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QUAL E’ LA MIGLIORE CULTURA ORGANIZZATIVA PER LA TUA AZIENDA? Per (eventualmente) cambiarla…

 

Quello della cultura organizzativa è un argomento affascinante. Approfondirlo ti permette di avere informazioni preziose per compiere con sicurezza i prossimi passi verso i tuoi obiettivi. Tuttavia, il termine in sé, può sembrare non così intuitivo.

COSA INTENDIAMO PER “CULTURA ORGANIZZATIVA”?

La cultura si apprende dall’ambiente ed è sempre un fenomeno condiviso e collettivo. Ed è composta da vari strati[1].

Sullo strato esterno, ci sono i simboli: cibo, loghi, colori o monumenti.

Il livello successivo è costituito dagli eroi: personaggi pubblici della vita reale, statisti, atleti o personaggi della cultura popolare, ecc

Sul terzo strato, più vicino al nucleo, i rituali: eventi ricorrenti che modellano la nostra mente inconscia. Esistono sia nella società (es. celebrazione di ricorrenze, mance nei ristoranti) sia nelle organizzazioni (es. riunioni, lunch meeting, ecc).

Al centro, ci sono i valori: trasmessi dall’ambiente in cui cresciamo, come il comportamento dei genitori o degli insegnanti che ci mostrano cosa è accettabile e cosa no.

I problemi con la cultura di solito non emergono quando tutto va bene: è quando ci sentiamo minacciati o a disagio che abbiamo la tendenza a tornare alle origini.

Poiché la cultura è un fenomeno di gruppo, la usiamo per analizzare il comportamento dei gruppi e fare una  valutazione  della probabilità che gruppi di persone agiscano in un certo modo. Una persona non rappresenta l’intera cultura, ma in un gruppo di persone di una cultura, è probabile che le persone agiscano in un modo appropriato per quella cultura.

Da un punto di vista aziendale questo fa della cultura un importante strumento di gestione , nei confronti di gruppi di persone. Anche se non puoi cambiare i valori delle persone, puoi apportare modifiche appropriate nelle pratiche della tua organizzazione per assicurarti di lavorare con quei valori culturali, piuttosto che contro di loro.

Per meglio comprendere quale cultura abita la nostra organizzazione si può ricorrere a due modelli:

  • Teoria delle dimensioni culturali di Hofstede
  • Modello di Schein

La teoria delle dimensioni culturali di Hofstede[2]:

Il modello di Geert Hofstede (professore di antropologia delle organizzazioni all’università di Maastricht), destruttura la cultura in sei dimensioni:

  • Indice di distanza dal potere. E’ il grado in cui le persone accettano e si aspettano che il potere sia distribuito inegualmente. Orwell lo spiegherebbe in questo modo: tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. Questa dimensione riguarda il fatto che tutti gli individui nelle diverse società non sono uguali. La dimensione esprime l’atteggiamento della cultura verso queste disuguaglianze. Il valore di questa dimensione è tanto più alta quanto più gli individui con meno potere di un’organizzazione accettano che questo sia distribuito in maniera diseguale.
  • Collettivismo vs individualismo. Questa dimensione cerca di determinare quanto si è focalizzati su se stessi o sugli altri, è il grado di interdipendenza che una società mantiene tra i suoi membri.
  • Evitare l’incertezza. Misura la tolleranza per l’ambiguità e l’incertezza. Hofstede si chiede: Dovremmo provare a controllare il futuro o semplicemente lasciare che accada? Questa dimensione rappresenta “quanto” una società riconosca il “limite” che il futuro non può essere conosciuto. Il modo in cui si affronta ambiguità e incertezza è legato alla cultura di origine e può generare più o meno ansia. Un punteggio alto vuol dire che la società tende a evitare situazioni di incertezza e ambiguità.
  • Femminilità contro mascolinità. Un punteggio più alto (maschile) di questa dimensione indica che la società avrà come driver principale la competizione e l’orientamento al successo. Un punteggio basso (femminile) significa che i valori dominanti sono la cura del prossimo e la qualità della vita. Una società femminile è quella in cui la qualità della vita viene prima della ricerca del successo.
  • Breve termine vs lungo termine. Come le società affrontano le sfide del presente mantenendo il loro legame con le tradizioni e il passato. Società con punteggio basso su questa dimensione tendono a mantenere le tradizioni.
  • Restrizione vs indulgenza. Misura quanto le persone cercano di controllare i loro desideri e impulsi. È legato al tipo di educazione ricevuta. E’ indulgente una società con un controllo più blando, restrittiva laddove abbiamo un forte controllo.

La teoria delle dimensioni culturali di Hofstede può essere estremamente utile anche per comprendere i diversi stili di comunicazione, culture, comportamenti e atteggiamenti.

 

Edgar Schein e la cultura organizzativa

Edgard Schein, ex professore alla MIT Sloan School of Management, ha ipotizzato un modello suddiviso in 3 parti.

  • Artefatti. E’ il primo livello, quello fisico. L’organizzazione si esprime anche attraverso l’arredo, la tecnologia, l’utilizzo degli spazi. Un open space e un ufficio organizzato in cubicoli o ancora un ufficio organizzato in stanze con porte chiuse, un ambiente completamente spoglio e uno curato e ricco di verde… Sono ben evidenti gli stili di approccio dell’organizzazione. Stessa cosa si ribalta sul ruolo dei singoli e dell’interazione tra funzioni.
  • Valori espliciti. Non c’è niente di più immediato, quando si valuta un’organizzazione, della pagina “Chi siamo” sul sito internet.
  • Assunti o presupposti – Secondo Schein esiste un livello più profondo di conoscenza della cultura organizzativa, che passa attraverso il non detto: le leggi che non hanno bisogno di essere espresse per influenzare l’organizzazione. Gli assunti di base sono le norme che regolano l’azione dei membri dell’organizzazione e di cui gli stessi membri sono spesso inconsapevoli, tanto sono radicate. Un livello che appare agli occhi dei soli analisti più esperti, ma che è in grado di rivelare la vera anima del modello organizzativo.

 

COME SI CREA UNA BUONA CULTURA DI SQUADRA?

  • Diventa consapevole della cultura

Inizia a notare le sue caratteristiche. Presta attenzione ai valori condivisi, al modo in cui le persone si esprimono e alle storie che raccontano sui loro successi e fallimenti.

  • Valuta la tua cultura attuale

Inizia creando tre elenchi:

  1. Cosa dovrebbe rimanere? Annota gli aspetti della cultura della tua organizzazione che ti piacciono e che vuoi preservare
  2. Cosa dovrebbe andare? Annota gli aspetti della tua cultura che devono essere modificati se vuoi andare avanti.
  3. Che cosa manca? Annota gli aspetti della cultura che sembrano mancare o deboli.
  • Immagina una nuova cultura

Questa è la parte divertente. Piuttosto che limitarti a lamentarti di ciò che è, inizia a immaginare cosa potrebbe essere. Come sarebbe la cultura ideale? Scrivilo nel modo più dettagliato possibile.

Piuttosto che limitarti a lamentarti di ciò che è, inizia a immaginare cosa potrebbe essere.

  • Condividi la visione con tutti

La cultura non cambierà a meno che tu non proponga una visione per qualcosa di nuovo. Devi articolare in un modo che sia avvincente e specifico. E non puoi farlo solo una volta. Inizialmente, l’unica visione dell’esistenza è nelle tue parole. Devi continuare a parlarlo finché non mette radici e comincia a crescere.

  • Ottieni l’allineamento dal tuo team di leadership

Sto parlando di più di un accordo. Hai bisogno di allineamento. Questo è qualcosa di completamente diverso. Vuoi una squadra che acquisti la visione, capisca cosa è in gioco e sia disposta a prendere una posizione per realizzarla. Consideralo un complotto. Non in senso negativo, ma in senso positivo. Tu e il tuo team state cospirando insieme per apportare un cambiamento positivo che trasformerà la tua organizzazione.

E infine…

  • Agisci sulle persone

Intuitivamente, sembra l’approccio più naturale: se la cultura è associata al modo di pensare delle persone, per cambiarla è necessario agire direttamente sulle persone. Eppure cambiare direttamente il modo di pensare delle persone è una missione impossibile. Ciò che va cambiato è il modo di agire delle persone

Le persone non oppongono resistenza al cambiamento, ma a essere cambiate. Pertanto guardano con sospetto a ogni tentativo di cambiare il loro modo di pensare, in particolare quando il cambiamento sembra assumere un carattere manipolativo o viene interpretato come una minaccia alla propria persona o all’organizzazione.

  • Agisci sul contesto

La logica in base alla quale per ottenere un cambiamento della cultura è preferibile agire sul contesto parte dall’assunto che le persone sono positive e gli eventuali comportamenti negativi sono determinati da pressioni del contesto stesso o da assunti errati, della cui correttezza però le persone sono convinte. Pertanto, di fronte a un comportamento negativo, è necessario separare nettamente il giudizio sul comportamento, dal giudizio sulla persona che lo ha adottato.

Tale approccio fa leva su due strumenti chiave del change management: i nudge e i feedback. Anziché agire direttamente sulla cultura al fine di produrre un cambiamento nel contesto, risulta più efficace agire sul contesto, introducendo nuove regole, procedure e meccanismi operativi, in grado di favorire un progressivo cambiamento nel modo di pensare e di agire delle persone. Questo richiede che i leader progettino sistemi nei quali appaia facile e conveniente per le persone assumere decisioni corrette, delle quali possono beneficiare sia loro che l’organizzazione.

 

Fonti

[1] https://hi.hofstede-insights.com/organisational-culture

[2] Hofstede G., Hosfede G.J., Minkov M., Culture e organizzazioni, Franco Angeli, 2014

Schein, E.H. (1999), “Empowerment, coercive persuasion and organizational learning: do they connect?”, The Learning Organization, Vol. 6 No. 4, pp. 163-172.

Schein E.H., (2018), Cultura d’azienda e leadership, Raffaello Cortina ed.

https://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.475.3285&rep=rep1&type=pdf

LE PERSONE NON RESISTONO AL CAMBIAMENTO. RESISTONO A ESSERE CAMBIATE

Uno degli errori più ricorrenti quando si applicano interventi di change management è concentrarsi unicamente sul cambiamento che si vuole ottenere trascurando l’impatto che questo ha sulle persone che lo subiranno.

Se si è troppo concentrati sul piano di azione e poco sulle persone, ci sono buone possibilità che il progetto fallisca.

Uno dei modelli più utili allo scopo è quello di William Bridges.

 

Che cos’è il modello di transizione Bridges?

 Creato dal consulente organizzativo William Bridges, questo modello ha la peculiarità di fare una distinzione tra cambiamento e transizione.

Bridges ha descritto il cambiamento come “un evento esterno che si verifica“. Ad esempio, l’adozione di un nuovo software o il lancio di un nuovo prodotto.

Ciò che le persone attraversano durante questo cambiamento esterno è una “transizione” interna. Il modello di transizione di Bridges si concentra sul processo psicologico che vivono le persone durante il cambiamento e consta di tre fasi.

Se gli step di transizione non vengono affrontati e gestiti, la resistenza al cambiamento può far deragliare il progetto o non produrre il risultato finale desiderato.

Un aspetto chiave è dato dal fatto che l’obiettivo di un progetto di change management di successo non dovrebbe essere il risultato del cambiamento, ma la fine del vecchio processo che le persone devono affrontare all’inizio di quel cambiamento .

Pur essendo simile al modello Lewin, il modello di Bridges è più incentrato sull’individuo e sulle tante emozioni (sia negative sia positive) che possono accompagnare un cambiamento organizzativo.

L’obiettivo è che coloro che facilitano il cambiamento comprendano e affrontino eventuali emozioni negative in modo che possano rimuovere le barriere al cambiamento.

Le fasi della transizione

 

  • Ending: gestire la transizione durante il cambiamento significa capire che inizia con una fine o una perdita. Le persone stanno dicendo addio al modo in cui le cose venivano fatte, il che può comportare sentimenti di rabbia, rifiuto, confusione e frustrazione.
  • Zona neutrale: subentra nel momento in cui le persone, superata la fase di rifiuto, elaborano le nuove informazioni. Questo è un momento di flusso e può includere sentimenti di eccitazione, ansia, resistenza, creatività e innovazione.
  • Nuovi inizi: significa cementare nuovi modi di fare le cose e incorporarli come nuova norma. I sentimenti in questa fase possono comportare sollievo, confusione, incertezza, impegno ed esplorazione.

 

Come si usa il modello di transizione di Bridges per facilitare il cambiamento?

Una volta che sai cosa stanno attraversando le persone, come puoi utilizzare il modello Bridges per facilitare il cambiamento?

COMUNICAZIONE

E’ importante che le persone sappiano quale ruolo svolgono nel cambiamento, in modo che si sentano incluse e apprezzate. Comunicaglielo.

FEEDBACK

Dai alle persone la possibilità di esprimere ciò che sentono riguardo al cambiamento. Entrare in contatto con gli stakeholder, durante il progetto di cambiamento, può aiutarti a essere consapevole in quale fase del modello Bridges si trovano. Ciò ti consentirà di affrontare i sentimenti negativi che potrebbero impedir loro di abbracciare il cambiamento.

MONITORAGGIO

Segui le persone mentre attraversano le tre fasi del modello Bridges in modo da sapere quali piani d’azione potrebbero dover essere messi in atto per gestire la resistenza al cambiamento.

 

E ricorda, le persone non resistono al cambiamento. Resistono a essere cambiate.

SOLDI, PREMI E POLPETTE… NON SONO SPINTE GENTILI. RIFLESSIONI ESTIVE ANALIZZANDO SOLUZIONI POCO STRATEGICHE

Ci stanno provando in tutti i modi a convincere gli indecisi a vaccinarsi. Ma nonostante in tanti nominino le spinte gentili, soldi, premi e polpette hanno ben poco a che fare con i Nudge.

IN GIRO PER IL MONDO

In Serbia ogni cittadino che si vaccina riceve in cambio 25 euro. Negli Stati Uniti, Joe Biden ha chiesto agli Stati di offrire 100 dollari per ogni nuovo vaccinato, e rimborsare tutte le imprese che hanno concesso permessi retribuiti ai loro dipendenti per vaccinarsi.

Lo stato dell’Ohio ha offerto a ogni vaccinato la possibilità di partecipare a un’estrazione con in premio un milione di dollari. Il governatore della California ha lanciato la lotteria in denaro Vax for the Win, con un premio finale di un milione e mezzo a 10 fortunati nuovi vaccinati.

A Detroit sono stati regalati 50 dollari a chi portava una persona a farsi vaccinare e in West Virginia ogni vaccinato, ha ricevuto un buono risparmio da 100 dollari. A New York sono stati regalati biglietti per concerti, partite di basket, corse gratuite in metro e in treno per i pendolari. Nel New Jersey vengono regalate pinte di birra, nello stato di Washington spinelli.

In Russia, le autorità hanno distribuito cinque auto a settimana in un’estrazione a premi a cui ha partecipato solo chi poteva dimostrare di aver fatto almeno una dose di vaccino.

In Libano, Uber ha offerto due corse gratuite fino a 40.000 LBP (poco meno di 50 euro) ciascuna, per viaggiare da e verso i centri vaccinali.

In Romania, il governo ha consegnato ai nuovi vaccinati panini con salsiccia.

Ai londinesi, oltre a usufruire dei trasposti gratuiti per recarsi nelle sedi vaccinali, è stata data la possibilità di vincere biglietti per la finale degli Europei di calcio.

In Asia sono stati distribuiti premi in cibo. In Indonesia, una gallina viva, nelle Filippine sono state messe in palio mucche e riso.  Nella periferia di Pechino vengono regalate uova agli ultra sessantenni che hanno completato il ciclo vaccinale.

A Hong Kong, ci sono in palio lingotti d’oro, Rolex di diamanti, un buono spesa di centomila dollari e una casa da oltre un milione e quattrocentomila dollari.

In Grecia viene invece offerto un buono da 150 euro ai giovani fra i 18 e i 25 anni che si vaccina. A Praga per i dipendenti statali che si vaccinano ci sono due giorni di ferie retribuite in più.

C’E’ CHI PREMIA E CHI PUNISCE

C’è chi invece ha scelto punizioni anziché premi. A Giacarta ci sono multe fino a cinque milioni di rupie (300 euro) per le persone che non si immunizzano.  In alcune zone dell’India non si servono liquori a chi non dimostra di essere vaccinato.

Gli Emirati Arabi limitano le partecipazioni a eventi live, attività sportive artistiche e culturali. In Arabia Saudita non si può entrare nei centri commerciali, in Kazakistan niente bar, cinema e aeroporti. Nelle Filippine i cittadini possono optare tra: Il vaccino o il carcere[1].

Il Cremlino ha affermato che le persone non vaccinate potrebbero non accedere al posto di lavoro, non escludendo discriminazioni.

E L’ITALIA?

Anche da noi le proposte si differenziano.

Nel Lazio ci si può spostare gratuitamente con Uber che mette a disposizione due corse verso e da i centri vaccinali. Nel Messinese, la Coldiretti regala una bottiglia di Siccagno di Valledolmo (passata di pomodoro).

In Piemonte ci sono incentivi per i medici di base che riescono a convincere i propri utenti. Se il 90% di questi risulterà vaccinato entro il 15 settembre, riceveranno un compenso di 2 euro in più per assistito e di 1 euro e mezzo se la percentuale si fermerà tra l’87 e l’89,99%. La Ausl di Bologna riconoscerà un premio ai pediatri che convinceranno il 70% dei loro giovani pazienti a vaccinarsi.

UN PO’ PIU’ COMPLICATO DI COSI’…

Perfetto.

Anche no!

Distribuire soldi come se piovesse, non è un nudge (i nudge per essere tali non prevedono né incentivi economici né disincentivi). Come è già accaduto nel 2005, in Perù, quando si è voluto affrontare il problema delle diseguaglianze e frenare la povertà. E il governo ha lanciato i conditional cash transfer (cct), la versione nazionale degli Juntos: sussidi monetari condizionati che prevedevano pagamenti mensili di 100 soles in favore di genitori poveri, perlopiù madri. Per non perdere il sussidio, le donne dovevano assicurarsi che i figli frequentassero l’85% delle lezioni scolastiche in un anno e che si sottoponessero regolarmente a controlli medici e nutrizionali.

«In paesi come il Brasile, i cct sono stati importanti nell’accesso all’istruzione e nella conseguente riduzione delle disuguaglianze», spiegò la scelta Branko Milanovic, a lungo capo economista alla Banca mondiale[2]. Eppure i cct non sono la panacea, come dimostrano le voci critiche, tra cui quella del premio Nobel per l’economia Angus Deaton che ha evidenziato la loro incapacità di ridurre la povertà in via permanente[3]. Tuttavia questi programmi, complessivamente poco costosi per le finanze pubbliche (cifre tra lo 0,04 e lo 0,8% del Pil), continuano a essere molto popolari: nella sola America Latina si contano 129 milioni di beneficiari.

Al di là della loro presunta o reale efficacia, che lasciamo misurare agli economisti di mestiere, i cct sono incentivi economici e per questo ben lontani dalle politiche di nudging.

Un sussidio non può essere un nudge, come non lo è una multa e neppure una condanna alla prigione. Senza contare che gli incentivi economici distribuiti con questa leggerezza, sollevano un interrogativo etico e discriminatorio: i benestanti non saranno di certo spinti a vaccinarsi per soldi mentre gli svantaggiati subiranno una pressione non indifferente. Senza contare che nel medio – lungo termine diventano demotivanti. E quindi inefficaci.

Senza voler aprire una diatriba neuroetica, è impossibile non guardare ai dubbi che il denaro inevitabilmente solleva: l’incentivo economico non può che alimentare la cultura del sospetto. Non dimentichiamoci che è il bene comune e la protezione ai più fragili che dovrebbe spingere verso la vaccinazione.

Ecco perché più che gli incentivi, ci sono altre strategie a cui si potrebbe e dovrebbe ricorrere. La moral-suasion: incentrata su argomenti attrattivi, anzichè costrittivi e la spinta gentile, capace di rendere facili scelte complesse. Non obbligando, ma creando contesti che, senza togliere la libertà, rendono le decisioni più agevoli e funzionali.

CONTESTO

Non ovunque e non sempre è facile vaccinarsi. Spesso è più un percorso a ostacoli che una via di uscita: comunicazione confusa e contraddittoria, difficoltà a prenotarsi o impossibilità a scegliere quando farlo, o a spostare l’appuntamento, luoghi spesso scomodi o difficilmente raggiungibili se non si è automuniti, mancanza di chiare informazioni su possibili effetti collaterali e un’assistenza post vaccinazione latitante. Lo dico per esperienza diretta.

Senza contare che chi si occupa delle campagne di sensibilizzazione, poco o nulla sa di spinte gentili ed economia comportamentale. E nemmeno ci pensa a consultare gli esperti del settore.

Più che regalare bibite, biglietti della lotteria e qualche banconota, sarebbe più utile investire il denaro nel prelevare a domicilio persone con problemi di mobilità o affette da fragilità, predisporre équipe che portino la vaccinazione a domicilio, un’assistenza post vaccino quando necessaria, numeri verdi dove gli operatori rispondono in modo diretto e non costringano ad attese infinite senza nessuno che si faccia carico del problema.  O ancora, facilitare la vaccinazione di quei lavoratori saltuari e che hanno paura di perdere giorni di lavoro in caso di avventi avversi o problematiche post vaccino[4].

Insomma ci sono molti modi per usare il denaro. E a parità di budget, ricorrere ai Nudge (non come azione estemporanea ma come policy) porterebbe maggiori benefici rispetto ai compensi economici, mitigando o eliminando i sospetti e rafforzando la fiducia nel sistema sanitario pubblico.

FIDUCIA

La fiducia, ricordo, non si può comprare e gli incentivi possono alimentare dubbi sulle reali intenzioni delle istituzioni scientifiche. Un studio del 2020, condotto in 19 paesi utile a determinare i tassi di accettazione e i fattori che influenzano la propensione a vaccinarsi, ha mostrato come in realtà il 71,5% dei partecipanti sarebbe propenso al vaccino e il 48,1% ha riferito che accetterebbe la raccomandazione del datore di lavoro nel farlo. Le differenze nei tassi di accettazione variavano da quasi il 90% (in Cina) a meno del 55% (in Russia). Gli intervistati, a prescindere dalla nazionalità, che segnalano livelli più elevati di fiducia verso il proprio governo, hanno maggiori probabilità di ì vaccinarsi[5].

Tenendo conto di questi dati, gli incentivi difficilmente sono la soluzione. Se non per ridurre la procrastinazione, secondo gli studi dei premi Nobel per l’economia Duflo e Banerjee, e aumentare la percentuale dei vaccini dal 18 al 39%[6]. Un costo che è sicuramente giustificato.

Non c’è dunque una soluzione univoca. E ciò che realmente funzionerà lo si vedrà nel tempo. Intanto, non dimentichiamoci che i Nudge per quanto allettanti andrebbero applicati da chi li conosce per davvero. Non è una moda. E’ una strategia. Da Nobel. I soldi, e la letteratura scientifica lo dimostra, non sono così efficaci come ci piace pensare, benchè sia una soluzione sicuramente semplice e rapida…

FONTI

[1] https://www.reuters.com/world/asia-pacific/philippines-duterte-threatens-those-who-refuse-covid-19-vaccine-with-jail-2021-06-21/

[2] Fiszbein A., Schady N., et al., Conditional Cash Transfers reducing present and future poverty, The World Bank report, 2009.

[3] Deaton A., Instruments, Randomization, and Learning about Development, Journal of Economic Literature, Vol. 48, N. 2, June 2010, pp. 424-55.

[4] https://www.nytimes.com/2021/07/09/nyregion/free-doughnuts-arent-going-to-boost-vaccination-rates.html

[5] Lazarus, J.V., Ratzan, S.C., Palayew, A. et al. A global survey of potential acceptance of a COVID-19 vaccine. Nat Med 27, 225–228 (2021).

[6] https://www.nber.org/system/files/working_papers/w28726/w28726.pdf

Un ladro gentiluomo, un rasoio e il bias dell’ovvietà

Ci sono storie che diventano bias e per questo non si possono ignorare. Come quella di un rapinatore sofisticato e coltissimo, più romantico di Bonnie e Clyde e con tratti di Houdini, Picasso e Rasputin.

Per comprendere il contesto, occorre tornare nella New York di inizio secolo scorso, quando un uomo elegante, armato di una Colt calibro 9, era solito entrare nelle banche che avrebbe svaligiato, chiedendo a tutti in modo garbato, gentile e sorridendo, di alzare le mani.

Acuto e curioso (leggeva Dante, Shakespeare, Proust e Platone), riuscì ad accumulare in quarant’anni di rapine, tutte in pieno giorno e senza mai sparare un colpo, due milioni di dollari. Non pochi per quei tempi.

La storia di William Francis Sutton, Willie per gli amici, non è però una storia a lieto fine, condannato all’ergastolo, verrà alla fine liberato per buona condotta e per un cancro ai polmoni che un decennio dopo se lo porterà via. Colpa di quelle sigarette fatte in casa che fumava continuamente. L’unico suo vizio insieme a quello di rapinare banche.

La Legge di Sutton

L’intera vita di Willie, per arrivare al punto, si può riassumere parafrasandolo: «Se mi avessero chiesto perché rapinavo banche, avrei risposto semplicemente “perché mi piaceva” e “perché è lì che ci sono i soldi».

Questa citazione “perché è lì che ci sono i soldi”, si è evoluta fino a diventare la legge di Sutton (Sutton’s slips bias): il limite, la fallacia, per fare un esempio in campo medico, di enfatizzare l’ovvio, ossia la diagnosi più probabile, scartando a priori ogni altra alternativa (sintomo, dato, fattore). In altri termini è il bias che porta a non voler prendere in considerare elementi e dati al di fuori dello standard, nel timore di sprecare inutilmente tempo, denaro e risorse più efficaci se collocate altrove.

Ci sono storie che diventano bias e per questo non si possono ignorare. Come quella di un rapinatore sofisticato e coltissimo, più romantico di Bonnie e Clyde e con tratti di Houdini, Picasso e Rasputin.

Il rasoio di Occam

La contrapposizione con il rasoio di Occam, a questo punto, è obbligata: «Se senti gli zoccoli pensi al cavallo, non alla zebra. A meno che non vivi in Africa». Non sempre, di fronte a un problema, cerchiamo la spiegazione più semplice, eppure nella stragrande maggioranza è quella giusta. In altre parole: a parità di elementi la soluzione di un problema è quella più ragionevole.

Se la legge di Sutton – che giustifica il fatto di rapinare banche perché è lì che si trova il denaro – incoraggia il medico, l’analista, il ricercatore (per fare qualche esempio) a concentrarsi sui dati che possono fornire i massimi risultati, e non a stimare le probabilità in base alla rapidità o la facilità con cui può ricordare esempi analoghi, il rasoio di Occam induce invece a non perdersi in voli pindarici alla ricerca di chissà quali evidenze, se non ci sono le condizioni che li giustifichino.

Aver trattato di recente una data patologia può talora indurre a ritenerla più comune di quanto non sia in realtà. Aver curato un paziente colpito da un raro effetto collaterale di un farmaco, può spingere il medico a evitare quel farmaco, e farsi quindi vittima di un altro insidioso effetto, il bias dell’ancoraggio.

Complicare le cose semplici

Ciò che suggerisce la ragione, è trovare l’equilibrio, destreggiandosi fra Sutton e Occam, ricordandosi che è inutile complicare una teoria o aggiungere elementi a una discussione se non serve per arrivare alla soluzione o per rendere edificante qualcosa. Ma nemmeno trascurare elementi che appaiono del tutto incongruenti e che non possono spiegare secondo logici criteri, un dato contesto.

Per traslare il concetto in tutt’altro campo, non è ancora del tutto chiaro come gli antichi Egizi riuscirono a costruire le Piramidi: è possibile ipotizzare che lo abbiano fatto grazie a tecnologie avanzate fornite loro da civiltà aliene, ma seguendo quanto detto finora è preferibile supporre che ci siano riusciti da soli sfruttando in modo ingegnoso le conoscenze dell’epoca.

In questo modo non siamo obbligati a ipotizzare una serie di condizioni particolari – che gli alieni esistano, che siano riusciti ad arrivare sulla Terra, a comunicare con gli Egizi e poi a scomparire senza lasciare tracce – e possiamo spiegare lo stesso fenomeno, le Piramidi, facendo ricorso a meno ipotesi più concrete.

Ciò che non ci piace non è necessariamente sbagliato

L’importanza dei due effetti sta nel costringerci a distinguere tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo, nel vietarci di andare oltre la più semplice descrizione possibile e contemporaneamente di arrenderci all’ovvio, così da aiutarci a stare alla larga dalle conoscenze presunte e capire dove le nostre teorie sono incomplete e hanno bisogno di essere migliorate.

Questo però non vuol dire che possiamo usare tali effetti come armi improprie (che qualcuno chiama ironicamente “la motosega di Ockham”) per fare a pezzi le teorie che non apprezziamo, magari perché non rispondono a una definizione arbitraria di semplicità o non condividono i nostri presupposti.

Qualche volta, specialmente in temi complessi come la politica o l’economia, si assiste a usi spericolati del rasoio di Occam e del Sutton Effect che fanno accapponare la pelle, ma in questi casi si tratta di propaganda e non di buona pratica scientifica.

IMMAGINARE il FUTURO per LENIRE LA TRISTEZZA del PRESENTE: il rammarico di perdere (per 5 minuti) un aereo…

Mario e Andrea devono prendere due diversi voli che partono dallo stesso aeroporto e alla stessa ora.

Per raggiungere l’aeroporto stanno viaggiando sullo stesso taxi ma a causa del traffico arriveranno in aeroporto 30 minuti dopo l’orario di partenza dei loro voli.

Il volo di Mario partirà in orario; quello di Andrea partirà con 25 minuti di ritardo.

Chi è due è più contrariato? Chi è il più triste?

Di fronte a situazioni di questo tipo tendiamo a immaginare scenari alternativi che sarebbero potuti accadere ma non sono accaduti. Smontando di fatto il nostro passato per ricostruire il futuro che si sarebbe potuto realizzare.

Quasi tutti rispondono Andrea: perdendo per 5 minuti l’aereo, si immagina che si sarebbe potuto prendere se solo una piccola azione fosse stata diversa, magari partendo leggermente prima…
Le Neuroscienze hanno monitorato le espressioni facciali dei II e III classificati alle olimpiadi del 1992 per valutare quanto il pensiero influenzasse i loro stati d’animo.

Hanno osservato che i II classificati con la medaglia d’argento erano meno sorridenti dei bronzi, III classificati. Questo effetto è dovuto al fatto che gli argenti erano arrivati più vicini alla vittoria, e quindi risultava molto più facile pensare e immaginare variabili della loro gara che li avrebbero portati al primo posto, facendo quindi crescere il rammarico. I bronzi, più sorridenti dei secondi classificati, erano arrivati più vicini alla loro non vittoria, quindi per loro era molto più semplice pensare agli accadimenti possibili che li avrebbero portati fuori dal podio, motivo per cui sono più sorridenti.

L’euristica della simulazione è capace di influenzare la comprensione degli eventi, degli altri e dei loro stati d’animo ma in modo disequilibrato. Nel caso dei voli persi gli scontenti dovrebbero essere entrambi i passeggeri in egual misura.

La prossima volta che perdete un treno, un aereo o qualche competizione… ricordatevi di questa trappola del pensiero per usarla a vostro vantaggio e lenire così il dolore della perdita… o della sconfitta…

I NUDGE al TEMPO del CORONAVIRUS. E se Boris Johnson non avesse torto?

A qualcuno, la scelta del governo inglese di applicare misure gentili per contenere la diffusione del coronavirus, ha fatto storcere il naso. Eppure una spiegazione c’è. Anzi, c’è molto di più di una spiegazione, c’è una teoria: quella dei Nudge.

Boris Johnson non ha chiuso le scuole o impedito ai grandi eventi sportivi di svolgersi. Ha invece preferito applicare i Nudge, le spinte gentili, far diventare abitudini pratiche essenziali lavarsi le mani, non toccarsi il viso, non stringere mani, rimanere a casa se ci si sente male e isolarsi se affetti da tosse continua.

Questo approccio differisce non poco dalle misure di quarantena imposte nei diversi Paesi, fra cui l’Italia e in qualche modo segna lo spartiacque fra il Regno Unito e il resto del mondo.

IMMUNITA’ di GREGGE

Patrick Vallance, consigliere scientifico del governo inglese, ha spiegato che la ragione per non abbracciare i divieti è incoraggiare l’immunità di gregge,  e affinché il Paese possa beneficiarne dev’essere contagiato il 60 per cento della popolazione.

La dichiarazione ha ovviamente suscitato polemiche. “Per le malattie che si trasmettono da persona a persona, le vaccinazioni non solo proteggono i vaccinati, ma anche le persone che non possono essere vaccinate (perché non ancora in età raccomandata, perché non rispondono alla vaccinazione o perché presentano controindicazioni)”, spiega l’Istituto superiore di sanità italiano.

Questo avviene grazie all’immunità di gregge per cui, se la percentuale di individui vaccinati all’interno di una popolazione è elevata si riduce la possibilità che le persone non vaccinate (o su cui la vaccinazione non è efficace) entrino in contatto con il virus e, di conseguenza, si riduce la trasmissione dell’agente infettivo. Questo significa che se vengono mantenute coperture sufficientemente alte si impedisce al virus di circolare fino alla sua scomparsa permanente“.

Tuttavia, Sir Patrick Vallance ha affermato che un vaccino contro il coronavirus efficace non sarà prodotto in tempo. Pertanto, in assenza di un programma di vaccinazioni di massa, affinché la popolazione del Regno Unito ottenga l’immunità di gregge, un numero sufficiente di persone dovrà contrarre il virus e guarire.

NUDGE E STRATEGIE

L’approccio di Johnson, sebbene più gentile rispetto a quello attuato nel resto del mondo, si basa in realtà su modelli sofisticati che potrebbero ridurre il tasso di mortalità di un terzo tra i gruppi ad alto rischio nel Regno Unito.

Stiamo cercando, in un modo mai fatto prima, di utilizzare tutti gli strumenti disponibili: medici e matematici ma anche esperti del comportamento“, ha affermato David Halpern, capo del Behavioral Insights Team del Governo.

Al centro della strategia del Regno Unito c’è la consapevolezza che, se il coronavirus continua a diffondersi, sarà impossibile impedire a molte persone di ammalarsi.

È qui che entrano in gioco gli esperti di Halpern. Il gruppo è stato creato una decina di anni fa dall’ex primo ministro David Cameron per attuare le intuizioni dell’economista americano Premio Nobel Richard Thaler. “I modelli si basano su ciò che la gente farà“, ha detto Halpern. “Le persone rispetteranno le istruzioni e fino a che punto? Per quanto tempo la gente sopporterà ristrettezze, divieti e costrizioni?“. Difficile dargli torto, vedendo quanto poco disciplinati sono gli italiani nel seguire le regole.

Troppe restrizioni, divieti e chiusure forzate hanno infatti spesso l’effetto opposto.

EFFETTO BOOMERANG

Se vogliamo spingere le persone verso comportamenti virtuosi, dobbiamo lasciare loro delle opzioni fra le quali scegliere. Perché quando ci viene proibito qualcosa, la più comune delle reazioni è la reattanza, un fenomeno che consiste nel rifiuto di accettare regole che limitano i comportamenti individuali.

La reattanza ha una base prettamente emotiva e si manifesta soprattutto quando la persona si sente eccessivamente costretta in una direzione che non condivide. Risultato? Adotta esattamente il comportamento opposto. I principi centrali della teoria della reattanza sono due: se uno dei comportamenti che una persona può scegliere è minacciato di eliminazione (per effetto di una legge, per esempio), l’individuo sperimenterà la reattanza emotiva.

Inoltre il comportamento vietato aumenterà automaticamente in attrattiva e porterà il soggetto a battersi per riconquistare il livello di libertà individuale perduto.

Questa teoria è stata più volte dimostrata in esperimenti di psicologia sociale, per esempio in uno studio di Paul Silvia dell’Università del North Carolina, pubblicato nel 2005 «il miglior modo per ottenere un effetto boomerang è vietare qualcosa. Ciò significa che dobbiamo insistere soprattutto nel rafforzare i messaggi positivi a favore dei comportamenti corretti piuttosto che vietare quelli scorretti”.

Studi successivi hanno dimostrato anche che la reattanza è misurabile ed è proporzionale alla riduzione delle scelte disponibili: in sostanza, in un paese in cui molte cose sono vietate, la reattanza nei confronti di ogni singolo divieto è più forte di quanto accade dove lo stesso divieto è posto in un contesto generale più tollerante. In pratica, non ci si abitua mai a veder ridurre la propria gamma di scelte possibili, e non si diventa più obbedienti perché si vive in un luogo dove la società esercita un forte controllo sull’individuo, bensì esattamente il contrario»

Difficile non essere d’accordo, dopo appena qualche giorno, proprio stamane c’è stata la seconda grande corsa ai treni per raggiungere i luoghi di residenza al Sud, senza contare chi invece sale approfitta del fermo forzato per farsi una vacanza, in beffa a decreti e divieti in vigore nel Bel Paese.

Ciò su cui sta lavorando la Nudge Unit inglese è creare architetture di scelte capaci di generare una nuova abitudine, facendo diventare il lavaggio delle mani parte di una routine, come quando le persone tornano a casa o al lavoro e si tolgono il cappotto.

Se i metodi di Halpern sembrano nuovi, va invece ricordato che derivano da una lunga tradizione scientifica, come quel medico che lavorava a un’epidemia di colera nella Londra vittoriana e si rese conto che molte vittime stavano attingendo acqua da una singola pompa. Togliere la maniglia alla pompa ha contribuito a porre fine allo scoppio. Nient’altro che un Nudge, una spinta gentile.

Io che scrivo, ovviamente non sono ferrata sul problema coronavirus in modo tanto specifico per dire la mia, ma credo che riflettere su due strategie tanto diverse, è sempre utile e costruttivo.

Gli approcci nel Regno Unito e nel resto d’Europa sono nettamente diversi. Gli errori di un paese si trasformeranno in risultati per un altro. L’ approccio Keep Calm And Wash Your Hands è ancora una scommessa per Johnson. Se bloccare milioni di persone si rivelerà efficace altrove e il virus si diffonderà in modo incontrollato in Gran Bretagna, la politica sembrerà un terribile errore.

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ENNEAGRAMMA: la CHIAVE per CONOSCERE meglio SE STESSI e gli ALTRI

C’è uno strumento, a me particolarmente caro, a cui ricorro con la perseverante tenacia che trasforma l’eccezione in quotidiano. Lo studio (e inconsciamente applico) da decenni; mi ha permesso di colmare lacune del mio sapere, capire meglio le persone, in primis, me stessa. Oltre i comportamenti e le decisioni. E’ l’Enneagramma.

Tecnica di indagine profonda dell’essenza dell’essere umano, è rappresentata da un simbolo: un esagramma e un triangolo equilatero dialoganti tra loro, dove ogni vertice è numerato dall’1 al 9. Le numerazioni corrispondono a 9 tipologie psicologiche-caratteriali, dette basi, le quali entrando in relazione tra loro descrivono risposte comportamentali ben precise e che scaturiscono in modo automatico di fronte a specifici stimoli esterni.

L’Enneagramma può essere una modalità di accesso al nostro inconscio, uno spunto di riflessione sui comportamenti che attuiamo verso noi stessi e gli altri, rendendoci più consapevoli e meno vittime dei nostri automatismi. Un viaggio dentro noi stessi che se ben utilizzato, può renderci persone migliori.

La sua applicazione oggi è tra le più svariate, non solo più a scopo introspettivo ma anche per l’ ottimizzazione del guadagno, essendo sfruttato nel marketing e nelle Aziende.

Ogni individuo appartiene ad una famiglia psicologica fin dalla nascita, caratterizzata da particolari talenti e da altrettante fragilità, ed è stato osservato come per ogni tipologia ci siano malattie più facilmente collegabili, dunque delle tendenze psicosomatiche e dei grandi fruttuosi talenti.

Non è semplice individuare la propria base originale (l’enneatipo), l’ambiente e ciò che accade condiziona le nostre risposte e i nostri comportamenti, ma non è impossibile. Anzi è un bel viaggio dentro se stessi che consiglio a tutti di fare. L’Enneagramma è una mappa delle emozioni e dei comportamenti: una volta che ci si è approcciati seriamente, difficilmente se ne potrà fare a meno.

L’ appartenenza a una famiglia psicologica dipende dalla nostra risposta ai piccoli grandi traumi subiti durante l’infanzia (o nel periodo fetale); per garantirci la sopravvivenza infatti, attuiamo fin dal principio una serie di comportamenti difensivi, consolidando poi quelli che hanno ricevuto la migliore risposta e che ci hanno garantito ciò di cui avevamo bisogno, fino a trasformarli in veri e propri automatismi inconsapevoli. E ci svela così, perchè alla fine sbagliamo sempre nello stesso modo, cadiamo sempre negli stessi errori e nelle stesse routine.

I 9 ENNEATIPI IN UN MINUTO

Enneatipo 1. Dotato di grande testardaggine e costanza, il suo talento consiste nella ricerca della PRECISIONE, allo scopo di evitare a tutti i costi l’UMILIAZIONE. Questa è la sua paura più grande, per evitare la quale è costretto a diventare “perfetti”. Severissimo con se stesso, pretende di non sbagliare, e non riesce ad accontentarsi degli obiettivi raggiunti, poiché tutto è sempre migliorabile, anzi, perfezionabile.

Enneatipo 2. Ha il talento della DONATIVITÀ per evitare l’ ABBANDONO. Per non sentire tale sensazione la persona fa di tutto per divenire indispensabile, amorevole, accondiscendente, per cui impara molto presto a percepire le esigenze degli altri. Studia i soggetti e crea una co–dipendenza fornendo loro ciò che desiderano ancor prima che vi sia una richiesta.

Enneatipo 3. Ha il talento della PRAGMATICITÀ: la capacità di adattarsi ad ogni situazione e di entrare facilmente in relazione con gli altri, per scappare dalla paura di vivere il DISPREZZO.

Enneatipo 4. Ha il talento dell’ORIGINALITÀ per evitare ad ogni costo l’ OMOLOGAZIONE. Non vorrebbe appartenere a nessuna famiglia psicologica, si sente “oltre” ogni classificazione, guardando il mondo con occhi esterni e distaccandosi da esso, sperando che la realtà sia ben altro da ciò che il mondo mostra. Ricerca l’autentico e l’ assoluto.

Enneatipo 5. Ha il talento della COMPETENZA che acquisisce fin dalla giovane età tramite una grande capacità di osservazione. E’ solitario, non può permettersi di essere RICATTATO emotivamente, scappa da questo, dai compromessi fatti per il piacere di un altro, per conquistare l’amore altrui, va approcciato delicatamente con un grande rispetto verso la sua privacy. Tutto ciò che è esagerato emozionalmente lo irrita, è molto legato alla logica e ha una grande volontà di capire e conoscere le cose, ma si annoia ad interagire con chi non capisce subito le cose.

Enneatipo 6. Il talento è la PERSEVERANZA. E’ tranquillo quando fa il proprio dovere, quando sa con chiarezza ciò che deve fare, senza AMBIGUITÀ che è ciò da cui fugge. Ama le cose concordate, sa perdonare ma togliendo la fiducia. Non gli interessa fare il meglio, ma il giusto, il suo dovere, l’ affidabilità è il suo punto di forza.

Enneatipo 7. Ha il talento dell’ENTUSIASMO, poiché teme la LIMITAZIONE. Ha bisogno di fare ciò che sente, ciò che vuole, ma non attua la ribellione del 4 o la prepotenza dell’8, bensì strategicamente attiva la seduzione simpatica. Usa la furbizia per evitare la limitazione, prende in giro gli altri ma anche se stesso ironicamente. Tiene lontane regole e disciplina.

Enneatipo 8. Tende a provocare per evitare il MALTRATTAMENTO e fa in modo che gli altri lo rispettino facendo il bulletto già da bambino o provocando. Non prova senso di colpa nel suo comportamento (cosa che invece accade al 6), ha bisogno di mostrarsi duro con un’iper difesa sotto forma di attacco.

Enneatipo 9. Ha grande capacità di MEDIAZIONE, conquistata per sfuggire dal CONFLITTO. Può somigliare al 5 poiché non desidera stare sotto i riflettori, ma con una motivazione diversa, che non ha a che fare con la competenza, bensì con la pace. Essere lasciato in pace, evitare il confronto, lo scontro, rendendosi invisibile. Non si ribella, non reagisce, e quando ci sono delle decisioni da prendere si fa scegliere dagli eventi.

Se l’Enneagramma ti affascina, puoi scoprirne di più il 4 aprile a Mantova: https://www.fondazionemazzali.it/corsiconvegni

 

 

Per FORTUNA OGGI sembra andare TUTTO STORTO…

Ci sono giorni in cui tutto inizia in modo sbagliato. Non trovi nulla da indossare, nonostante la cabina armadio straripi di vestiti, l’unico che vorresti mettere è in tintoria. La corrente elettrica ti abbandona e ti tocca aprire a mano il garage per far uscire l’auto, e la conferma di avvio di un progetto latita. Oggi è una di quelle giornate.

Poi inizio a lavorare e il mio cliente prima ancora di sedersi mi chiede “Perché a volte sembra che tutto vada storto?”.

E già solo ascoltare la domanda, mi rasserena. Mentre penso alla relatività delle cose e al bisogno umano di avere il controllo sugli accadimenti. Quando il controllo lo abbiamo piuttosto raramente.

Abbiamo la presunzione di averlo, una beata illusione. Forse abbiamo il controllo del volume della suoneria dello smartphone e dell’aria condizionata, ma non a molte più cose. E’ evidente che ognuno di noi si illude di avere il controllo sulla propria vita, quando in realtà quasi nulla è in nostro potere.

A volte accadono cose per cui non siamo pronti. Tanto che la vita ci coglie impreparati. La maggior parte delle volte, ad essere sinceri. Ci siamo preparati per anni alle delusioni, ai fallimenti, agli abbandoni, ai pericoli, alle brutte notizie. Ma sostanzialmente non siamo pronti. Siamo (stati) preparati, ma non pronti. Siamo pugili con la guardia alta, ma ci dimentichiamo che l’unico modo sicuro per non prendere neanche un pugno in pieno viso è stare giù dal ring.

Tenere la guardia alta, è faticoso. Vuol dire decodificare ogni possibile movimento dell’avversario, capire da questo le sue intenzioni e anticiparle per non andare a tappeto. Tre cose, quindi siamo costretti a fare continuamente: monitorare (l’avversario), controllo (di sé) e anticipazione (delle azioni e dei movimenti).

Scendiamo dal ring. Cosa ci insegnano fin da piccoli? Che se vuoi, puoi. Che se ti impegni abbastanza le cose belle succedono, e le cose brutte succedono se non ti impegni abbastanza: se non stai abbastanza attento, se non prevedi qualcosa che a pensarci un attimo meglio saresti riuscito a prevedere, se non anticipi possibili catastrofi, se non cogli i segnali. E noi, giustamente, a queste cose crediamo.

Crescendo, riceviamo un sacco di rinforzi per la nostra capacità di prevedere, per il nostro monitoraggio, per il nostro livello di controllo su di noi e sull’ambiente. Ho tenuto d’occhio le priorità del capo, mi sono focalizzato e speso su quelle e ho ottenuto una promozione. Ho capito cosa piace alla ragazza che mi piace, le ho attaccato bottone parlando di quello e ci sono uscito assieme. Rinforzi su rinforzi, e la strategia si mantiene.

Cosa vogliamo a tutti i costi evitare attuando questa strategia? Qual è la sensazione che non vogliamo provare? Non vogliamo sentirci vulnerabili. Ognuno di noi ha un particolare tipo di pugno che non vuole ricevere: per qualcuno ha a che fare con il rifiuto, per altri con il mancato riconoscimento del proprio valore, per altri con la percezione di essere colpevole. Ed ecco l’avversario.

Teniamo alta la nostra guardia fatta di anticipazione e controllo per non permettere a noi stessi di percepire questo stato intollerabile per noi, anche alla luce della pochissima esperienza che ne abbiamo fatto (grazie alla nostra strategia, appunto, e qui la storia si ripete).

A volte, però, succede qualcosa. Sei sul ring e un forte rumore ti distrae, qualcuno sbatte la porta, una luce attira la tua attenzione, giri gli occhi e ti ritrovi al tappeto. Tutto il castello di carte costruito fino a quel momento, tutta la strategia, tutta l’onnipotenza che portava in sé pensare di avere una strategia che ti avrebbe sempre difeso, tutto crolla. Come un castello di carte al soffio del vento. Sei per terra. Non ci sei mai stato. Allora succedono cose nuove. Spesso è solo allora che accadono cose buone.

Il mio cliente è qui a richiedermi una consulenza proprio per evitare che quel pugno arrivi, affinchè possa diventare ancor più bravo a prevenire, anticipare e controllare. Quasi una missione impossibile. Non è quella la soluzione vincente.

Mentre le parole vagano nella stanza, fra coaching e consulenza, gli interrogativi si dipanano. Le domande scrostano certezze ataviche, quelle di entrambi.
E mentre saluto il cliente, sorridendo ripenso alla mia giornata. Per fortuna è stato un giorno in cui tutto è andato storto…

COME andare d’ACCORDO con chi ha VALORI tanto DIVERSI dai NOSTRI

Persone con valori differenti possono andare d’accordo?

In un momento storico così ricco di odio e recriminazioni, è difficile crederlo. Tutti interessati a proteggere i propri stereotipi, le proprie posizioni ideologiche, le proprie univoche visioni e cercare di vincere anzi annientare l’altro in virtù di chissà quale premio o soddisfazione…

Eppure le dispute che hanno a che fare con i valori sono spesso molto complesse da risolvere. Perché? Perché i valori rappresentano quel sistema di convinzioni riguardo a ciò che crediamo giusto e sbagliato, bene e male e impatta costantemente sulle nostre decisioni e scelte personali.

Chi si occupa di negoziazione sa che le controversie e le liti sui valori, non possono essere risolte in modo tradizionale. Occorre lavorare molto per ampliare la possibilità di considerare le visioni contrarie meno distanti e insegnare modi per convivere nelle differenze.

In molti negoziati, entrambe le parti sono consapevoli dei reciproci interessi e sono disposte a impegnarsi per raggiungere un accordo che le soddisfi entrambe. Nei conflitti relativi all’identità personale, credenze o valori profondamente radicati, le dinamiche di negoziazione possono diventare più complesse e richiedere tattiche alternative di risoluzione. Le parti potrebbero non essere disposte a concedere alcuna concessione che aiuti l’altra, anche se ciò comporta una perdita da ambo i lati.

Insomma si è molto meno disposti a negoziare. Perché negoziare significherebbe tradire quelle convinzioni per le quali si crede così profondamente da essere persino spinti a uccidere.

Dalla Harvard Law School, ci vengono in aiuto 4 strategie per gestire proprio questo tipo di conflitti.

  • Prendi in considerazione interessi e valori separatamente: separa la persona dal problema e al tavolo delle trattative affronta le questioni individualmente. Determina il valore che la controparte dà alla sua posizione e contratta di conseguenza. Cerca di capire perché quel valore è per lei così importante.
  • Impegnati a costruire relazioni vincenti: cerca di costruire un rapporto  basato sui valori e sugli interessi comuni. Ricerca cosa unisce e non cosa divide
  • Appellati a valori: fare appello a valori comuni o condivisi può aiutare a colmare il divario al tavolo della contrattazione avvicinando le rispettive posizioni. Stabilendo un terreno di negoziazione comune, è possibile iniziare a creare valore (e rivendicare più valore).
  • Affronta direttamente le differenze: comprendere le differenze è di aiuto per raggiungere il successo nella negoziazione.

Anche nei casi in cui la risoluzione non sia possibile, questi quattro approcci consentiranno una maggiore comprensione tra le parti  e chiariranno dove si trovano le reciproche differenze di identità e di valori.

Se volessi saperne di più, ti consiglio di leggere: Risoluzione delle controversie, Lavorare insieme per la risoluzione dei conflitti (Harvard Law School).