 98-102, 2005

[15] http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6215991.stm

(DIS)ONESTI AL LAVORO: è tutta colpa del contesto!

«Ci sono persone oneste nel mondo, ma solo perché il diavolo ritiene che il prezzo che chiedono è incredibilmente alto». Questione di punti di vista, ma è difficile non fare dell’ironia di fronte alla definizione che lo scrittore americano Peter S. Beagle dà a un concetto al contempo tanto concreto quanto astratto.

L’onestà è come la dieta

Comportarsi in modo onesto non è facile, siamo onesti… E non sempre gli esempi resi salienti dagli organi di stampa ci aiutano a rimanere saldi sui nostri buoni propositi. Per fortuna però resistere alla tentazione di mettere in atto comportamenti poco, se non addirittura, non etici, non è una missione impossibile, come invece si potrebbe pensare.

A dirlo lo studio pubblicato sulla rivista Personality and Social Psychology Bulletin. Secondo gli autori della ricerca, l’onestà sarebbe un po’ come una dieta: difficile da seguire se non si tiene bene a mente l’obiettivo (onestà) per cui si è aderito a quello specifico regime alimentare, e le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni.

I ricercatori hanno svolto diversi esperimenti con un gruppo di volontari posti di fronte a una serie di dilemmi. In uno, i partecipanti hanno impersonato il venditore di un palazzo storico e un potenziale acquirente, con due obiettivi molto diversi: il venditore doveva evitare che la proprietà fosse distrutta, mentre il compratore puntava a demolirla per costruire, al suo posto, un hotel.

Prima di iniziare, a metà di loro è stato chiesto di ricordare una situazione in cui in passato si erano comportati in modo disonesto e quali conseguenze questo avesse portato. Tra loro il 45% dei compratori ha mentito nel corso della fase di contrattazione per l’acquisto della proprietà, mentre la percentuale nell’altra metà dei partecipanti è stata del 65%.

In un secondo esperimento è invece stato chiesto ai partecipanti di valutare se fossero o meno accettabili una serie di comportamenti disonesti sul lavoro, come darsi malati per prendere un giorno di vacanza, rubare cancelleria dall’ufficio, o rallentare il ritmo di lavoro per evitare di ricevere mansioni aggiuntive. Chiedendo ad alcuni di loro di riflettere su una serie di dilemmi etici, prima di partecipare alla prova, i ricercatori hanno notato che in questo modo diminuiva notevolmente la possibilità che giudicassero accettabili i comportamenti disonesti in esame. Secondo i ricercatori, i risultati indicherebbero che è più facile comportarsi onestamente se ci si ricorda delle conseguenze del comportamento disonesto e se non ci si prepara per tempo per resistere alla tentazione.

La situazione non è dunque così drammatica, per fortuna. E a venire ulteriormente in aiuto, per aumentare la propensione umana all’onestà, ci sono i Nudge. La strategia gentile che aiuta a rendere semplici anche le scelte più complesse.

Attenzione a dove si firma

Uno degli éscamotage più efficaci è rendere saliente il valore dell’onestà. Come? Facendo porre la firma su documenti e certificazioni, in alto anziché in basso, prima cioè della compilazione anziché al termine, come invece solitamente avviene. Questo piccolo Nudge ha la funzione di indirizzare l’attenzione su sé stessi e portare a effetti sorprendentemente potenti sul comportamento morale che poi andremo ad agire. La firma è un modo per attivare l’attenzione verso sé stessi e verso i valori in cui crediamo.

Apporre il proprio nome prima di inserire informazioni (piuttosto che alla fine) risveglia in noi il valore dell’onestà e questo ci spingerà a rispondere alle domande in modo più sincero. L’attuale pratica di firmare dopo aver riportato le informazioni suggella il danno: immediatamente dopo aver mentito, le persone si impegnano rapidamente in varie giustificazioni, reinterpretazioni e altri trucchi come sopprimere i pensieri sugli standard morali che consentono loro di mantenere un’immagine di sé positiva nonostante abbiano mentito. Detto in modo semplice, una volta che un individuo ha mentito, è troppo tardi orientarne l’attenzione verso l’etica, richiedendo una firma.

È davvero così semplice? Sì.

A supporto di tale Nudge sono stati condotti alcuni esperimenti: uno di questi è stato misurare l’onestà di un gruppo di volontari impegnati a risolvere problemi matematici e la cui soluzione generava loro dei guadagni.

A seguito del compito loro assegnato, i soggetti sono stati incaricati di comunicare i propri guadagni, le spese e il tempo di viaggio, dopo di che avrebbero ricevuto il pagamento. I soggetti hanno quindi avuto l’opportunità di aumentare il proprio reddito, segnalando guadagni esagerati sul modulo di autodichiarazione.

I risultati dell’esperimento hanno mostrato poca differenza fra i soggetti che avevano firmato una dichiarazione di onestà alla fine del modulo e coloro ai quali non era stato fatto firmare nulla (a imbrogliare è stato il 63% per chi ha firmato a fine modulo e il 79% per coloro cui non è stata richiesta alcuna firma).

Per coloro i quali avevano invece firmato prima di compilare il modulo, le dichiarazioni disoneste si sono attestate intorno al 37%. Ciò suggerisce che rendere saliente il valore dell’onestà prima che le persone agiscano, può avere effetti significativi sulla loro tendenza a essere oneste.

Scarsa consapevolezza

Uno dei motivi per cui le persone tendono a comportarsi in modo poco onesto, è che non sempre hanno un consapevole accesso ai propri standard morali. Non sono cioè attente a ciò che le porta ad agire, ciò che indirizza le loro scelte e decisioni.

Le persone valutano le azioni secondo valori e standard interni. Una mancanza o una lassità di autocoscienza, potrebbe quindi indurle a mostrare comportamenti disonesti, anche se questo non è coerente con il loro standard morale.

Firmare una dichiarazione di onestà in cima al modulo, è in questi casi efficace nel promuovere l’onestà, poiché attiva la bussola morale interna delle persone prima che agiscano.

Anche se questo non è l’unico incentivo progettato per promuovere l’onestà, il suggerimento proposto è abbastanza facile da implementare e può potenzialmente avere grandi benefici sia per l’individuo sia per la società. Come accennato in precedenza, il problema non è che gli individui siano dei bugiardi senza scrupoli, ma che molti di noi siano più inclini a un po’ di disonestà se ne hanno la possibilità. Come suggeriscono le evidenze, le persone possono essere aiutate a rimanere coerenti rispetto i loro standard di onestà, se la loro bussola morale viene attivata appena prima di agire.

 

Fonti:

Sheldon O.J., Fishback A., Anticipating and Resisting the Temptation to Behave Unethically, May 22, 2015

Shu L., Mazar N., Gino F., Ariely D., Bazerman M. H., Signing at the beginning makes ethics salient and decreases dishonest self-reports in comparison to signing at the end, PNAS September 18, 2012

dr. Cini (Dikton) Intervista Laura Mondino a proposito di Recruiting e Nudge

Recruiting e Nudge: come le Neuroscienze possono supportare l’incontro tra Organizzazioni e Persone

 

Da alcune conversazioni con l’amica Laura Mondino – Consulente, Accademica ed autrice di “Nudge Revolution” – nasce questa “intervista”, che altro non è che una somma di spunti e riflessioni su uno dei temi più complessi – oggi – per la maggior parte delle aziende, ovverosia la capacità di comunicare al meglio con il mercato dei Candidati e, come conseguenza, attrarre e valorizzare i propri talenti e Persone, sin dal momento in cui “ci si sceglie” ed inizia una collaborazione professionale.

Ecco cosa è emerso da mie tre domande (e grazie nuovamente, Laura, per il tempo e l’attenzione delle tue risposte).

Per riferimenti e fonti, tutte le note complete in fondo al testo, augurandovi una buona lettura e di trarne spunti molto concreti ed utili per le vostre aziende e/o organizzazioni.

Alessio“I colloqui di selezione e la teoria di nudge: ci sono dei punti di connessione o delle buone pratiche che – se applicate – dal tuo punto di vista, possono rendere più efficace un iter, o anche solo un colloquio di selezione?”

Laura: “Assolutamente sì. Le evidenze scientifiche a sostegno sono molte questo perché i Nudge e più in generale le Neuroscienze (di cui i Nudge rappresentano uno strumento), partono dal fatto che pur credendoci decisori razionali, pecchiamo sistematicamente di soggettività. Le Neuroscienze aiutano a mitigare gli effetti della irrazionalità rendendo, in questo caso, il processo di selezione più analitico e anti-bias.

Entrando nel merito, basti pensare a come siano ancora molti coloro che tengono solo scarsamente in considerazione la mancata oggettività e tutti gli errori che ne conseguono. Quando nel processo di selezione si privilegia la velocità a discapito della qualità: ci si concentra sull’identificazione dei candidati con un buon potenziale, a prescindere dalla posizione ricercata, adattandola al candidato o creandone una ad hoc. Questo approccio riporta alla modalità blitzkrieg, il percorso fulmineo per costruire aziende di valore: la strategia della guerra lampo attuata dal generale nazista Heinz Guderian dove venne data priorità alla velocità rispetto all’efficienza, nonostante il rischio di una sconfitta potenzialmente disastrosa per massimizzare la velocità. Il blitzscaling, più che una ricetta per il successo è vista come il pregiudizio della sopravvivenza mascherato da strategia, benché per i Tech Giants sia stato proprio il blitzscaling a portarli dove sono oggi.

In termini di recruitment, anteporre la rapidità al valore significa assumersi il rischio di individuare velocemente delle risorse che però, nel tempo, potrebbero rivelarsi poco adatte in quel ruolo e in quel contesto.

In fatto di buone pratiche le Neuroscienze aiutano è far meglio percepire a coloro che sono coinvolti nel processo di selezione, a non sottostimare il potere che ha l’irrazionalità su scelte e decisioni. Uno dei suggerimenti più semplici è invitarli ad auto-porsi quesiti che comprendano la particella “se”: “Se il candidato fosse meno aggressivo, porrei più domande complesse?”; – “Se la risorsa non fosse stata presentata come esperta, avrei sollevato più dubbi sui suoi errori in un determinato contesto?”; – “Se il candidato non si fosse laureato nella mia stessa università, avrei ancora pensato che fosse parimenti preparato?”.

Le Neuroscienze si sono dimostrate efficaci anche nel portare l’attenzione sulle parole usate nella job description. Le evidenze scientifiche hanno evidenziato come il 44% delle donne sono dissuase dal candidarsi quando nella descrizione sono utilizzate parole tradizionalmente considerate “maschili” , e una donna su quattro sarebbe scoraggiata dal lavorare in un posto in cui compare la parola “esigente”, meglio utilizzare “diligente” in un contesto “frenetico” .

Stesso principio vale per le candidature interne alle aziende, ai fini di un avanzamento di carriera. Quando nella descrizione viene chiesto “Accetteresti di ricoprire un incarico internazionale”, la ricerca ha scoperto che donne e uomini interpretano la domanda in modo diverso. Le donne sono meno propense a candidarsi in quanto pensano che venga chiesto loro di intraprendere, fin da subito, frequenti viaggi all’estero; gli uomini sono invece più focalizzati sulla visione di insieme del ruolo che sono interessati a ottenere.

Riformulando la domanda da “Accetteresti di ricoprire un incarico internazionale” a “Prenderesti in considerazione un incarico internazionale in futuro”, le candidature inviate dalle donne sono aumentate del 25%.

Per sostenere l’imparzialità dei selezionatori un intervento di Nudging consiglia di rimuovere i fattori di identità demografica quali sesso, età, nome, indirizzo e foto dal CV. Suggerimento già noto, ma ancora poco utilizzato. Oltre a superare il gender bias, si è dimostrato utile a mitigare i bias di selezione, somiglianza e l’effetto alone. Molte persone hanno la tendenza inconsapevole ad assumere candidati che ricordino loro sé stessi: questo può favorire i candidati con caratteristiche in comune con chi li seleziona. L’effetto alone porta a generalizzare una singola caratteristica di una risorsa pensando sia valida anche per altre aree. Il bias di somiglianza porta a preferire candidati dello stesso sesso del recruiter, della sua stessa etnia e della stessa fascia d’età. Oscurare l’età, l’etnia e il genere potrebbe aiutare il recruiter ad aggirare tali pregiudizi.

Oscurare i dati demografici ha però condotto all’effetto opposto nel pubblico impiego. Nel tentativo di eliminare il sessismo, è stato chiesto ai dipendenti pubblici di scegliere candidati ai quali erano stati tolti dal CV genere ed etnia. Il presupposto alla base del processo era che il management avrebbe assunto più donne se avesse considerato solo i meriti professionali dei candidati. Il professore di Harvard Michael Hiscox, supervisore del processo, sorpreso dei risultati, ha esortato alla cautela: “Avevamo previsto che ciò avrebbe avuto un impatto positivo sulla diversità, rendendo più probabile la selezione di candidate donne e di minoranze etniche. Abbiamo scoperto l’opposto, che l’anonimizzazione dei CV riduceva la probabilità che le donne venissero selezionate per il colloquio” . Si è così scoperto che assegnare un nome maschile a un candidato ha ridotto del 3,2% le probabilità di ottenere un colloquio di lavoro; vice versa l’aggiunta di un nome di donna a un CV aumentava le probabilità del 2,9%. I dati non permettono però di considerarla una sperimentazione rigorosa, in quanto oscurare i dati demografici ha portato all’effetto opposto solo nelle assunzioni nel pubblico impiego.

Una ricerca che ha portato a risultati promettenti è quella svolta dall’Institute for Gender Research della Stanford University. Dall’analisi di seimila interviste alla cieca condotte sulle piattaforme di diverse aziende è emerso che, quando i CV erano valutati con metodi tradizionali, solo il 17% delle donne candidate e il 28% delle minoranze venivano invitate a presentarsi ai colloqui formali; con le valutazioni alla cieca questi numeri sono saliti rispettivamente al 59 e al 67%. Nelle stesse aziende, le donne ricevono ora il 43% delle offerte di lavoro rispetto a solo il 26% con i metodi tradizionali. Le minoranze ora ricevono il 39% delle offerte di lavoro rispetto al precedente 19%.

Come ulteriore vantaggio, queste aziende hanno anche ridotto il tempo totale di reclutamento del 26% . In ogni caso, i candidati devono comunque affrontare i colloqui di selezione, in cui risulta complesso oscurare sesso, etnia o età, benché per specifiche posizioni, è possibile organizzare “colloqui alla cieca”. È ciò che avvenne negli anni ’70, quando le giurie delle orchestre statunitensi cambiarono il formato delle loro audizioni, in modo da non potere vedere chi si stesse esibendo: tutti i musicisti facevano l’audizione dietro uno schermo. A quel tempo, le donne costituivano solo il 5% dei musicisti nelle orchestre statunitensi: una volta istituite le audizioni alla cieca il numero iniziò a salire, fino a raggiungere il 46% .

Evidenze scientifiche sono disponibili anche per quanto riguarda le stress interview. L’obiettivo, in questi casi, è valutare come e quanto il candidato sia in grado di gestire la tensione. Il presupposto è che se la risorsa riesce a gestire lo stress durante il colloquio, sarà in automatico capace di gestire lo stress anche in azienda. Ma quello che abbiamo imparato sul cervello e su come risponde a situazioni stressanti è ben diverso: non è così che accade nella vita reale.

Se davvero si vuol capire quali sono le reali capacità di una persona, è meglio metterla in una condizione in cui il suo cervello funzioni al meglio, non al peggio! Stressare arbitrariamente gli intervistati solo per valutare come si comportano, potrebbe non rivelare ciò che quelle persone sono e sanno fare, ottenendo informazioni inaffidabili. Molto più utile è inserirli nel contesto in cui sono richiesti e vedere come reagiscono alle sollecitazioni e alla pressione che quella realtà richiede loro”.

 

Alessio: “Molti processi di selezione, a tutti i livelli di seniority dei candidati, si stanno spostando sul digitale – abbandonando sempre di più il tempo dedicato da specialisti in carne ed ossa soprattutto nelle prime fasi dei processi di recruiting. È un trend efficiente? Le neuroscienze potrebbero aiutare in questo senso? Se sì, come?”

Laura: “La pandemia ha accelerato i processi di digitalizzazione aziendale e questo ha avuto un impatto anche sui processi di selezione. Ricordiamo che già nel 2017 Boston Consulting Group utilizzava un videogioco nel processo di selezione per giovani ad alto potenziale. Il gioco metteva alla prova capacità di problem solving, leadership, intelligenza emotiva, learning agility e team playing, unitamente all’analisi del curriculum e i colloqui.

Il gioco faceva parte della suite Knack Analytics ideata a Yale e Harvard e testata su Royal Dutch Shell ed era capace di restituire profili allineati alle valutazioni dei selezionatori, ma basati su Data Analytics. Oggi, il tool è sostituito da Arctic Shores, un gioco che segue gli standard della British Psychological Society. Tutti sistemi, questi, che uniscono logiche di Gamification e teoria dei Nudge, il cui scopo è tenere alta l’attenzione e l’engagement creando un circolo virtuoso.

Esperienza simile è quella fatta da Unilever che utilizza sistemi digitali di Gamification e Nudging utili a intercettare alcune soft skill meglio dei tradizionali test psicoattitudinali, come la propensione al rischio, l’attitudine a sperimentare e a sviluppare idee in situazioni di discomfort e darebbero dei feedback costanti lungo le fasi del gioco, basate su criteri oggettivi.

UBI Banca non è da meno, gaming App in collaborazione con Open Knowledge, scaricabile gratuitamente, è risultata un buon mezzo per attirare potenziali candidati da sottoporre a una preselezione con un videogioco divertente ambientato nello spazio galattico. Lasciando da parte la gamification che richiede competenze specifiche e un discorso a sè, Linkedin ha implementato la possibilità di allegare un video-curriculum , per far fronte alle necessità legate alla pandemia.

L’apice del processo di digitalizzazione è rappresentato dall’implementazione dell’intelligenza artificiale al percorso di selezione del personale, tema anticipato nel 2018 da Peter Cappelli della Wharton School, in cui evidenziava gli elementi che avrebbero permesso a questo algoritmo, un giorno, di funzionare e l’enorme beneficio che ne sarebbe derivato. “Il tempo medio per l’assunzione di un candidato può essere ridotto da quattro mesi a quattro settimane” .

In Italia, la start up Speechannel ha di recente lanciato il suo algoritmo per analizzare i video-curricula. Non sono però immuni dai bias, nemmeno gli algoritmi: Amazon, nel 2018, ha ammesso di non poter implementare il proprio algoritmo di analisi automatizzata dei curricula, in quanto sessista. L’AI di Amazon era stata basata su un set di dati che erano essi stessi “biased”, cioè parziali, influenzati da anni di cultura tech di stampo maschilista.

Se neppure l’intelligenza artificiale è immune dai pregiudizi, le possibilità di essere vittime dei bias durante i colloqui di selezione digitali è un elemento che sarebbe davvero pericoloso sottovalutare. Se da un lato le videochiamate hanno il vantaggio di celare o mettere solo scarsamente in evidenza attributi fisici, come peso e altezza, che possono rappresentare loro stessi un pregiudizio, l’ambiente virtuale potrebbe fare da bilanciamento per le persone con disabilità fisiche.

Un altro aspetto che viene mitigato nelle videochiamate è la gestualità. Se nelle culture occidentali, una stretta di mano debole può generare una cattiva prima impressione, per quanto banale possa sembrare, può fare la differenza in molti contesti. L’impossibilità di stringere la mano durante i colloqui virtuali elimina i pregiudizi e le contraddizioni che potrebbero nascere da tale semplice gesto.

Il colloquio online ha lo svantaggio di svolgersi in luoghi virtuali differenti (e dunque parziali) che potrebbero influenzare il giudizio del recruiter, difficile non rimanere condizionati dal contesto, soprattutto se rumoroso o disordinato. E la scelta del candidato potrebbe ricadere su colui che vanta uno sfondo più allettante, ma non necessariamente è la persona più preparata. Il rischio che il contesto influenzi l’impressione generale sul candidato.

Senza contare che i colloqui virtuali non favoriscono chi non ha dimestichezza con la tecnologia, anche quando non è una skill richiesta: si hanno maggiori probabilità di giudicare negativamente una persona semplicemente a causa di un problema tecnologico riscontrato durante una videochiamata.  Il mondo digitale è sicuramente di ausilio purchè sia chiaro l’obiettivo e si tenga conto del contesto, perché come abbiamo visto non esula da errori umani, proprio perché progettato dall’uomo”.

 

Alessio: “Per molti non è ancora chiaro se le neuroscienze possano o meno dare un aiuto – concreto ed in tempi ragionevoli – all’ottimizzazione dei processi aziendali: hai qualche considerazione da condividere al riguardo?”

Laura: “Le Neuroscienze si sono dimostrate utili nell’aiutare le organizzazioni in tema di decision making, change management, leadership e risk management. Prendere decisioni o intervenire nei processi aziendali guidati da prove scientifiche fa una grande differenza poiché permette di attuare soluzioni già collaudate in realtà similari e di cui sono note le possibilità di successo e di insuccesso. Utilizzare soluzioni a matrice può quindi abbassare i costi, ridurre i tempi e prevenire gli errori.

I leader trascorrono molto tempo analizzando i dati, pro e contro di diverse alternative e via dicendo, per trarre le giuste conclusioni sulla direzione corretta da seguire. Quindi riuniscono collaboratori e dipendenti per informarli sul da farsi, senza lasciare loro il tempo di capire il perché della decisione. Lamentandosi, spesso di riflesso, che i dipendenti resistono al cambiamento.

È normale resistere a ciò che ci viene imposto dall’alto e senza una spiegazione che faciliti la comprensione della strategia messa in atto. Non dimentichiamo che le persone non distruggono quello che hanno costruito. È più facile che distruggano ciò che non capiscono e pensano possa danneggiarli. Non dimentichiamo che non siamo econi, esseri prettamente razionali, ma persone irrazionali e facili prede dell’emotività.

Le Neuroscienze ci insegnano che le persone non resistono al cambiamento, ma resistono a essere cambiate. Ecco perché tutto ciò che ci viene imposto viene visto con sospetto. Se si conosce come funziona il cervello in fatto di novità e cambiamenti, sarà più facile far accettare nuove idee, progetti e processi.

Il cambiamento è percepito dal cervello come una minaccia. E poco importa che non viviamo più nella giungla e non ci sia alcuna tigre dai denti a sciabola da cui proteggersi. L’incertezza e la novità che derivano da un processo di change management, dall’arrivo di un capo difficile, da scadenze e stress sono interpretate dal cervello come minacce al pari della tigre che tanto faceva paura ai nostri antenati. Le minacce si presentano in modi diversi, ma il modo in cui il cervello risponde è più o meno lo stesso di sempre.

Le Neuroscienze, in tal senso, ci danno il perché di quello che sta succedendo: se capisco il perchè, è più probabile che agisca in modo più informato e razionale e utile al contesto in cui la novità viene attuata.

Conoscere il cervello ci aiuta ad essere più empatici verso gli altri e noi stessi.

Le Neuroscienze, senza perdersi in innumerevoli esempi, permettono di trasformare studi ed evidenze in soluzioni utili e pratiche e fruibili da tutti. E non è poco di questi tempi incerti”

Note:

[1] Nielsen T.C., Kepinski L., (2020). Inclusion Nudges for talent selection, Action Guide, pp. 94-100

[2] https://business.linkedin.com/content/dam/me/business/en-us/talent-solutions-lodestone/body/pdf/Linkedin-Language-Matters-Report-FINAL-02.08-1.pdf

[3] h t t p s : / / p m c . g o v . a u / n e w s – c e n t r e / d o m e s t i c – p o l i c y / b e t a -report-going-blind-see-more-clearly

[4] https://gender.stanford.edu/news-publications/gender-news/ leveling-playing-field

[5] Goldin C., Rouse C., (2000). Orchestrating Impartiality: The Impact of Blind Auditions on Female Musicians “Blind” orchestra auditions reduce sex-biased hiring and increase the number of female musicians, Harvard Kennedy School, Women and public policy program

[6] https://youmark.it/ym-interactive/linkedin-sta-testando-la-nuova-funzione-video-presentazione-per-aiutare-i-recruiter-nella-scelta-dei-candidati/

[7] Cappelli P., Tambe P., Yakubovich V., (2018). Artificial Intelligence in Human Resources Management: Challenges and a Path Forward, SSRN Electronic Journal

[8] https://codetiburon.com/machine-learning-changing-hr-industry/

[9] https://www.speechannel.com/index.php

E’​ TEMPO di ESSERE GENTILI…

Siamo sommersi da consigli su come fare carriera, raggiungere obiettivi ambiziosi, guadagnare di più e da dati e grafici che si riversano sulla scrivania, spesso più di quanti saremo mai in grado di leggere e verificare in una vita intera.

Raramente però consideriamo la gentilezza quale abilità da migliorare, al pari di tutte le altre. La ignoriamo, o nel peggiore dei casi, la denigriamo.

“Cosa preferisci? Un medico che ti tenga la mano mentre muori o un medico che ti ignori mentre migliori?! Certo che sarebbe davvero terribile un medico che ti ignora mentre muori!

sosteneva il Dr House, nella omonima serie di grandissimo successo, così lontano dai modelli di leadership descritti nei testi di management, considerati ridondanti, eccessivamente buonisti rispetto alla realtà dove il leader che ha successo deve, per stereotipo, essere autoritario, freddo, cinico e possibilmente dispotico.

Personalmente preferisco un medico che mi consideri sia mentre miglioro, sia mentre sto male. L’empatia non è (e non dovrebbe essere) un’emozione che si accende a comando, si allena ma non si simula: i neuroni a specchio difficilmente si lasciano ingannare.

Lo stile autoritario è sicuramente utile per raggiungere obiettivi funzionali alla carriera, ma una volta all’apice, oltre al “cosa” (l’obiettivo raggiunto) conta molto anche il “come” lo si è raggiunto. Le modalità con cui si conseguono i risultati aziendali contano più di prima perché, in qualità di CEO e quindi di rappresentante degli azionisti, per definizione si dovrebbe essere più interessati a logiche di medio-lungo periodo e soprattutto ad assicurare all’azienda performance sostenibili e durature”.

Lo spiegano bene le ricerche della Harvard Business School: “anche prima di stabilire la propria credibilità o competenza, i leader che proiettano calore sono più efficaci delle persone che guidano con tenacia”. Gentilezza e calore sembrano accelerare la fiducia, considerando che gentilezza e leadership non hanno un impatto solo nel rapporto che si ha con dipendenti e collaboratori, ma anche sulla performance.

I ricercatori dell’Università di Oxford hanno analizzato centinaia di articoli che hanno studiato la relazione tra gentilezza e felicità:  21 studi hanno dimostrano che essere gentili con gli altri ci rende più felici, e l’Università di Warwick  ha rivelato  che le persone felici sono il 12% più produttive sul lavoro rispetto alle infelici.

Senza contare che a differenza di altre abilità, come ha dimostrato la ricerca condotta dall’Università del Wisconsin, essere gentili non richiede tempo e skill uniche: non è un segno di debolezza o rinuncia all’autorità essere gentili e mostrare interesse verso il lavoro dei dipendenti. Si può essere assertivi, empatici e forti tutto allo stesso tempo.

Senza dimenticare che la gentilezza è contagiosa e calmante: la Mayo Clinic ci esorta a “fissare intenzionalmente un obiettivo per essere più gentili con gli altri“, poichè gli atti di gentilezza attivano la parte del cervello che ci fa provare piacere e “rilascia ossitocina, un ormone che aiuta a modulare le interazioni sociali e le emozioni. Essere gentili fa bene alla salute mentale nostra e dei nostri dipendenti.” E questo si traduce in un miglioramento del morale e delle prestazioni e in una riduzione dell’assenteismo.

COSA CARATTERIZZA LA LEADERSHIP GENTILE

Ascolto attivo. Un buon leader deve avere a cuore le opinioni di tutti in azienda, non giudicare e saper incoraggiare le domande. “Quando qualcuno condivide una difficoltà, non saprai sempre cosa dire o fare“, si legge nella Harvard Business Review . “La cosa più importante è ascoltare come stanno veramente i membri del team. Potrebbero non voler condividere molti dettagli, il che va benissimo. Sapere che possono condividere preoccupazioni o difficoltà è ciò che conta“.

Empatia. Chiedersi come dipendenti e collaboratori vivono progetti e attività è importante anche per alimentare relazioni efficaci. la MIT Sloan Management Review, per esempio, ha sottolineato che essere single e lavorare da soli in quarantena, comporta molto più stress rispetto all’essere membro di una famiglia con bambini piccoli: pause caffè virtuali quotidiane possono già fare la differenza.

Grazie. Dillo con sincerità e dillo spesso.

Celebra i successi del teamUna ricerca, condotta dalla OC Tanner Institute, mostra che quando ai dipendenti è stato chiesto cosa l’azienda o il capo avrebbero potuto fare per motivarli e farli sentire meglio sul posto di lavoro, il riconoscimento era la risposta numero uno, prima ancora di aumenti salariali, promozioni, formazione e autonomia.

Supporta in modo gentile. Tutti noi abbiamo vite impegnate e stressanti. Qualunque ruolo tu rivesta, chiedere “Come ti posso aiutare?” aiuta la carriera.

Dai feedback. Uno studio della Harvard Business Review mostra che il motivo principale per cui alcuni manager non riescono a fare carriera è la loro incapacità di creare fiducia. Come leader, a volte dobbiamo dire ai dipendenti quando non soddisfano le aspettative. Per quanto sia difficile, è una fase utile a creare un clima di fiducia, se gestita con gentilezza, perchè significa che si ha effettivamente il desiderio di aiutare un dipendente a migliorare e non solamente ad aumentare il fatturato.

Le persone non sono macchine. La parte più difficile è ricordarsi che i team sono fatti di persone. Non si spengono quando finiscono il lavoro. Passano ad occuparsi di responsabilità personali, problemi di salute, finanziari e relazionali. Gli atti casuali di gentilezza sono importanti. Ma, se davvero vogliamo creare fiducia, dobbiamo concentrarci sull’unica cosa che i grandi leader praticano intenzionalmente, la gentilezza, specialmente verso le persone che supportano le nostre carriere ogni giorno.

Insieme all’empatia e all’intelligenza emotiva, la gentilezza è una delle competenze trasversali essenziali per una buona leadership. Di questi tempi, potrebbe addirittura rivelarsi la più cruciale. Senza contare che, parafrasando Henry David Thoreau, la gentilezza è un investimento che non fallisce mai.

Tu, come manifesti la tua leadership gentile? Come può la tua esperienza essere di aiuto agli altri?