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COME SVILUPPARE la CAPACITA’ di DELEGA. Il mio APPROCCIO nel TROVARE SOLUZIONI

“Non è così che il lavoro andava fatto… “Mi costringete sempre ad intervenire… “Incompetenti e ingrati. Ecco quello che siete…

Aggirandomi per gli uffici, dialogando con le persone, ascoltando e osservando, ho raccolto i modelli comunicativi e comportamentali che abitavano un’interessante realtà italiana, dalle grandi potenzialità ma più impegnata a risolvere conflitti che a fare business. Più avvolta su se stessa che focalizzata all’obiettivo.

Il mio cliente è un imprenditore intelligente e capace, sconfortato e preoccupato della scarsa motivazione e collaborazione dei dipendenti, sottoposto a un carico di lavoro disumano perché costretto quotidianamente ad intervenire sulle inefficienze dei collaboratori. “Delego di continuo – si lamentava – ma poi sono continuamente costretto ad intervenire perché il lavoro non viene svolto in modo per me soddisfacente”.

Risultato: i collaboratori si sentivano dequalificati, demotivati, con un’autostima in crollo verticale e progetti e obiettivi a rischio boicottaggio, senza contare l’aumento di vertenze sindacali.

In casi come questo, spesso il capo è spinto dalla paura (non sempre consapevole) di non riuscire a mantenere l’azienda solida, di perdere credibilità, clienti, tutte cose conquistate in decenni di duro lavoro e sacrifici personali al limite dell’impossibile.

Per questo la credenza che si era costruito era pensare di non aver bisogno di nessuno per fare le cose, avendole sempre fatte da solo e bene…, anzi… “meglio degli altri”. Finendo di fatto in un loop, più si sostituiva ai collaboratori percepiti come lenti, incapaci, imprecisi e più questi diventavano sempre meno indipendenti ed efficienti.

Intervenire per evitare un inesorabile crollo della qualità e dell’immagine dell’azienda era fondamentale. La mia supervisione ha avuto come obiettivo portare l’imprenditore a sentire che il suo comportamento (che prevedeva di sostituirsi ai collaboratori), gli permetteva sì di mantenere gli alti standard prefissati proprio perché ci metteva del suo senza riserve, ma la sua costante e assidua solerzia nel sostituirsi agli altri, impediva loro di imparare, fare esperienza, costringendoli in una posizione di inferiorità e di delegittimazione. Tutte le volte che aiutava i collaboratori contribuiva a renderli meno affidabili e capaci.

L’imprenditore ha così potuto ampliare gli strumenti a disposizione (nello specifico la capacità di delega), sviluppare la flessibilità e considerare le situazioni da differenti punti di vista, fino a quel momento inesplorati, sostituendo una strategia e un comportamento non funzionali, con abilità più efficaci ed efficienti. Per se stesso e l’azienda.

SOLDI, PREMI E POLPETTE… NON SONO SPINTE GENTILI. RIFLESSIONI ESTIVE ANALIZZANDO SOLUZIONI POCO STRATEGICHE

Ci stanno provando in tutti i modi a convincere gli indecisi a vaccinarsi. Ma nonostante in tanti nominino le spinte gentili, soldi, premi e polpette hanno ben poco a che fare con i Nudge.

IN GIRO PER IL MONDO

In Serbia ogni cittadino che si vaccina riceve in cambio 25 euro. Negli Stati Uniti, Joe Biden ha chiesto agli Stati di offrire 100 dollari per ogni nuovo vaccinato, e rimborsare tutte le imprese che hanno concesso permessi retribuiti ai loro dipendenti per vaccinarsi.

Lo stato dell’Ohio ha offerto a ogni vaccinato la possibilità di partecipare a un’estrazione con in premio un milione di dollari. Il governatore della California ha lanciato la lotteria in denaro Vax for the Win, con un premio finale di un milione e mezzo a 10 fortunati nuovi vaccinati.

A Detroit sono stati regalati 50 dollari a chi portava una persona a farsi vaccinare e in West Virginia ogni vaccinato, ha ricevuto un buono risparmio da 100 dollari. A New York sono stati regalati biglietti per concerti, partite di basket, corse gratuite in metro e in treno per i pendolari. Nel New Jersey vengono regalate pinte di birra, nello stato di Washington spinelli.

In Russia, le autorità hanno distribuito cinque auto a settimana in un’estrazione a premi a cui ha partecipato solo chi poteva dimostrare di aver fatto almeno una dose di vaccino.

In Libano, Uber ha offerto due corse gratuite fino a 40.000 LBP (poco meno di 50 euro) ciascuna, per viaggiare da e verso i centri vaccinali.

In Romania, il governo ha consegnato ai nuovi vaccinati panini con salsiccia.

Ai londinesi, oltre a usufruire dei trasposti gratuiti per recarsi nelle sedi vaccinali, è stata data la possibilità di vincere biglietti per la finale degli Europei di calcio.

In Asia sono stati distribuiti premi in cibo. In Indonesia, una gallina viva, nelle Filippine sono state messe in palio mucche e riso.  Nella periferia di Pechino vengono regalate uova agli ultra sessantenni che hanno completato il ciclo vaccinale.

A Hong Kong, ci sono in palio lingotti d’oro, Rolex di diamanti, un buono spesa di centomila dollari e una casa da oltre un milione e quattrocentomila dollari.

In Grecia viene invece offerto un buono da 150 euro ai giovani fra i 18 e i 25 anni che si vaccina. A Praga per i dipendenti statali che si vaccinano ci sono due giorni di ferie retribuite in più.

C’E’ CHI PREMIA E CHI PUNISCE

C’è chi invece ha scelto punizioni anziché premi. A Giacarta ci sono multe fino a cinque milioni di rupie (300 euro) per le persone che non si immunizzano.  In alcune zone dell’India non si servono liquori a chi non dimostra di essere vaccinato.

Gli Emirati Arabi limitano le partecipazioni a eventi live, attività sportive artistiche e culturali. In Arabia Saudita non si può entrare nei centri commerciali, in Kazakistan niente bar, cinema e aeroporti. Nelle Filippine i cittadini possono optare tra: Il vaccino o il carcere[1].

Il Cremlino ha affermato che le persone non vaccinate potrebbero non accedere al posto di lavoro, non escludendo discriminazioni.

E L’ITALIA?

Anche da noi le proposte si differenziano.

Nel Lazio ci si può spostare gratuitamente con Uber che mette a disposizione due corse verso e da i centri vaccinali. Nel Messinese, la Coldiretti regala una bottiglia di Siccagno di Valledolmo (passata di pomodoro).

In Piemonte ci sono incentivi per i medici di base che riescono a convincere i propri utenti. Se il 90% di questi risulterà vaccinato entro il 15 settembre, riceveranno un compenso di 2 euro in più per assistito e di 1 euro e mezzo se la percentuale si fermerà tra l’87 e l’89,99%. La Ausl di Bologna riconoscerà un premio ai pediatri che convinceranno il 70% dei loro giovani pazienti a vaccinarsi.

UN PO’ PIU’ COMPLICATO DI COSI’…

Perfetto.

Anche no!

Distribuire soldi come se piovesse, non è un nudge (i nudge per essere tali non prevedono né incentivi economici né disincentivi). Come è già accaduto nel 2005, in Perù, quando si è voluto affrontare il problema delle diseguaglianze e frenare la povertà. E il governo ha lanciato i conditional cash transfer (cct), la versione nazionale degli Juntos: sussidi monetari condizionati che prevedevano pagamenti mensili di 100 soles in favore di genitori poveri, perlopiù madri. Per non perdere il sussidio, le donne dovevano assicurarsi che i figli frequentassero l’85% delle lezioni scolastiche in un anno e che si sottoponessero regolarmente a controlli medici e nutrizionali.

«In paesi come il Brasile, i cct sono stati importanti nell’accesso all’istruzione e nella conseguente riduzione delle disuguaglianze», spiegò la scelta Branko Milanovic, a lungo capo economista alla Banca mondiale[2]. Eppure i cct non sono la panacea, come dimostrano le voci critiche, tra cui quella del premio Nobel per l’economia Angus Deaton che ha evidenziato la loro incapacità di ridurre la povertà in via permanente[3]. Tuttavia questi programmi, complessivamente poco costosi per le finanze pubbliche (cifre tra lo 0,04 e lo 0,8% del Pil), continuano a essere molto popolari: nella sola America Latina si contano 129 milioni di beneficiari.

Al di là della loro presunta o reale efficacia, che lasciamo misurare agli economisti di mestiere, i cct sono incentivi economici e per questo ben lontani dalle politiche di nudging.

Un sussidio non può essere un nudge, come non lo è una multa e neppure una condanna alla prigione. Senza contare che gli incentivi economici distribuiti con questa leggerezza, sollevano un interrogativo etico e discriminatorio: i benestanti non saranno di certo spinti a vaccinarsi per soldi mentre gli svantaggiati subiranno una pressione non indifferente. Senza contare che nel medio – lungo termine diventano demotivanti. E quindi inefficaci.

Senza voler aprire una diatriba neuroetica, è impossibile non guardare ai dubbi che il denaro inevitabilmente solleva: l’incentivo economico non può che alimentare la cultura del sospetto. Non dimentichiamoci che è il bene comune e la protezione ai più fragili che dovrebbe spingere verso la vaccinazione.

Ecco perché più che gli incentivi, ci sono altre strategie a cui si potrebbe e dovrebbe ricorrere. La moral-suasion: incentrata su argomenti attrattivi, anzichè costrittivi e la spinta gentile, capace di rendere facili scelte complesse. Non obbligando, ma creando contesti che, senza togliere la libertà, rendono le decisioni più agevoli e funzionali.

CONTESTO

Non ovunque e non sempre è facile vaccinarsi. Spesso è più un percorso a ostacoli che una via di uscita: comunicazione confusa e contraddittoria, difficoltà a prenotarsi o impossibilità a scegliere quando farlo, o a spostare l’appuntamento, luoghi spesso scomodi o difficilmente raggiungibili se non si è automuniti, mancanza di chiare informazioni su possibili effetti collaterali e un’assistenza post vaccinazione latitante. Lo dico per esperienza diretta.

Senza contare che chi si occupa delle campagne di sensibilizzazione, poco o nulla sa di spinte gentili ed economia comportamentale. E nemmeno ci pensa a consultare gli esperti del settore.

Più che regalare bibite, biglietti della lotteria e qualche banconota, sarebbe più utile investire il denaro nel prelevare a domicilio persone con problemi di mobilità o affette da fragilità, predisporre équipe che portino la vaccinazione a domicilio, un’assistenza post vaccino quando necessaria, numeri verdi dove gli operatori rispondono in modo diretto e non costringano ad attese infinite senza nessuno che si faccia carico del problema.  O ancora, facilitare la vaccinazione di quei lavoratori saltuari e che hanno paura di perdere giorni di lavoro in caso di avventi avversi o problematiche post vaccino[4].

Insomma ci sono molti modi per usare il denaro. E a parità di budget, ricorrere ai Nudge (non come azione estemporanea ma come policy) porterebbe maggiori benefici rispetto ai compensi economici, mitigando o eliminando i sospetti e rafforzando la fiducia nel sistema sanitario pubblico.

FIDUCIA

La fiducia, ricordo, non si può comprare e gli incentivi possono alimentare dubbi sulle reali intenzioni delle istituzioni scientifiche. Un studio del 2020, condotto in 19 paesi utile a determinare i tassi di accettazione e i fattori che influenzano la propensione a vaccinarsi, ha mostrato come in realtà il 71,5% dei partecipanti sarebbe propenso al vaccino e il 48,1% ha riferito che accetterebbe la raccomandazione del datore di lavoro nel farlo. Le differenze nei tassi di accettazione variavano da quasi il 90% (in Cina) a meno del 55% (in Russia). Gli intervistati, a prescindere dalla nazionalità, che segnalano livelli più elevati di fiducia verso il proprio governo, hanno maggiori probabilità di ì vaccinarsi[5].

Tenendo conto di questi dati, gli incentivi difficilmente sono la soluzione. Se non per ridurre la procrastinazione, secondo gli studi dei premi Nobel per l’economia Duflo e Banerjee, e aumentare la percentuale dei vaccini dal 18 al 39%[6]. Un costo che è sicuramente giustificato.

Non c’è dunque una soluzione univoca. E ciò che realmente funzionerà lo si vedrà nel tempo. Intanto, non dimentichiamoci che i Nudge per quanto allettanti andrebbero applicati da chi li conosce per davvero. Non è una moda. E’ una strategia. Da Nobel. I soldi, e la letteratura scientifica lo dimostra, non sono così efficaci come ci piace pensare, benchè sia una soluzione sicuramente semplice e rapida…

FONTI

[1] https://www.reuters.com/world/asia-pacific/philippines-duterte-threatens-those-who-refuse-covid-19-vaccine-with-jail-2021-06-21/

[2] Fiszbein A., Schady N., et al., Conditional Cash Transfers reducing present and future poverty, The World Bank report, 2009.

[3] Deaton A., Instruments, Randomization, and Learning about Development, Journal of Economic Literature, Vol. 48, N. 2, June 2010, pp. 424-55.

[4] https://www.nytimes.com/2021/07/09/nyregion/free-doughnuts-arent-going-to-boost-vaccination-rates.html

[5] Lazarus, J.V., Ratzan, S.C., Palayew, A. et al. A global survey of potential acceptance of a COVID-19 vaccine. Nat Med 27, 225–228 (2021).

[6] https://www.nber.org/system/files/working_papers/w28726/w28726.pdf

TI ANNOI AL LAVORO? NON SEI IL SOLO!

Mi annoio facilmente. Da sempre. E questo mi porta a diversificare lavori, divertimenti e letture. E devo dire che funziona. Per la maggior parte delle volte.

Leggendo qua e là studi a riguardo ho scoperto che la noia è un problema che attanaglia molti più di quanto avrei mai pensato. Da un sondaggio condotto in America nel 2017 è emerso che è una condizione vissuta particolarmente sul luogo di lavoro. Alcuni leggendo questo avranno fatto un salto sulla sedia… Come è possibile annoiarsi al lavoro… di solito, per molte occupazioni almeno (e condivido totalmente), non c’è neppure tempo di respirare… altro che annoiarsi. Eppure anche i lavori più interessanti hanno sfaccettature di attività che inducono alla noia…  

Ebbene, dal sondaggio è emerso che le persone che sul luogo di lavoro si annoiano, tendono a scacciare questa condizione navigando in internet, mandano messaggi, mentre (fatto curioso) il 37% rimanente, guarda la TV sullo smartphone. Come una ex dipendente della società cinematografica di Robert De Niro Canal Productions che in quattro giorni ha guardato 55 episodi di “Friends”, tutti in orario di lavoro (se siete interessati a saperne di più: https://variety.com/2019/biz/news/robert-de-niros-company-files-6-million-suit-against-ex-employee-1203305958/?__twitter_impression=true).

E’ inoltre noto che la noia porta a bassa motivazione, errori inutili, mancanza di produttività e a sviluppare incidenti… in un negozio di biciclette del Regno Unito, alcuni lavoratori annoiati tentarono di scappare dalla monotonia cremando un topo.

Prima di dar fuoco a roditori morti per sentirsi vivi, vediamo cosa suggerisce la scienza. Un paper pubblicato su Current Directions in Psychological Science indica una soluzione virtuosa e controintuitiva al guardare film sul telefonino: cercare un modo per rendere il lavoro più interessante.

Sicuramente  molti di noi ci avevano già pensato, il problema è come questo sia possibile… aggiungo io!

PERCHE’ CI ANNOIAMO

Lo psicologo sociale dell’Università della Florida Erin Westgate, spiega che sono due le principali cause che portano ad annoiarci: “Ci annoiamo quando non siamo in grado di prestare attenzione o non riusciamo a trovare un significato in ciò che stiamo facendo”.

Potremmo avere problemi a prestare attenzione al nostro lavoro perché è troppo facile o troppo difficile, per dirla in altre parole. Potremmo annoiarci inserendo meccanicamente dati in un sistema, così come tentando di risolvere un problema matematico particolarmente difficile.

E potremmo annoiarci quando sentiamo che il nostro lavoro non è importante: o come lo chiama l’antropologo David Graeber bullship jobs, a indicare occupazioni soggettivamente insignificanti e insoddisfacenti. Quando abbiamo a che fare con questo tipo di noia, è facile sentirsi soli, tristi e disimpegnati come se fossimo in un film d’arte, ma senza l’estetica raffinata e la capacità di apparire cool.

TROVARE UNO SCOPO

Anche se il lavoro che si sta svolgendo è poco significativo, trovare uno scopo è una delle soluzioni più semplici e pratiche che la docente di management di Yale, Amy Wrzesniewski suggerisce. In un termine “job crafting.” Ad esempio, ha scoperto come gli inservienti ospedalieri che hanno compreso l’importanza del loro lavoro sono profondamente più soddisfatti di chi invece porta a termine i compiti meccanicamente. Potendo interagire con i pazienti hanno così anche la possibilità di farli stare meglio.

Un altro consiglio arriva dalla giornalista (ed ex avvocato) Ephrat Livni: considerare il lavoro come un gioco, trovando modi per apprezzare e valorizzare qualunque attività ci venga retribuita. Così come possiamo rendere più sfidante una attività particolarmente noiosa.

L’ANTIDODO ALLA NOIA

Il punto più importante del paper riguarda le diverse tipologie di attività che siamo portati a fare pur di allontanare la noia.

Ciò che la nostra mente ci induce a fare è quello di passare a qualcosa di più divertente, come scorrere Instagram, giocare sul telefono o guardare 55 episodi di Friends. Eppure, saltarellare da una attività piacevole all’altra non sembra essere un buon antidoto alla noia. Anzi un aggravante nel lungo termine.

I diversivi infatti sono un po’ come il cibo spazzatura, danno soddisfazione sull’immediato a scapito del benessere futuro.

In altre parole, quando scegliamo una nuova attività, dovremmo indirizzarci verso quella che richiede ai nostri cervelli di fare più lavoro, non meno. Ciò che consigliano i ricercatori è quello di guardare un documentario sull’Olocausto – certamente non divertente, ma probabilmente coinvolgente – piuttosto che immergersi in giochi quali Candy Crush.

Estendendo questa logica al contesto del lavoro, un professore che si annoia mentre scrive lettere di raccomandazione per gli studenti potrebbe fare una pausa leggendo dei documenti che parlano di nuove scoperte nel suo campo. Questo potrebbe rinvigorire il suo investimento nell’aiutare i nuovi talenti ad avere successo e cambiare il suo approccio nel redarre raccomandazioni.

Insomma sconfiggere la noia è quasi impossibile, però possiamo mitigarla e gestirla noi, anziché lasciare a lei l’ultima parola!