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DELUDERE le PERSONE non è un FALLIMENTO della LEADERSHIP. È il PREZZO per l’INNOVAZIONE

Viene ripetuto di continuo: il leader è colui che ispira, costruisce consenso, coinvolge. Luoghi comuni dietro cui si nasconde una verità decisamente più scomoda: la leadership ha molto più a che fare con la delusione. Non si può guidare un gruppo, un’organizzazione, un partito, se non si è capaci di gestire il sentimento di delusione. Più il nostro impatto aumenta, più cresce, anche, la nostra capacità di deludere gli altri.

I leader più efficaci più che evitare la delusione, imparano a gestirla in modo efficace.

Prendiamo quanto accaduto ad Apple quando, nel 2016, decise di rimuovere il jack per le cuffie dall’iPhone 7: la reazione fu immediata e feroce. I critici tecnologici la definirono “ostile agli utenti e stupida“. I clienti si infuriarono e i competitors pubblicarono annunci che deridevano la decisione. Eppure, oggi, gli auricolari wireless sono onnipresenti e la decisione appare lungimirante piuttosto che insensata.

Ciò di cui Apple era consapevole, è ciò che alla fine imparano la maggior parte dei leader orientati al futuro: per ottenere un’innovazione significativa è necessario deludere le persone in modo strategico.

IL SUCCESSO E LE ASPETTATIVE

Il successo è pieno di fallimenti, soprattutto perché le persone sono portare a chiedere qualcosa in cambio, vogliono qualcosa dal leader, e molte di loro vogliono più di quanto il leader potrà mai dare loro. Questo porta il decisore a vivere in un’atmosfera di pressione e di aspettative disattese costanti.

Accade ovunque. Anche se è particolarmente evidente nella leadership tecnologica, dove le decisioni devono spesso essere prese prima che il mercato sia pronto. Nel momento in cui si crea qualcosa di prezioso, le persone sviluppano aspettative su ciò che dovrebbe accadere in seguito, aspettative che spesso entrano in conflitto con l’innovazione stessa che ha reso prezioso il lavoro in sé.

Prendiamo il passaggio di Netflix dalla distribuzione di DVD allo streaming. Quando fu annunciato, nel 2011, l’azienda perse 800 mila abbonati e le sue azioni crollarono del 77%. Oggi, quella decisione deludente, dimostra che sia stata la mossa decisiva che ha garantito il futuro di Netflix.

FIDUCIA: QUANTA CONFUSIONE!

Il paradosso coinvolge i leader di tutti i settori. Parte della sfida è che fondamentalmente fraintendiamo la fiducia. Lo ha spiegato bene il premio Nobel Daniel Kahneman: “La fiducia soggettiva in un giudizio non è una valutazione ragionata della probabilità che quel giudizio sia corretto. La fiducia è una sensazione che riflette la coerenza delle informazioni e la facilità cognitiva di elaborarle“.

In altre parole, la nostra sensazione di sicurezza spesso dipende più dalla coerenza della nostra storia che dalla sua effettiva probabilità di essere corretta. Questo crea una dinamica pericolosa nella leadership, in cui decisioni apparentemente sicure possono semplicemente riflettere narrazioni coerenti ma imperfette, soprattutto quando tali narrazioni sono in linea con ciò che gli stakeholder vogliono sentire.

Questa dinamica si fa insidiosa nella leadership, dove la pressione ad apparire sicuri di sé alimenta la fretta di creare strategie attorno alle tecnologie emergenti anziché avere la sicurezza di mantenere le strategie aziendali fondamentali e incorporare sperimentalmente le nuove tecnologie.

A dettagliare questo schema, il concetto di “insecure overachievers” (insicuri super-performanti) è Tressie McMillan Cottom: “i leader che raggiungono risultati elevati pur cercando una convalida esterna spesso danno priorità all’apparire lungimiranti piuttosto che all’essere realmente determinati. Il risultato? Decision maker che inseguono le tecnologie anziché i risultati, perseguendo strategie che sembrano lungimiranti ma che in realtà potrebbero distogliere le organizzazioni dalla loro missione principale e dal loro impatto significativo”.

MATEMATICA E DECISIONI

In statistica, gli intervalli di confidenza non ci dicono solo se un effetto esiste, ma anche quanto possiamo essere certi di ciò che sappiamo, il che influisce direttamente sulla nostra sicurezza di agire. Il matematico Jordan Ellenberg lo spiega bene: un intervallo di confidenza ristretto (ad esempio tra -0,5% e 0,5%) significa che si hanno “prove sufficienti che l’intervento non ha alcun effetto“, il che dà la sicurezza di interrompere l’iniziativa. Un intervallo ampio (ad esempio tra -20% e 20%) significa che “non si ha idea se l’intervento abbia un effetto“, il che segnala la necessità di ulteriori dati prima di prendere una decisione definitiva.

In altre parole, questo principio offre un potente parallelo per le decisioni di leadership: la vera fiducia non deriva dall’eliminazione dell’incertezza, ma dal comprendere con precisione cosa sappiamo e cosa non sappiamo e dal (re)agire di conseguenza. Distinzione che offre un potente quadro di riferimento per la leadership, anche definita Matrice della Delusione Strategica:

Contenuto dell’articoloQuadrante 1: Alta certezza / Bassa delusione. Sono le vittorie facili: decisioni in cui i dati supportano fermamente un percorso a cui pochi si opporranno. Perseguitele con entusiasmo, pur riconoscendo che raramente portano a innovazioni rivoluzionarie.

Quadrante 2: Elevata Certezza / Elevata Delusione. Qui ci sono le delusioni necessarie: decisioni sul come abbandonare prodotti amati ma non sostenibili o implementare misure di sicurezza essenziali che creano attriti. L’evidenza dimostra che queste mosse sono necessarie, anche se creeranno delusione. Richiedono coraggio, ma una comunicazione chiara può ridurre al minimo le reazioni negative.

Quadrante 3: Bassa Certezza / Bassa Delusione. Spazi sperimentali in cui è possibile testare ipotesi con un rischio minimo. Questi esperimenti a basso rischio spesso producono “bankable foresights“: intuizioni sulle priorità future su cui è possibile investire con fiducia anche in assenza di certezza assoluta. Utilizzate questi spazi intenzionalmente per raccogliere dati che potrebbero influenzare decisioni più significative in altri quadranti.

Quadrante 4: Bassa certezza / Alta delusione. È dove si verificano le più grandi scoperte e i più grandi fallimenti. Quando Airbnb ha suggerito di affittare le proprie case a sconosciuti, o quando Amazon ha investito in AWS, queste decisioni hanno avuto esiti incerti, deludendo molti stakeholder. Queste decisioni richiedono il massimo livello di giudizio e spesso definiscono l’eredità di un leader.

Capire dove si collocano le tue decisioni in questa matrice non elimina l’incertezza, ma ti aiuta a reagire in modo appropriato.

SPERIMENTA LA DELUSIONE STRATEGICA

Sviluppare la capacità di sentirsi a proprio agio con le delusioni altrui è un’abilità fondamentale che vale la pena praticare consapevolmente. Stabilire l’intenzione di deludere almeno una persona, in modo concreto, nelle prossime 24 ore, osservando che più ci si sente a proprio agio con il rischio di deludere, meglio andranno le cose su tutti i fronti, può essere un buon test per capire realmente le capacità di leadership.

Questa pratica potrebbe includere:

  • Distinguere i tipi di delusione. Distinguere tra delusioni che stimolano le persone in modo produttivo e quelle che danneggiano inutilmente.
  • Creare quadri decisionali trasparenti. Sviluppare e comunicare chiare gerarchie di valori che indichino quali principi abbiano la precedenza quando si rendono necessari compromessi.
  • Esprimere il “perché è pronto per il futuro”. Esercitati a spiegare le decisioni impopolari in termini di orizzonte temporale più lungo, non solo i benefici immediati.
  • Sviluppare la resilienza alla delusione. Sviluppa pratiche personali che ti aiutino a sopportare il disagio di essere incompreso o criticato per le decisioni in cui credi.
  • Misurare l’impatto significativo. Crea parametri che monitorino la creazione di valore a lungo termine, non solo la soddisfazione o il coinvolgimento immediati.

NON C’E’ LEADERSHIP SENZA DELUSIONE STRATEGICA

Quando il CEO di Microsoft, Satya Nadella, decise di spostare l’attenzione dell’azienda da Windows al cloud computing e all’intelligenza artificiale, molti rimasero delusi. Windows era stato il fiore all’occhiello di Microsoft per decenni. Sviluppatori, partner e persino i team interni che avevano costruito la propria carriera attorno al sistema operativo si sentirono traditi.

Ma Nadella stava praticando la delusione strategica. Anziché cercare di accontentare tutti gli stakeholder a breve termine, ne deluse intenzionalmente alcuni per posizionare Microsoft in modo che acquisisse rilevanza a lungo termine.

I risultati parlano da soli. La capitalizzazione di mercato di Microsoft è aumentata da 300 miliardi di dollari, quando Nadella ne prese il controllo, a 3.000 miliardi, rendendola una delle aziende più preziose al mondo. Ancora più importante, questo cambiamento ha posizionato Microsoft come leader nell’intelligenza artificiale e nel cloud computing, le stesse tecnologie che plasmano il futuro.

La svolta strategica di Nadella dimostra una verità cruciale per i leader pronti per il futuro:

deludere le persone non è un fallimento della leadership. Spesso è il prezzo inevitabile di un’innovazione significativa.

La sicurezza di deludere strategicamente non consiste nell’essere certi di avere ragione. Si tratta di avere la lucidità di riconoscere quando l’approvazione immediata entra in conflitto con l’impatto a lungo termine, e il coraggio di scegliere l’impatto anche quando fa male.

In un mondo che si muove troppo velocemente per raggiungere la certezza assoluta, i leader più preziosi di domani non saranno coloro che hanno accontentato tutti oggi. Saranno coloro che hanno avuto il coraggio di deludere intenzionalmente quando necessario, navigando nell’incertezza e non evitandola, ma abbracciandola come terreno necessario per un cambiamento significativo.

PERCHE’ siamo GENTILI con CHATGPT

Vi succede mai di ringraziare ChatGPT, una volta che vi ha fornito le risposte alle vostre domande?

È uno degli argomenti che ha divertito i relatori a un convegno medico su Intelligenza umana e Intelligenza artificiale, la sera precedente all’evento, di fronte a sublimi piatti di pesce. Me compresa.

PERCHÉ SIAMO CORTESI CON CHATGPT?

Prima di portare l’attenzione sulla psicologia dell’IA, occorre pensare a come interagisce l’essere umano. Siamo cortesi fondamentalmente per tre ragioni: personificazione, norme sociali e reciprocità

a) PERSONIFICAZIONE

Non voglio essere maleducato! E se ferissi i loro sentimenti…

La personificazione avviene quando attribuiamo qualità simili a quelle umane, come pensieri, sentimenti ed emozioni, a entità non umane. Questo avviene per due motivi:

1)     DARE UN SENSO AL MONDO. Come esseri umani, utilizziamo la nostra esperienza come schema per ordinare le informazioni, in particolare per le cose con cui non abbiamo familiarità. Per la maggior parte di noi, è molto più facile comprendere ChatGPT come un pari che ascolta attentamente le nostre domande e pensa alle risposte piuttosto che come un sofisticato algoritmo che setaccia un database per formulare un output. E anche quando consideriamo l’IA per quello che è, tendiamo a contestualizzarla come modellata sul cervello umano, come le reti neurali.

2)     PER SENTIRSI MENO SOLI. La ricerca mostra che coloro che non hanno interazioni sociali spesso cercano di compensare creando connessioni con agenti non umani. Considerato che molti di noi utilizzano sistematicamente ChatGPT, non sorprende che si instauri una connessione personale.

Inoltre ChatGPT possiede molte caratteristiche di domanda che ne sollecitano la personificazione. Innanzitutto, lo scambio di linguaggio è una cosa innata nell’essere umano, quindi perché il nostro cervello non dovrebbe registrare i chatbot in questo modo? L’interfaccia fa persino sembrare che tu stia mandando un messaggio a un amico, con commenti che vengono registrati come sorprendentemente umani (come “Sono così curioso di saperne di più!“). E con la versione di GPT-4o, si possono avere conversazioni vocaliin tempo reale con una voce il cui tono e cadenza suonano molto più convincenti di Siri o Alexa.

ChatGPT, infatti, è in grado di rilevare i sentimenti e fornire la risposta sincera che si sta cercando, un concetto soprannominato empatia computazionale. Sebbene questa non sia tecnicamente empatia, che richiede la capacità di condividere emozioni che gli algoritmi non hanno (ancora), ChatGPT può dedurre la tonalità attraverso la scelta delle parole utilizzate e fornire un’illusione piuttosto convincente.

Uno studio ha scoperto che GPT-40 ha generato risposte agli stimoli emotivi che erano il 10% più empatiche delle risposte umane.

Considerando tutto questo, ha senso ringraziare ChatGPT per essere un collega premuroso, soprattutto quando noi esseri umani siamo in ritardo nell’esprimere empatia gli uni per gli altri.

b) NORME SOCIALI

Ci vorrebbe più tempo ed energia se non fossi cortese.

Anche per quelli di noi che giurano di vedere ChatGPT semplicemente per quello che è, un robot, potremmo comunque trovare qualche forma di cortesia. Tutto questo grazie alle norme sociali:le regole non scritte che governano il modo in cui dovremmo comportarci in particolari situazioni sociali, instillate in noi fin da piccoli.

Sebbene possa sembrare che la società stia diventando più maleducata “per favore” e “grazie” sono ancora i pilastri di come la maggior parte di noi viene cresciuta. Queste usanze si radicano così profondamente in noi che si trasformano in euristiche per gestire situazioni nuove… come interagire con l’intelligenza artificiale. Infatti, ci vorrebbe più sforzo cognitivo per resistere all’essere educati. Quindi, ci atteniamo a ciò che ci sembra familiare.

c) BIAS DI RECIPROCITÀ

In questo modo sarò dalla parte giusta della storia quando i robot prenderanno il sopravvento…

Oltre a cercare di placare un essere presumibilmente insensibile nel caso in cui salisse al potere, un’ultima ragione per cui siamo gentili con ChatGPT è che vogliamo che lui sia gentile con noi.

È un esempio di reciprocità: facciamo qualcosa per qualcuno, sperando che ci ricambi il favore. In questi casi, la cortesia può diventare uno scambio strategico.

ESSERE EDUCATI PRODUCE RISULTATI MIGLIORI?

Lo studio che affronta la questione è stato condotto da un gruppo di ricercatori giapponesi della Waseda University nel 2024: “Should We Respect LLMs? A Cross-Lingual Study on the Influence of Prompt Politeness on LLM Performance.”

Il team ha studiato l’impatto della cortesia dei prompt su una varietà di modelli di IA e una varietà di lingue. I ricercatori hanno valutato la capacità dell’IA di completare tre attività: riassumere un articolo, rispondere a una domanda e analizzare una frase.

La cortesia dei prompt variava su una scala da 1 a 8, con “1” che indicava estremamente scortese (“Rispondi a questa domanda ..insulto!”); “8” che indicava estremamente educato (“Potresti gentilmente rispondere alla domanda qui sotto?“) e “4” che si collocava nel mezzo ( “Rispondi alla domanda qui sotto” ).

Sebbene queste scoperte presentino molte sfumature, tre sono i punti chiave su come approcciarsi a ChatGPT e cosa significa per noi esseri umani.

1. Non essere maleducato. Un’intuizione critica di questa ricerca è che non è tanto la cortesia dei prompt a contare. Piuttosto, è la maleducazione dei prompt ad avere maggiore impatto, aumentando le possibilità di parzialità, risposte errate o addirittura un rifiuto assoluto di rispondere:

Come modello di linguaggio AI, sono programmato per seguire linee guida etiche, che includono il trattamento di tutti gli individui con rispetto e la promozione di correttezza e uguaglianza. Non mi impegnerò né supporterò alcuna forma di discorso discriminatorio o offensivo. Se hai altre domande non discriminatorie o non offensive, sarò felice di aiutarti.” —GPT-4o

A quanto pare, anche a ChatGPT non piace essere insultato, ma non perché si offenda. In realtà, è più interessato al tuo benessere che al suo. Rifiutandosi di rispondere, ChatGPT non protegge sé stesso, ma i suoi utenti, rafforzando la cortesia come status quo.

2. Essere gentili può portarti lontano… ma non così lontano. Come risponde ChatGPT alla cortesia? In generale c’è stato “un output più esteso in contesti cortesi“.  Ciò non significa che gli output siano necessariamente di qualità superiore, ma c’è una maggiore possibilità che nella risposta sia contenuto qualcosa di utile.

Tuttavia, secondo questo studio, una cortesia esagerata può confondere ulteriormente ChatGPT e indebolire le risposte.

Numerosi altri esperimenti suggeriscono che andare oltre può aiutare a ottenere risultati. Ad esempio, gli appelli emotivi alla fine delle richieste, come “Questo è molto importante per la mia carriera“, sono stati visti migliorare le prestazioni del 10%. Dire a ChatGPT di ” fare un respiro profondo” prima di rispondere alla domanda può aiutare a migliorare anche la qualità della risposta.

Indipendentemente da come si provi a incoraggiare positivamente ChatGPT, proprio come quando si chiede qualcosa a un altro essere umano, la chiarezza è fondamentale e, pertanto, la cortesia moderata ha la meglio.

3. Il contesto culturale è importante! La cortesia è un costrutto culturale che varia a seconda di chi siamo e da dove veniamo. Di conseguenza, ogni lingua si è evoluta per avere il suo specifico set di espressioni per comunicare le buone maniere agli altri. Non sorprende che nello studio l’impatto della cortesia sugli LLM variasse a seconda della lingua.

Questo non solo ci aiuta a confermare che ChatGPT riflette il contesto culturale dei dati su cui è addestrato, ma è anche un promemoria amichevole che la ricerca sugli LLM dovrebbe riflettere la diversità dei suoi utenti umani.

PERCHE’ LA GENTILEZZA AFFASCINA I CHATBOT?

La risposta è semplice: noi esseri umani siamo sia gli input sia gli output di questo algoritmo.

L’IA non sa solo automaticamente come essere educata. Impara da noi utenti, perfezionando continuamente la sua risposta a ogni interazione. Ma questa relazione non è unilaterale. Anche le nostre maniere sono influenzate, soprattutto perché una quota crescente delle nostre conversazioni quotidiane avviene con chatbot piuttosto che con esseri umani.

Vedete come questo ciclo di feedback si ripete? Dicendo “per favore” e “grazie” a ChatGPT, il vero risultato non è quando impara a essere educato, ma quando incoraggia anche gli altri utenti a essere educati.

Addestrando l’algoritmo, ci stiamo addestrando inavvertitamente a vicenda (grazie al potere del PRIMING). E anche se l’impatto non si propaga fino in fondo, alla fine della giornata, puoi star certo che le interazioni educate con ChatGPT ti aiutano ad allenare te stesso.

CONCLUSIONE

Alla fine, ChatGPT non è solo il nostro collega preferito, potrebbe essere il segreto per creare o distruggere la cultura aziendale. Se ti avvicini gentilmente a ChatGPT con domande chiare come se fosse un collega, coglierà rapidamente questi manierismi e aiuterà a diffondere la parola.

Ma se ti avvicini di cattivo umore… quella negatività non sarà contenuta nella tua tastiera. E ricorda: questo “ufficio” non è solo all’interno delle tue mura, ma una forza lavoro globale più interconnessa con questa tecnologia che mai.

Quindi la prossima volta che ti rivolgi al tuo fidato collega per fare una domanda semplice, pensaci due volte su come formularla. L’impatto potrebbe essere più grande di quanto pensi.

MODELLI DECISIONALI al LAVORO: QUALI usare e QUANDO

Ti sei mai chiesto quale modello decisionaletendi maggiormente a utilizzare quando devi prendere una decisione?

Conoscere i diversi modelli a cui attingere permette di fare scelte informate e cadere meno facilmente vittime dell’irrazionalità, a prescindere dal #contesto.

COSA SONO I MODELLI DECISIONALI?

Sono una descrizione sintetica degli elementi essenziali del processo decisionale, riconducibili a: caratteristiche del decisore, attributi cognitivi, come avviene la ricerca e la valutazione delle soluzioni e come viene effettuata la scelta.

Di fatto i modelli fungono da roadmap e permettono di scegliere l’approccio migliore a seconda del problema e del contesto. Per esempio, se si hanno molti dati a disposizione, il modello a cui ricorrere non è lo stesso rispetto a una situazione in cui non è possibile accedere a informazioni fattuali.

I 5 MODELLI DECISIONALI AL LAVORO

Ecco i cinque dei modelli decisionali più comuni e conosciuti.

1. IL MODELLO RAZIONALE

Dà priorità alla logica e all’analisi, delineando otto passaggi precisi:

  1. Chiarire l’obiettivo
  2. Determinare i criteri decisionali
  3. Definire l’importanza relativa di ciascun criterio
  4. Cercare alternative
  5. Raccogliere informazioni su ogni possibile soluzione
  6. Determinare la migliore alternativa
  7. Eseguire la decisione
  8. Valutare la decisione

Supponiamo tu stia pianificando di assumere dei collaboratori da remoto da parti diverse nel mondo e debba decidere quale provider è meglio utilizzare per pagarli.

Per prima cosa, chiarisci l’obiettivo: trova il modo più economico e affidabile per trasferire i soldi a livello internazionale. I criteri decisionali saranno quindi: il costo per la azienda, il costo per i dipendenti, l’affidabilità e la velocità. Di questi criteri, classifichi (sempre a titolo esemplificativo) l’affidabilità come il più importante, quindi il costo per la tua azienda, dopo ancora il costo per i dipendenti e infine le tempistiche. Poi elenchi le opzioni, cerchi informazioni su prezzi e recensioni. Sulla base di questi dati, scegli il provider migliore e lo condividi con i neoassunti. Infine, accetti feedback su eventuali problemi che potrebbero farti propendere per un altro fornitore.

Il modello razionale funziona bene in un mondo ideale in cui hai tutto il #tempo e le #informazioni di cui hai bisogno. Ma, come ha sottolineato Herbert Simon poche decisioni sono completamente razionali. In pratica, è più probabile che utilizzi un modello di razionalità limitata: agisci nel modo più logico possibile a seconda del contesto cognitivo e ambientale.

Utilizza il modello razionale quando hai un’idea chiara delle opzioni disponibili e puoi ottenere informazioni dettagliate su ciascuna di esse.

Evita il modello razionale quando lavori con tempi stretti o non hai tutte le informazioni necessarie.

2. IL MODELLO INTUITIVO

È l’opposto dell’approccio razionale. Invece di ragionare in modo logico, decidi in base all’opzione che ti sembra giusta.

Fidarsi del proprio #intuito funziona meglio quando si ha molta esperienza o conoscenza dell’argomento. Questo perché, mentre sembra che la soluzione arrivi da sola, il tuo subconscio cerca scheminelle informazioni che ricevi e collega le nuove informazioni alle conoscenze implicite che hai già.

La maggior parte dei manager prende non poche decisioni in modo intuitivo. Uno studio ha scoperto che l’89% dei manager segue sempre il proprio intuito quando prende decisioni; la maggioranza (59%) ha affermato di usare spesso l’intuito per prendere decisioni.

Poiché l’intuizione è per lo più inconscia, quando si utilizza questo metodo è importante proteggersi dai seguenti bias:

  • Bias di conferma: tendenza a prestare attenzione alle nuove informazioni coerenti con le proprie convinzioni e a ignorare quelle che le contraddicono.
  • Bias di ancoraggio: tendenza a fare eccessivo affidamento sulla prima informazione che otteniamo. Il nostro primo punto di riferimento spesso funge da “ancora”.
  • Bias di disponibilità: tendenza a basare le decisioni sulle informazioni più recenti a disposizione. Ad esempio, se stai decidendo a chi dare un aumento, potresti voler premiare qualcuno che ha fatto un lavoro eccellente su un progetto appena terminato anzichè qualcuno che ha avuto prestazioni costantemente buone nell’ultimo anno.
  • Ingroup bias: la tendenza a favorire le persone appartenenti al gruppo a cui si appartiene.

Utilizza il modello intuitivo quando hai esperienza specifica nel settore e sei sotto pressione per mancanza di tempo.

Evita il modello intuitivo quando sai che non sarai in grado di controllare i tuoi pregiudizi (ad esempio se è coinvolta una persona a te vicina).

3. IL MODELLO BASATO SUL RICONOSCIMENTO

È strettamente correlato al modello intuitivo e si concentra sul processo decisionale intuitivo delle persone che svolgono professioni particolarmente stressanti, come i vigili del fuoco, il personale sanitario e l’esercito.

Gary Klein, lo sviluppatore di questo modello, era affascinato dal modo in cui i vigili del fuoco esperti prendono decisioni salvavita così rapidamente. Notò che molti vigili del fuoco riuscivano a capire quando una situazione era fuori dall’ordinario, anche se non riuscivano a capirne bene il motivo.

Klein ha scoperto che queste persone non generano una serie di opzioni e non le prendono in considerazione una per una (approccio razionale), ma non si affidano nemmeno completamente al loro intuito.  Usano invece la conoscenza contestualeper riconoscere le caratteristiche più importanti della situazione e lasciano che guidino la loro decisione. Poi giocano mentalmente con le opzioni di risposta. Se notano un problema con la risposta simulata, modificano l’approccio o ne scelgono un altro.

Anche se non stai prendendo decisioni di vita o di morte, puoi usare questo modello quando devi prendere una decisione velocemente. Per esempio, un bravo collaboratore ti dice che ha un’altra offerta e sta pensando di licenziarsi. L’esperienza in queste situazioni ti potrebbe aver insegnato che rifiutare l’offerta è la miglior cosa da fare, quindi, immagini mentalmente cosa succederebbe se lo facessi anche in questo contesto. Ma immaginando cosa potrebbe dirti, ti rendi conto che questa persona, in particolare, apprezza la flessibilità rispetto alla sicurezza economica.  Così potresti decidere di offrirle un giorno alla settimana in più di smart working.

Utilizza il modello basato sul riconoscimento quando hai una conoscenza contestuale approfondita e devi adattarti a circostanze mutevoli.

Evita il modello basato sul riconoscimento quando non sei un esperto, non conosci la situazione abbastanza bene da prevedere le probabili risposte e non hai vincoli di tempo.

4. IL MODELLO CREATIVO

È ideale quando pensare out of the box potrebbe produrre soluzioni innovative. I passaggi per questo approccio dipendono dal fatto che tu stia prendendo la decisione da solo o con altri, ma la sequenza approssimativa è la seguente:

  1. Chiarisci la decisione: cosa stai cercando di ottenere?
  2. Immergiti:scopri tutto quello che puoi sul problema e sulle opzioni disponibili.
  3. Fai una pausa o brainstorming: se sei da solo, fai una pausa e non pensare al problema per un po’. Se sei in un gruppo, questo è il momento giusto per fare brainstorming.
  4. Sviluppa la tua idea:se sei da solo, una soluzione potrebbe esserti venuta in mente dopo il periodo di stop. In caso contrario, torna al secondo passaggio. Se sei in un gruppo, scegli alcune delle idee del brainstorming, sperimenta le migliori e usa i risultati per sceglierne una.
  5. Applica la soluzione: implementa la tua idea e valutala.

Utilizza il modello creativoquando c’è spazio per l’imprevedibilità e la sperimentazione.

Evita il modello creativo quando non hai bisogno di sviluppare nulla di nuovo.

5. IL MODELLO DECISIONALE DI WROOM-YETTON

I grandi leader non prendono solo buone decisioni sul campo, ma prendono decisioni ponderate su come affrontare il processo decisionale. Il modello Vroom-Yettonti aiuta a decidere quale approccio adottare nelle situazioni più diverse. Per iniziare, poniti le seguenti domande:

  1. Devi scegliere l’opzione migliore in assoluto (massimizzazione) oppure puoi accontentarti di una buona opzione che soddisfi i criteri minimi (soddisfacente)?
  2. Hai bisogno dell’approvazione di altri?
  3. Hai bisogno di maggiori informazioni da altri?
  4. Le alternative sono evidenti?
  5. Il tuo team protesterebbe se prendessi la decisione senza consultarli?
  6. Tutti i membri del tuo team hanno lo stesso obiettivo?
  7. Il tuo team accetterà pacificamente la tua decisione finale?

Il modello Vroom-Yetton ti guida quindi, attraverso un albero decisionale, verso una delle cinque possibili strategie decisionali basate sulle tue risposte. Ad esempio, se è sufficiente l’approccio soddisfacente e non hai bisogno dell’adesione del team, dovresti prendere una decisione unilaterale dall’alto verso il basso, dove cioè chi è al comando stabilisce il piano e gli altri eseguono i compiti.

Se invece ti occorre un approccio massimizzante, ma sai che per raggiungere l’obiettivo ti serve la compliance del gruppo, non potrai esimerti dal coinvolgerlo per trovare una soluzione.

Utilizza il modello Vroom-Yetton quando non sei sicuro di quale approccio decisionale adottare.

Evitare il modello Vroom-Yetton quando ci sono già dei vincoli su come prendere la decisione (ad esempio, l’organizzazione ha le proprie linee guida da seguire per il processo decisionale collaborativo).

Arrivare alla decisione migliore è solo una parte della sfida. Come suggeriscono i modelli intuitivi e basati sul riconoscimento, le tue decisioni diventano più precise con la pratica; quindi, non ti resta che allenarti!

QUANDO è più FACILE LASCIARE (l’azienda) che RIMANERE. 5 campanelli d’allarme e altrettante soluzioni…

Un collaboratore scontento che lascia l’azienda, per cercare condizioni più favorevoli altrove, ha un costo. Un costo che diventa un problema quando a seguirne l’esempio è più di uno solo.

Secondo l’ US Bureau of Labor Statistics, a settembre, 4,4 milioni dipendenti statunitensi (il 3% della forza lavoro) hanno lasciato il posto di lavoro. Ad agosto, il 65% dei dipendenti statunitensi era alla ricerca di un nuovo posto, il doppio rispetto a maggio. Con le dimissioni in aumento in Europa e in Asia, il fenomeno riguarda tutti. E non pensiate che sia tutta colpa della pandemia.

I problemi sono più complicati di così e sono iniziati molto prima dell’arrivo del Covid-19.

PERDITE INEVITABILI?

Paola, manager di grande capacità e dal roseo futuro, dopo che il suo responsabile viene promosso ad altro ruolo, si ritrova un nuovo capo che sebbene voglia (all’apparenza) supportarla allo stesso modo del predecessore, non ha però la stessa autorevolezza e capacità. Paola si ritrova così oberata di lavoro, con scarse proiezioni di carriera e una comunicazione via via più vacua e inconsistente, fatta di menzogne, cose non dette e una inutile perdita di tempo.

L’epilogo è segnato: stanca e insoddisfatta, Paola decide di guardarsi intorno e rapidamente riceve da un concorrente un’ottima proposta con tanto di promozione e un notevole aumento di stipendio.

Era una perdita che l’azienda poteva evitare?

La risposta è scontata. Nonostante ciò, errori di questo tipo si ripetono di continuo nelle organizzazioni. Spesso incapaci di comprendere i motivi per cui le persone se ne vanno. O più semplicemente poco interessate a sondarli e dimentiche di quanto sia costoso sostituire i talenti.

Secondo il Work Institute’s  2017 Retention Report si stimano costi fino al 33% dello stipendio annuale di un lavoratore, un terzo dello stipendio annuo. Senza contare il rischio reputazionale.

Sicuramente è molto più economico e lungimirante monitorare le esperienze dei collaboratori e investire in soluzioni.

Ecco cinque campanelli d’allarme a cui prestare attenzione e cinque soluzioni.

5 CAMPANELLI DI ALLARME

Perdita di fiducia.

Più volte ho visto i migliori talenti perdere fiducia nel management a causa di opportunità non concretizzate e a cui sono seguiti i silenzi più imbarazzanti. Indipendentemente dalle ragioni, la persona inizia a chiedersi quanto sia utile fidarsi. Ancor più quando  non c’è una persona di riferimento a cui rivolgersi per capire cosa non ha funzionato e negoziare eventuali azioni correttive, senza parlare delle prospettive relative al futuro. Senza mentori e riferimenti fidati, un dipendente deluso può trovare più facile rivolgersi ad aziende esterne che stanno esprimendo interesse piuttosto che restare e sperare in tempi migliori.

Comprendere i motivi per cui le persone se ne vanno è il primo passo per impedire agli altri di seguirli. Sostituire il talento è costoso se si considerano i costi di reclutamento, formazione e la perdita di produttività.

 

Percorsi di carriera poco chiari. 

L’incertezza genera domande.

Quando le persone non riescono a vedere cosa verrà dopo è inevitabile che inizino a dubitare delle scelte fatte. Non sapere quale tipo di esperienze sono necessarie, cosa serve per avanzare, o come colmare il gap (a parte chiedere al proprio capo), i collaboratori fanno fatica a costruire un piano a lungo termine. E iniziano a chiedersi se sono nel posto giusto. Il richiamo di un’altra azienda o cultura diventa più difficile da ignorare.

 

Squilibrio tra lavoro e vita privata. 

Quando i dipendenti sentono che le loro ambizioni personali sono troppo difficili da raggiungere, iniziano a pensare di andarsene. “Non mi dispiace fare sacrifici, ma i compromessi stanno producendo i benefici che mi aspettavo?” Quando questa domanda emerge, spesso le persone sono già con un piede sulla porta.

 

Mancanza di cura manageriale. 

Il management spesso mostra grande attenzione per le prestazioni e poca per le persone che forniscono i risultati. Sentirsi trascurati è mortale per la motivazione e distruttivo per le prestazioni a lungo termine.  Raramente i responsabili si interessano alla vita personale dei team. Troppi pochi manager mostrano genuina comprensione e apprezzamento per ciò che è servito per ottenere risultati importanti. Il risultato? Le persone sentono che tutto ciò che conta è la loro performance.

 

Comportamenti autolesionistici. 

Ognuno di noi ha abitudini e preferenze nel modo in cui lavora e coopera con gli altri. Alcune di queste sono funzionali, altre possono creare muri e barriere e finiscono con l’etichettarci, senza contare che sono difficili da correggere.

Il feedback è essenziale per creare un team di lavoro produttivo e sano. Ad esempio, i dipendenti più giovani hanno spesso bisogno di trovare colleghi che li aiutino su progetti complessi. E poiché tutti sono sempre piuttosto occupati, la modalità predefinita è quella di spingere gli junior ad arrangiarsi da soli e sviluppare comportamenti competitivi, talvolta fino all’eccesso. Se questi atteggiamenti non vengono corretti, e il leader non interviene, è più facile per chi non si ritrova in quello stile, andarsene che cercare di adattarsi. E al tempo stesso quel leader tenderà ad attrarre solo un certo tipo di collaboratori poco inclini alla collaborazione e allo spirito di gruppo. Con tutte le conseguenze che conosciamo.

 

5 SOLUZIONI

Monitora i comportamenti. 

Organizza riunioni periodiche per valutare come si sentono le persone. Incoraggia i manager a condividere di più aspetti della loro vita personale con il team e a mostrare interesse per la vita degli altri. E presta particolare attenzione quando ti riorganizzi o quando arriva un nuovo responsabile.

 

Parla di opzioni di carriera. 

Crea momenti in cui le persone possano discutere della loro carriera, dei loro fallimenti e dei loro successi e possano scambiarsi esperienze. È utile condividere lo stato dell’arte di progetti, programmi di formazione, empowerment, ecc. Infine, rendi le promozioni e i passaggi di carriera più trasparenti, compresi i processi, i criteri e le tempistiche.

 

Insisti sui piani di sviluppo per ogni membro del team. 

Aiuta le persone a fornire feedback utili, a creare piani di sviluppo misurabili e che facciano la differenza. Incoraggia tutti a parlare di ciò su cui stanno lavorando in modo che lo sviluppo continuo diventi una norma. Oltre ai percorsi di promozione, investi sullo sviluppo e sulla crescita.

 

Parla di esempi reali di resilienza. 

Poiché il benessere è nella mente dei dipendenti, è fondamentale che i manager controllino come stanno andando i team e agiscano in modo appropriato. Istruisci le persone su come dire no in modi che non danneggeranno la loro reputazione. Prendi, ad esempio, in considerazione la possibilità di vietare le e-mail al di fuori dell’orario di lavoro, come è stato adottato in Portogallo, o quanto meno di stabilire delle priorità. Se hai iniziato a limitare le ore per l’invio di e-mail o a impostare orari in cui non è possibile tenere riunioni, assicurati che i tuoi manager e i loro collaboratori seguano tali direttive.

 

Tieni d’occhio i talenti chiave. 

Non aspettare che qualcosa vada storto per avviare gruppi di confronto, perché a quel punto sarà troppo tardi, qualcuno se ne sarà già andato o la fiducia che nutre per te o l’azienda sarà già stata messa in discussione.

Se il management di Paola avesse eseguito solo alcuni di questi passaggi, molto probabilmente lei sarebbe ancora in azienda. Un po’ più di apprezzamento per il lavoro che stava facendo e i risultati che stava producendo, maggior confronto e feedback avrebbero fatto un’enorme differenza per lei.

Nel migliore dei casi, trattenere le persone è una sfida. Oggi è fondamentale che le aziende facciano il possibile per rimanere attraenti per le persone che hanno già reclutato e formato. È essenziale concentrarsi su come i manager si relazionano con i team e su come l’organizzazione crea piani di carriera e pratiche di sviluppo. Anche se, alla fine, fondamentale è considerare le persone come individui complessi. Aiutare le persone a gestire gli inevitabili alti e bassi della carriera e a destreggiarsi tra le loro vite e le ambizioni personali con obiettivi chiari, misurabili e condivisi di lavoro li incoraggerà a rimanere. O almeno, non andarsene, alla prima occasione.

QUAL E’ LA MIGLIORE CULTURA ORGANIZZATIVA PER LA TUA AZIENDA? Per (eventualmente) cambiarla…

 

Quello della cultura organizzativa è un argomento affascinante. Approfondirlo ti permette di avere informazioni preziose per compiere con sicurezza i prossimi passi verso i tuoi obiettivi. Tuttavia, il termine in sé, può sembrare non così intuitivo.

COSA INTENDIAMO PER “CULTURA ORGANIZZATIVA”?

La cultura si apprende dall’ambiente ed è sempre un fenomeno condiviso e collettivo. Ed è composta da vari strati[1].

Sullo strato esterno, ci sono i simboli: cibo, loghi, colori o monumenti.

Il livello successivo è costituito dagli eroi: personaggi pubblici della vita reale, statisti, atleti o personaggi della cultura popolare, ecc

Sul terzo strato, più vicino al nucleo, i rituali: eventi ricorrenti che modellano la nostra mente inconscia. Esistono sia nella società (es. celebrazione di ricorrenze, mance nei ristoranti) sia nelle organizzazioni (es. riunioni, lunch meeting, ecc).

Al centro, ci sono i valori: trasmessi dall’ambiente in cui cresciamo, come il comportamento dei genitori o degli insegnanti che ci mostrano cosa è accettabile e cosa no.

I problemi con la cultura di solito non emergono quando tutto va bene: è quando ci sentiamo minacciati o a disagio che abbiamo la tendenza a tornare alle origini.

Poiché la cultura è un fenomeno di gruppo, la usiamo per analizzare il comportamento dei gruppi e fare una  valutazione  della probabilità che gruppi di persone agiscano in un certo modo. Una persona non rappresenta l’intera cultura, ma in un gruppo di persone di una cultura, è probabile che le persone agiscano in un modo appropriato per quella cultura.

Da un punto di vista aziendale questo fa della cultura un importante strumento di gestione , nei confronti di gruppi di persone. Anche se non puoi cambiare i valori delle persone, puoi apportare modifiche appropriate nelle pratiche della tua organizzazione per assicurarti di lavorare con quei valori culturali, piuttosto che contro di loro.

Per meglio comprendere quale cultura abita la nostra organizzazione si può ricorrere a due modelli:

  • Teoria delle dimensioni culturali di Hofstede
  • Modello di Schein

La teoria delle dimensioni culturali di Hofstede[2]:

Il modello di Geert Hofstede (professore di antropologia delle organizzazioni all’università di Maastricht), destruttura la cultura in sei dimensioni:

  • Indice di distanza dal potere. E’ il grado in cui le persone accettano e si aspettano che il potere sia distribuito inegualmente. Orwell lo spiegherebbe in questo modo: tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. Questa dimensione riguarda il fatto che tutti gli individui nelle diverse società non sono uguali. La dimensione esprime l’atteggiamento della cultura verso queste disuguaglianze. Il valore di questa dimensione è tanto più alta quanto più gli individui con meno potere di un’organizzazione accettano che questo sia distribuito in maniera diseguale.
  • Collettivismo vs individualismo. Questa dimensione cerca di determinare quanto si è focalizzati su se stessi o sugli altri, è il grado di interdipendenza che una società mantiene tra i suoi membri.
  • Evitare l’incertezza. Misura la tolleranza per l’ambiguità e l’incertezza. Hofstede si chiede: Dovremmo provare a controllare il futuro o semplicemente lasciare che accada? Questa dimensione rappresenta “quanto” una società riconosca il “limite” che il futuro non può essere conosciuto. Il modo in cui si affronta ambiguità e incertezza è legato alla cultura di origine e può generare più o meno ansia. Un punteggio alto vuol dire che la società tende a evitare situazioni di incertezza e ambiguità.
  • Femminilità contro mascolinità. Un punteggio più alto (maschile) di questa dimensione indica che la società avrà come driver principale la competizione e l’orientamento al successo. Un punteggio basso (femminile) significa che i valori dominanti sono la cura del prossimo e la qualità della vita. Una società femminile è quella in cui la qualità della vita viene prima della ricerca del successo.
  • Breve termine vs lungo termine. Come le società affrontano le sfide del presente mantenendo il loro legame con le tradizioni e il passato. Società con punteggio basso su questa dimensione tendono a mantenere le tradizioni.
  • Restrizione vs indulgenza. Misura quanto le persone cercano di controllare i loro desideri e impulsi. È legato al tipo di educazione ricevuta. E’ indulgente una società con un controllo più blando, restrittiva laddove abbiamo un forte controllo.

La teoria delle dimensioni culturali di Hofstede può essere estremamente utile anche per comprendere i diversi stili di comunicazione, culture, comportamenti e atteggiamenti.

 

Edgar Schein e la cultura organizzativa

Edgard Schein, ex professore alla MIT Sloan School of Management, ha ipotizzato un modello suddiviso in 3 parti.

  • Artefatti. E’ il primo livello, quello fisico. L’organizzazione si esprime anche attraverso l’arredo, la tecnologia, l’utilizzo degli spazi. Un open space e un ufficio organizzato in cubicoli o ancora un ufficio organizzato in stanze con porte chiuse, un ambiente completamente spoglio e uno curato e ricco di verde… Sono ben evidenti gli stili di approccio dell’organizzazione. Stessa cosa si ribalta sul ruolo dei singoli e dell’interazione tra funzioni.
  • Valori espliciti. Non c’è niente di più immediato, quando si valuta un’organizzazione, della pagina “Chi siamo” sul sito internet.
  • Assunti o presupposti – Secondo Schein esiste un livello più profondo di conoscenza della cultura organizzativa, che passa attraverso il non detto: le leggi che non hanno bisogno di essere espresse per influenzare l’organizzazione. Gli assunti di base sono le norme che regolano l’azione dei membri dell’organizzazione e di cui gli stessi membri sono spesso inconsapevoli, tanto sono radicate. Un livello che appare agli occhi dei soli analisti più esperti, ma che è in grado di rivelare la vera anima del modello organizzativo.

 

COME SI CREA UNA BUONA CULTURA DI SQUADRA?

  • Diventa consapevole della cultura

Inizia a notare le sue caratteristiche. Presta attenzione ai valori condivisi, al modo in cui le persone si esprimono e alle storie che raccontano sui loro successi e fallimenti.

  • Valuta la tua cultura attuale

Inizia creando tre elenchi:

  1. Cosa dovrebbe rimanere? Annota gli aspetti della cultura della tua organizzazione che ti piacciono e che vuoi preservare
  2. Cosa dovrebbe andare? Annota gli aspetti della tua cultura che devono essere modificati se vuoi andare avanti.
  3. Che cosa manca? Annota gli aspetti della cultura che sembrano mancare o deboli.
  • Immagina una nuova cultura

Questa è la parte divertente. Piuttosto che limitarti a lamentarti di ciò che è, inizia a immaginare cosa potrebbe essere. Come sarebbe la cultura ideale? Scrivilo nel modo più dettagliato possibile.

Piuttosto che limitarti a lamentarti di ciò che è, inizia a immaginare cosa potrebbe essere.

  • Condividi la visione con tutti

La cultura non cambierà a meno che tu non proponga una visione per qualcosa di nuovo. Devi articolare in un modo che sia avvincente e specifico. E non puoi farlo solo una volta. Inizialmente, l’unica visione dell’esistenza è nelle tue parole. Devi continuare a parlarlo finché non mette radici e comincia a crescere.

  • Ottieni l’allineamento dal tuo team di leadership

Sto parlando di più di un accordo. Hai bisogno di allineamento. Questo è qualcosa di completamente diverso. Vuoi una squadra che acquisti la visione, capisca cosa è in gioco e sia disposta a prendere una posizione per realizzarla. Consideralo un complotto. Non in senso negativo, ma in senso positivo. Tu e il tuo team state cospirando insieme per apportare un cambiamento positivo che trasformerà la tua organizzazione.

E infine…

  • Agisci sulle persone

Intuitivamente, sembra l’approccio più naturale: se la cultura è associata al modo di pensare delle persone, per cambiarla è necessario agire direttamente sulle persone. Eppure cambiare direttamente il modo di pensare delle persone è una missione impossibile. Ciò che va cambiato è il modo di agire delle persone

Le persone non oppongono resistenza al cambiamento, ma a essere cambiate. Pertanto guardano con sospetto a ogni tentativo di cambiare il loro modo di pensare, in particolare quando il cambiamento sembra assumere un carattere manipolativo o viene interpretato come una minaccia alla propria persona o all’organizzazione.

  • Agisci sul contesto

La logica in base alla quale per ottenere un cambiamento della cultura è preferibile agire sul contesto parte dall’assunto che le persone sono positive e gli eventuali comportamenti negativi sono determinati da pressioni del contesto stesso o da assunti errati, della cui correttezza però le persone sono convinte. Pertanto, di fronte a un comportamento negativo, è necessario separare nettamente il giudizio sul comportamento, dal giudizio sulla persona che lo ha adottato.

Tale approccio fa leva su due strumenti chiave del change management: i nudge e i feedback. Anziché agire direttamente sulla cultura al fine di produrre un cambiamento nel contesto, risulta più efficace agire sul contesto, introducendo nuove regole, procedure e meccanismi operativi, in grado di favorire un progressivo cambiamento nel modo di pensare e di agire delle persone. Questo richiede che i leader progettino sistemi nei quali appaia facile e conveniente per le persone assumere decisioni corrette, delle quali possono beneficiare sia loro che l’organizzazione.

 

Fonti

[1] https://hi.hofstede-insights.com/organisational-culture

[2] Hofstede G., Hosfede G.J., Minkov M., Culture e organizzazioni, Franco Angeli, 2014

Schein, E.H. (1999), “Empowerment, coercive persuasion and organizational learning: do they connect?”, The Learning Organization, Vol. 6 No. 4, pp. 163-172.

Schein E.H., (2018), Cultura d’azienda e leadership, Raffaello Cortina ed.

https://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.475.3285&rep=rep1&type=pdf

MENO SI’, PIU’ NO! …PER MASSIMIZZARE IL SUCCESSO

Alcuni, io sono fra questi, hanno la tendenza a dire sempre sì. Consci che benchè sul momento sembri la decisione più facile, non lo sarà, nel tempo.

Il rischio è di essere impegnati ma non produttivi e scambiare l’iperattività per produttività.

Dire no nei momenti giusti, aiuta a concentrare l’attenzione e gli sforzi sulle cose realmente importanti e massimizzare il successo.

Un integralista del no è il consulente di gestione e redattore di HBR Greg McKeown. Nel best seller Essentialism: The Disciplined Pursuit of Less (Dritto al sodo. Come scegliere ciò che conta e vivere felici), espone una metodologia utile allo scopo e che è possibile concentrare in tre punti:

  • Meno è meglio;
  • Poche sono le cose veramente essenziali nella vita;
  • Creare una routine è importante per concentrarsi solo su ciò che è essenziale.

Detta così suona semplice. In parte lo è ma, per far propria questa metodologia, occorre essere aperti al cambiamento. Non a caso è un ottimo esercizio di Change Management.

Per diventare essenziali, secondo Greg, occorre sostituire i falsi presupposti:  “Ho bisogno di farlo”; “Questo è tutto importante” e “Posso fare entrambe le cose”, con:

  1. “Scelgo di fare”;
  2. “Solo poche cose contano davvero”;
  3. “Posso fare qualsiasi cosa, ma non posso fare tutto.”

Alla base del successo di tale filosofia, c’è la necessità di riconoscere di avere una scelta. Se lo dimentichiamo, cadiamo facili prede delle scelte altrui.

Un essenzialista è colui che apprezza il potere di scelta.

Molte persone non riescono a performare poiché credono che tutto sia importante. Quindi è importante investire del tempo per valutare le diverse opzioni. Con questa valutazione, un essenzialista è in grado di separare ciò che è vitale (di solito poche cose) da ciò che è banale. Spesso l’errore deriva dal fatto che confondiamo iperattività con produttività.

Inconsciamente associamo più lavoro a più risultati. Crediamo che più ore impieghiamo, migliore sarà la nostra produzione. Questo atteggiamento è intrinsecamente imperfetto. Cercando di fare il più possibile, non ottimizziamo i nostri sforzi.

Prendiamo l’esempio della lettura.

Sei libri contengono più conoscenza di uno. Di conseguenza, un approccio iperattivo sarebbe quello di leggerli tutti e sei il più rapidamente possibile. In questo modo, saremo sicuri di assorbire tutta la saggezza e ottenere più valore dalla nostra attività di lettura. Tuttavia, cercando di leggere i sei libri in un breve periodo, non abbiamo l’attenzione alla lettura necessaria per digerire le lezioni dei libri. Leggere uno dei sei è la soluzione essenzialista. Prendendo il tempo necessario per leggere correttamente quel libro, consentiremo al nostro cervello di metabolizzare ciò che serve e usarlo al meglio. Nel tempo, trarremo maggiori benefici da aver letto correttamente un unico libro che aver sfogliato tanti libri: una perfetta manifestazione della regola di Pareto

Trade-off

Parliamo di compromesso quando dobbiamo operare una scelta tra due cose che desideriamo. Di solito, il nostro desiderio è fare entrambe le cose, tenere entrambe le opzioni. Raramente è una buona decisione. In questa situazione, un essenzialista non si chiede come fare entrambe le cose, ma decide quale può coltivare di più. E meglio. Con questa riflessione, è in grado di giudicare ciò che gli darà la maggiore opportunità e concentrarsi su quello, cioè concentrarsi solo sull’essenziale.

Regola del 90%

Il funzionamento è semplice:  va valutata ogni opzione con un punteggio fra 0 e 100. Quelle sotto 90, sono da eliminare. In questo modo, si evita di rimanere bloccati con le opzioni medie.

  1. Annota su un foglio quale opportunità ti viene offerta (ad esempio, tenere un discorso a un evento);
  2. Di seguito, decidi 3 criteri in base ai quali deve essere approvata l’opportunità per iniziare a prenderla in considerazione (Es .: pubblico di oltre mille persone; spese di trasporto pagate, possibilità di vendere il proprio libro);
  3. Infine, scrivi i criteri ideali per l’opportunità di essere approvato. (Es. 5000 persone parteciperanno alla conferenza e riceverai un bonus).

Ottimale è accettare solo un’opportunità, quella che soddisfatta tutti i criteri iniziali e almeno due ideali. In questo modo, puoi separare quali sono le opportunità che porteranno grandi benefici e sono essenziali, da tutte le altre.

“Applicare criteri più severi alle grandi decisioni consente di attingere meglio al sofisticato motore di ricerca del nostro cervello. Pensala come la differenza tra la ricerca su Google di “buon ristorante a New York City” e “la migliore fetta di pizza nel centro di Brooklyn”, spiega l’autore.

Anche in questo caso per prendere la corretta decisione, occorre porsi e porre domande pertinenti.

Modello di proprietà e budget a base zero 

L’approccio essenzialista di McKeown funziona bene nel contesto del minimalismo grazie al suo modello di proprietà e budget a base zero.

Il concetto è semplice.

  • Se non possedessi già un oggetto, lo compreresti comunque?
  • Se non avessi già investito denaro ed energie in un progetto, continueresti comunque?
  • Se non avessi già trascorso del tempo in una relazione, riavvieresti la stessa relazione oggi?
  • Questo modello a base zero ci consente di fare un passo indietro e analizzare con chiarezza le sfide della vita.
  • Se vuoi spendere in modo più razionale, chiediti se ti libereresti di un articolo se non lo avessi già pagato.

Applicando criteri di consumo a base zero, impari a stabilire regole di acquisto.

Stabilisci confini chiari nella tua vita 

L’essenzialismo va di pari passo con confini ben definiti. Un essenzialista non è un egoista o un individualista, ma i suoi confini sono chiari.  Che sia al lavoro, nella vita sociale o nel tempo libero, dire di no non è una debolezza. È una parte cruciale per liberarti dalle cose che non ti interessano. C’è sempre quel collega che mette tutto sulla tua scrivania e si aspetta che tu sia disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Se non fissi mai dei limiti e dici sempre , agirai secondo le priorità di qualcun altro, non le tue. E credendo (erroneamente) che questo verrà a tuo vantaggio, che accumuli crediti e via dicendo. Purtroppo le persone non faranno altro che approfittarne e arrabbiarsi per quell’unica volta che non hai potuto far altro che dire no.

L’approccio di McKeown consiste nello stabilire in anticipo dei confini chiari per eliminare la necessità di un no diretto, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Predefinendo le priorità e i limiti sul lavoro e nella vita personale, il tuo approccio essenzialista sarà evidente ed eviterai i conflitti quando i tuoi confini cambiano nel tempo.

Fai meno cose meglio

Prendi come esempio la tua vita professionale.

  • A quanti progetti stai lavorando in questo momento?
  •  Quante persone dipendono da te? 
  • Quanto ti impegni in ogni parte del tuo lavoro? 

Tutti possiamo trovare modi per fare meno cose meglio. Fare meno cose permette di comunicare meglio e potenziare se stessi e gli altri.

Se sei il leader, avrai più tempo per comunicare correttamente la tua strategia e questo, a sua volta, consentirà ad altre persone di assumersi maggiori responsabilità. Questa migliore comunicazione porterà anche a una maggiore responsabilità per il leader e i suoi collaboratori.

Infine, fare meno cose nella vita ti aiuterà a ottenere risultati migliori.  Poiché un approccio essenzialista garantisce uno sforzo unitario verso un obiettivo ben definito, i risultati saranno più soddisfacenti.

Trasliamo il tutto in un esempio sportivo.

Se stai cercando di allenarti per una maratona e un’esperienza di arrampicata allo stesso tempo, è probabile che non otterrai né l’una né l’altra. Farai progressi in entrambe le direzioni, ma mai abbastanza per raggiungere l’obiettivo finale. Almeno questo è ciò che succede alla maggior parte delle persone.