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PERCHE’ RIMANDIAMO A DOMANI, CIO’ CHE DOVREMMO FARE OGGI? Pigrizia e scarsa volontà non sono le risposte giuste!

Come al solito non hai voglia di studiare… di allenarti… di lavorare… Frasi trite e ritrite che ci siamo sentiti dire e che abbiamo rivolto un numero indefinito di volte…

Gli altri si aspettano tante cose da noi e noi di riflesso facciamo lo stesso con chi ci circonda, con chi veniamo in contatto, con chi viviamo e lavoriamo giorno dopo giorno. Spinti da quella orrenda frase che ci rincorre fin da bambini puoi fare di più.

In azienda, persone di tutti i ruoli procrastinano la consegna di progetti, mancano appuntamenti importanti e arrivano tardi laddove è considerato sacrilego. E così in università: raramente gli studenti consegnano elaborati rispettando la scadenza. Una volta ho avuto una studentessa che ha perso due anni per consegnare la tesi.

Pigrizia, scarsa volontà? No. Assolutamente no. O meglio fino a non troppo tempo fa pensavo anch’io fosse così…

Sono una comportamentista, quindi sono interessata (ossessionata è più corretto) a ciò che guida i comportamenti e le scelte umane. Quando si cerca di anticipare le azioni di un soggetto guardare il contesto è più predittivo che rifarsi all’intelligenza o ad altri tratti della personalità (https://psycnet.apa.org/record/1979-28632-001)

Così quando qualcuno non riesce a stare nei tempi, ho imparato a chiedermi: Quale situazione lo ha rallentato o bloccato? Cosa gli è mancato? Quali ostacoli che non vedo gli impediscono di agire?

Con il tempo ho imparato che ci sono sempre degli ostacoli che ci limitano, ecco perchè è sbagliato gridare alla cattiva volontà o alla pigrizia, se prima non si è analizzato il contesto.

Di fronte a un comportamento di una persona che non rispetta le nostre aspettative, possiamo comportarci in due modi: giudicare o cercare di capire. Fra le due è molto più semplice giudicare e additare i procrastinatori per il loro cattivo comportamento. Rinviare un progetto riporta facilmente all’idea di pigrizia, almeno a una analisi superficiale. Spesso lo pensano così anche coloro che procrastinano… devi fare qualcosa, sei un fallimento, un pigro…

Da decenni gli studi psicologici spiegano la procrastinazione non come un effetto collaterale della pigrizia, come dimostrano tra l’altro anche molte persone di successo che hanno raggiunto risultati sopra la media procrastinando: (https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/0092656686901273).

La procrastinazione è un processo esistenziale più profondo e complesso di quanto appare. E di come ci piace bollare. Un articolo di Charlotte Lieberman bene inquadra l’attitudine seriale a rimandare, ovvero la relazione complicata tra noi e le nostre emozioni.

PERCHE’ PROCRASTINIAMO?

 

Ci spiace spiegare pigrizia, negligenza e scarso senso del dovere (“Ce la potrebbe fare… ma non si applica!”), quale risposta a una cattiva gestione del tempo, a una scarsa pianificazione delle attività, a una insufficiente efficacia nella risoluzione dei problemi (“Ce la potrebbe fare… prova ad applicarsi… ma lo fa male!”).

Eppure ciò che caratterizza la procrastinazione non è solo l’atto di rimandare un’attività… ma anche la disturbante percezione emotiva che ne consegue: la sensazione che stiamo andando contro ciò che ci suggerisce il buon senso. Di fatto è un “auto-sabotaggio”. Inizialmente ci solleva dall’ansia, poi non ci fa sentire a posto con noi stessi.

Procrastinare è un comportamento irrazionale. Secondo Tim Pychyl, professore di psicologia e membro del Gruppo di Ricerca sulla Procrastinazione dell’Università di Carleton di Ottawa, la procrastinazione non è causa di pigrizia, ma una reazione a stati emotivi dolenti che si faticano a gestire: ansia, timore di critica, inadeguatezza, senso di colpa. E’ il prevalere dell’urgenza di gestire immediatamente un’emozione dolorosa, rispetto al vantaggio a lungo termine di portare avanti un’attività.

A cui vanno aggiunti i personali stati d’animo: Sarò in grado di portare a termine il progetto?; Cosa penseranno gli altri di me se dovessi fallire?

Davanti a questi pensieri possiamo allarmarci e cercare una via di fuga: questo non elimina gli stati dolorosi associati all’impegno rimandato, ma semplicemente li posticipa spesso in maniera non indulgente, ma sotto forma di dialogo interiore severo e inflessibile (“Buono a nulla! Incapace! Non sei in grado!”) che aumenta la sofferenza e che paradossalmente proviamo a gestire… procrastinando ancora!

TORNIAMO A NOI…

L’intolleranza alla procrastinazione non deve farci dimenticare che spesso è determinata da ragioni più profonde che la scarsa volontà, come invece accade.

Conosco colleghi dell’università che non si sono mai chiesti cosa bloccasse uno studente. Una collega si rifiutava di lasciar entrare in classe  qualunque studente in ritardo. Non si interessava del perché; partiva dall’idea che nulla è impossibile se lo vuoi ottenere, figuriamoci arrivare in orario alle lezioni. Ricordo di un ragazzo sordomuto che poi si è laureato con il massimo dei voti a ingegneria, venire sottoposto a esame orale anziché scritto e venir bacchettato dal docente perché non capiva la domanda. Quando sarebbe bastato guardarlo in volto affinchè lui leggesse il labiale. Lui non è diventato un procrastinatore ma avrebbe potuto diventarlo e non per scarsa volontà.

O la studentessa che arrivava sovente in ritardo la prima ora di lezione perché passava le notti al capezzale della madre morente. Provava vergogna per la ruvidezza del docente, e nemmeno trovava la forza per esplicitare la sua situazione.

Al di là delle catalogazioni scientifiche, talvolta sarebbe sufficiente chiedersi il perché di un comportamento, prima di giudicarlo senza ascoltarne la risposta.

So che non è facile,  non siamo stati educati a riflettere su ciò che blocca i nostri collaboratori, i nostri studenti, i nostri amici. Tanti sono coloro che orgogliosamente rifiutano di condividere spazio e tempo con chi è meno fortunato, più lento, apparentemente meno elitario. E più rivestiamo ruoli importanti più mettiamo distanza, benchè diventiamo vittime di altre problematiche rispetto alla pigrizia. Eppure proprio come sappiamo che la pigrizia non è sempre una scelta attiva, anche i comportamenti elitari e giudiziari sono determinati dall’ignoranza situazionale.

Il segreto è chiedersi contro cosa lottano gli altri, e ricordare che probabilmente non se lo sono scelto. Ci stanno provando a fare bene, ma non sempre è facile. Alcune barriere sono difficili da abbattere, anche per i più forti e i più tenaci. Spesso, è sufficiente adottare un approccio curioso ed empatico nei confronti di individui che inizialmente vogliamo giudicare “pigri” o irresponsabili. E qui, mi domanderei perchè abbiamo questa esigenza da soddisfare, prima ancora di capire le ragioni della pigrizia altrui.

Le persone non scelgono deliberatamente di fallire o di deludere. Nessuno vuole sentirsi incapace, inefficace o inutile. Se guardando l’azione (o la non azione) di una persona, vedi solo pigrizia, probabilmente ti sei perso i dettagli chiave. C’è sempre una spiegazione. Ci sono sempre barriere. Solo perché non puoi vederle o non le vedi come legittime, non significa che non ci siano.

Forse devi solo imparare a guardare meglio.

La PIGRIZIA è la CHIAVE della SOPRAVVIVENZA

Siamo pigri per natura: il nostro cervello è programmato per evitare sforzi.

Risparmiare energia è da sempre essenziale per la sopravvivenza e ha permesso ai nostri antenati di essere più efficienti nella ricerca di cibo e riparo, di competere ed evitare i predatori. In altre parole per il nostro cervello svolgere attività fisica, o il pensiero di farlo, richiede energie in più che i neuroni tentano a tutti i costi di risparmiare, trattenendoci svogliatamente sul divano.

A rivelarlo è uno studio internazionale condotto tra Belgio, Gran Bretagna, Francia, Svizzera e Canada pubblicato su «Neuropsychologia» (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30056055)

PARADOSSO DELL’ESERCIZIO

Il lavoro contribuisce a sciogliere un annoso enigma, il «paradosso dell’esercizio»: nonostante la società ci incoraggi a fare esercizio fisico e sebbene sia risaputo che lo sport fa bene a corpo e psiche, le statistiche mostrano che stiamo diventando via via più pigri.

Lo studio ha coinvolto 29 giovani, alcuni attivi e altri sedentari. Tutti dovevano giocare con un avatar al pc. Sul video comparivano oggetti in movimento paradigmatici della pigrizia (poltrone, divani, amache, letti) oppure dello sport (racchette da tennis, scarpe da corsa, scale, palloni…). L’avatar doveva evitare il più rapidamente possibile gli oggetti che richiamavano la pigrizia e dirigersi verso i simboli del movimento. I partecipanti indossavano il caschetto per l’elettroencefalogramma, così da registrarne l’attività cerebrale: ogni volta che l’avatar doveva evitare i simboli della pigrizia il cervello del giocatore – indipendentemente dalle proprie attitudini – si «accendeva» più intensamente, consumando maggiori quantità di risorse.

Evitare la sedentarietà, quindi, ha un prezzo in termini di energie. «In particolare – spiegano i ricercatori – sono due le aree della corteccia cerebrale ad attivarsi più intensamente, se tentiamo di sfuggire alla sedentarietà. Una è la corteccia frontale mediale, che ha un ruolo nella risoluzione dei conflitti interni e serve a risolvere il dissidio tra un’intenzione volontaria (come voler fare sport) e una modalità inconsciamente radicata (la sedentarietà). L’altra è la corteccia fronto-centrale, un’area a funzione inibitoria che spegne i comportamenti automatici inconsci».

I risultati dello studio mostrano che il cervello è, nel profondo, attratto da comportamenti statici. Per sfuggire al loro richiamo ci si deve impegnare. Ecco perché le policy contro la sedentarietà non hanno funzionato. Per fortuna, come si sa, le “cattive” abitudini si possono cambiare… benchè non senza fatica!