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CONOSCERE il CERVELLO fa bene al PORTAFOGLIO

L’intervista rilasciata al settimanale Idea con Sergio Contegiacomo, Financial Advisor Allianz Bank.

Ai tempi del coronavirus, farsi prendere dal panico, quando assistiamo impotenti alla discesa rapida dei mercati (come quella registrata nelle ultime settimane), è cosa prevedibile e scontata. Almeno per chi si occupa di finanza comportamentale, la branca di studi economici che studia le decisioni di investimento dei risparmiatori ma soprattutto ci viene incontro per comprendere meglio quali sono i comportamenti da evitare in questo difficile momento.

Agire di impulso e farsi prendere dal panico sono gli errori più comuni che si commettono, ma sono anche quelli che fanno i maggiori danni ai nostri risparmi. Daniel Kahneman, premio Nobel nel 2002 e pioniere dell’economia comportamentale, è stato il primo con Amos Tversky, a documentare uno degli errori cognitivi più frequenti (colpisce il 76% degli investitori) ovvero l’avversione alle perdite.

La maggior parte delle persone infatti tende a percepire le perdite con maggiore intensità rispetto ai guadagni. Questa tendenza a preferire di evitare una perdita piuttosto che un guadagno di equivalente valore, guida erroneamente i risparmiatori in situazioni di mercato instabili, come quelle che stiamo vivendo in questi giorni. I ribassi dei titoli spaventano la nostra razionalità e la lucidità lascia il posto all’ansia da coronavirus, portando molti risparmiatori a disinvestire, aspettando tempi migliori.

Perché abbiamo questa predisposizione?

Per il nostro cervello vivere nell’incertezza economica (e non) è come stare all’inferno. Per uscire da questa situazione, ci illudiamo così che le cose siano più certe di quanto in realtà non siano. E per rispondere a tale incertezza il cervello attiva l’insula, una specifica area, responsabile di valutare gli stati emotivi negativi, come rabbia e paura nonché il disgusto morale. Più la situazione è incerta, meno si conoscono le probabilità associate agli esiti futuri, più l’insula si eccita, si attiva. Ed è proprio l’attivazione di questa area che condiziona le scelte di investimento di decisa avversione al rischio.

Quanto costa lasciarsi prendere dalla paura? Tantissimo. Analizzando i due maggiori cali azionari dell’indice S&P si evince che dopo ogni shock c’è sempre stata una ripresa.  Dal 1941 al 2019 ce ne sono stati due : il 1987 ed il 2008. Nel 1987 in 14 giorni di flessioni consecutive l’indice scese del 31,5%, ma recuperò completamente le “perdite” in  674 giorni. A distanza di un anno dalla fine del ribasso, però, l’indice guadagnò il 27,9%, a distanza di 5 anni il 119%, e a distanza di 10 anni il 463,8%. Nel 2008, in 73 giorni l’indice perse il 40,3% impiegando 715 giorni per “tornare a galla”. A distanza di un anno dalla fine del ribasso, però, l’indice guadagnò il 48,8%, a distanza di 5 anni il 164,20% e a distanza di 10 anni il 334,20%. Morale della favola : non si afferra un coltello mentre cade.

I mercati sono imprevedibili e fluidi per natura e fare market timing, ossia tentare di intercettare il momento giusto per entrare e uscire dai mercati, è una scelta molto rischiosa per i propri risparmi. La storia insegna che rimanere investiti durante gli shock è premiante.

Movimentare, invece, il proprio portafoglio quando i mercati si contraggono è la scelta peggiore che si possa fare.

Il caso Coronavirus viene definito dagli esperti come un fenomeno transitorio: già nei decenni scorsi sono emerse epidemie (come la Sars) e statisticamente nei 6 mesi successivi il ritorno delle Borse è stato positivo. Non è mai piacevole vedere la volatilità del portafoglio ma proprio in questi momenti, bisogna evitare mosse azzardate e focalizzare l’attenzione sui propri obiettivi di lungo termine.

L’avversione alle perdite non è il solo bias (errore decisionale) in cui cadiamo quando si tratta di soldi. Un altro piuttosto subdolo è l’effetto gregge. Copiare le azioni di una massa di investitori ci tranquillizza, se pensiamo che gli altri possono avere accesso a informazioni che noi non possediamo. Inoltre, siamo disposti a seguire il gregge anche a costo di screditare le nostre stesse convinzioni poiché riteniamo improbabile che un numero così grande di individui possa avere torto. Di fatto tendiamo a conformarci alle decisioni di gruppo anche quando percepiamo che la decisione del gruppo è sbagliata.

Seguire il gregge sui mercati finanziari è però uno dei motivi che contribuiscono alla nascita delle bolle speculative. Le persone preferiscono emulare il comportamento degli altri anziché prendere decisioni basate su un ragionamento personale, perché nell’emulare la ‘massa’ ci si sente rassicurati, in quanto altri potrebbero avere informazioni private rispetto a quelle del mercato. Questo principio va contro l’efficienza dei mercati, perché se il mercato si muove nella stessa direzione e tutti hanno aperte le stesse posizioni… se fallisce uno, falliscono tutti (crolla il sistema finanziario).

Ciò che non dobbiamo dimenticare è che il denaro ha un effetto potente sull’uomo. L’economia tradizionale ha sempre difeso la convinzione che i soldi servono in quanto consentono di acquistare beni e soddisfare bisogni. Sono uno strumento, un mezzo. Diversi esperimenti hanno invece dimostrato che le cose non sono proprio così. Quando diamo alle persone l’opportunità di guadagnare facilmente del denaro si osserva, nel cervello, un aumento del rilascio di dopamina in una piccola regione del cervello (il nucleo accumbens), all’interno di quello che viene chiamato cervello rettiliano. Ossia la sede, tra le altre cose, degli istinti primari. Cioè: attività non così vicine al concetto evoluto di “razionalità”.

Non solo: il richiamo alla dopamina, sostanza chimica che trasmette segnali fra gruppi di neuroni, induce un’altra considerazione. Il malfunzionamento del circuito cerebrale della dopamina è associato alla dipendenza e alla impulsività. Tanto che nelle tossicodipendenze sono chiamati in causa proprio i meccanismi di rilascio e riassorbimento di questa sostanza. Il ragionamento non porta alla conclusione, semplicistica, che il denaro sia una droga. E vero però, per usare le parole dell’economista Sacha Gironde che “consumiamo il fatto stesso di possedere del denaro, ancora prima di consumare qualcosa tramite il denaro”.

Insomma: altro che massimizzare l’utilità. I passi in avanti compiuti dalla biologia, dalla finanza comportamentale, dalla neuroeconomia mostrano come le scelte finanziarie, gli investimenti sul denaro, sono tutt’altro che razionali. Capire o farci aiutare da chi ben comprende queste dinamiche, ci permette di conoscere meglio e adottare strategie di portafoglio più funzionali al nostro benessere (non solo finanziario).

“Quando tutti sono avidi bisogna avere paura e quando tutti hanno paura bisogna essere avidi” (W. Buffet)