Chi è il chirurgo? Come i bias influenzano decisioni e ragionamenti
Inizierò questo articolo, lanciando una sfida.
Si tratta di risolvere un indovinello. L’unica condizione che va rispettata è relativa alla tempistica. Una volta letta la domanda, la risposta deve arrivare entro 33 millesimi di secondo.
Padre e figlio vengono coinvolti in un terribile incidente automobilistico.
L’uomo muore sul colpo. Il ragazzo, ferito gravemente, viene portato in ospedale.
In sala operatoria, il chirurgo reperibile, appena vede il paziente afferma: «Non posso operare – questo è mio figlio».
Come è possibile?
Questo indovinello, noto come dilemma del chirurgo, è utile per (di)mostrare come funzionano i pregiudizi, gli stereotipi, le convinzioni e le credenze. Come e quanto, cioè, ci lasciamo influenzare da bias ed euristiche, o più comunemente trappole mentali, a riprova dell’irrazionalità di cui l’umanità è vittima.
Se, trascorsi i 33 millesimi di secondo, non si arriva a una soluzione, occorre rileggere il quesito e rianalizzare il contesto da una prospettiva differente, facendo attenzione al tempo che la risposta richiederà.
Perché 33 millesimi di secondo? È il tempo che impiega il nostro cervello emotivo, l’istinto, ad analizzare una situazione di incertezza e di rischio e a prepararsi a gestirla, prima cioè che diventiamo consapevoli di ciò che sta accadendo. In altre parole, la soluzione all’enigma più è veloce, più evidenzierà l’impermeabilità all’invadenza di bias, pregiudizi e convinzioni; viceversa, occorrerà riconsiderare il modo in cui vengono prese alcune decisioni.
Tornando al nostro indovinello, prima di dare la soluzione, voglio fare una rassicurazione: l’86% delle persone a cui è stato sottoposto il dilemma non è riuscita a svelare l’arcano. A causa della natura subdola dei pregiudizi inconsci: non siamo consapevoli di averli e questo di per sé rende più difficile identificarli e quindi prevenirli o quanto meno gestirli in modo funzionale.
Good Morning America
Il dilemma del chirurgo è stato proposto in diversi contesti, sia accademici sia pubblici, con risultati sovrapponibili.
Nel 2010 quando il programma televisivo Good Morning America, ha proposto l’enigma, in modo randomico, per le strade di Manhattan (New York), la maggioranza delle persone coinvolte non è stata in grado di dare la soluzione. Quando invece i produttori del programma hanno posto il medesimo quesito a ragazzi di quinta elementare, la maggior parte ha risposto in modo corretto, senza nemmeno doverci pensare troppo.
Le soluzioni via via tentate sono piuttosto creative, come attribuire alla madre una relazione extraconiugale o classificare la coppia come omosessuale. In realtà è tutto molto più semplice di così: il chirurgo è la madre del ragazzo.
Di fronte a un problema si tende a cercare la spiegazione più articolata, ignorando volutamente quella più elementare, proprio perché troppo elementare, anche se nella stragrande maggioranza dei casi è quella giusta. Si tratta di un chiaro riferimento al rasoio di Occam: “Se senti gli zoccoli pensi al cavallo, non alla zebra”. A meno che non tu viva in Africa.
In altre parole: a parità di elementi, la soluzione di un problema è quella più ragionevole. Inutile complicare una teoria o aggiungere elementi a una discussione se non servono ad arrivare alla soluzione o a rendere edificante qualcosa.
Gender Bias
Adolescenti e bambini, a differenza degli adulti, non hanno idee preformate sul genere che dovrebbe avere un chirurgo. Non danno per scontato che un chirurgo debba essere solo maschio, ecco perché faticano molto meno ad arrivare alla naturale conclusione.
Nello specifico, quello in cui si cade è il gender bias, l’errore che ci fa incasellare e classificare, senza che neanche ce ne accorgiamo, professioni e lavori in base al sesso.
Il dato ancor più interessante è che in quell’86% che ha dato la risposta sbagliata, o non l’ha data affatto, la metà sono donne, molte delle quali medici di professione. Il gender bias, insomma, non risparmia nessuno!
A questo punto si potrebbe obiettare che il dilemma del chirurgo è datato e che nel frattempo le cose potrebbero essere cambiate. Purtroppo, 9 persone su 10, secondo una ricerca del 2020, ad opera dello United Nations Development Program che elabora i dati raccolti in 75 Paesi nel mondo, rappresentativi dell’81% della popolazione globale, ha pregiudizi nei confronti delle donne.
La ricerca è basata su un indice che misura come l’uguaglianza di genere in politica, nel lavoro e nell’istruzione sia ostacolata da credenze sociali profondamente radicate. Gli uomini sembrerebbero avere pregiudizi più forti rispetto alle donne, ma la differenza è minore di quanto si possa pensare: l’86% delle donne e il 91% degli uomini ha almeno un pregiudizio nei confronti dell’universo femminile.
8 persone su 10 ritengono che gli uomini siano leader politici migliori, 4 su 10 pensano che siano più adatti a ricoprire ruoli di leadership nelle aziende e che i posti di lavoro debbano essere assegnati prioritariamente agli uomini in condizioni in cui il lavoro scarseggia. Questi dati risultano ancora più “scioccanti” se si pensa che circa 3 persone su 10 (il 28% degli intervistati) ritengono accettabile che un uomo possa essere violento con la propria moglie.
Tutta questione di statura
Se la situazione non è edificante per le donne, nemmeno gli uomini escono indenni dai pregiudizi di genere. L’altezza può, a seconda del colore della pelle, essere un acceleratore di carriera o un indicatore di pericolosità.
I leader di sesso maschile con un’altezza superiore al metro e 80 hanno maggiori opportunità di fare carriera, avere promozioni e vantano stipendi più alti del 15% dei loro colleghi di altezza inferiore.
L’altezza è considerata un tratto distintivo molto importante, benché rappresenti lui stesso, un bias. Quando ci si sente importanti, tendiamo a percepirci più alti di quanto realmente siamo e la stessa cosa la proiettiamo sulle persone che ci stanno intorno: più sono influenti e più le vediamo alte.
Questa trappola insidiosa è la stessa che porta molte persone ad attuare éscamotage di ogni tipo per sembrare più alte, come inserire solette nelle scarpe, gonfiare il volume dei capelli, senza contare il nuovo approccio della chirurgia estetica: c’è chi si fa spezzare le ossa per far inserire barre e guadagnare così qualche centimetro in altezza.
La statura può rappresentare un fattore potenziante nella carriera di un uomo. Ma solo se è bianco. Ed ecco che torniamo al gender bias.
Per gli uomini di colore, essere troppo alti favorisce invece l’idea di pericolosità. Le ricerche hanno mostrato che, negli Stati Uniti, gli uomini di colore alti sopra i 190 cm, sono fermati e perquisiti dalle forze dell’ordine 6,2 volte in più dei bianchi di medesima altezza. Oltre a essere considerati meno intelligenti.
Difficile, a questo punto, guardare ancora alla forza dei bias con occhi distratti.
Laura Mondino
Fonti:
Barlow, R. (2014) BU Research: A Riddle Reveals Depth of Gender Bias.
http://www.bu.edu/today/2014/bu-research-riddle-reveals-the-depth-of-gender-bias/
http://hdr.undp.org/sites/default/files/hd_perspectives_gsni.pdf
Rosenberg I.B., Height Discrimination in Employment (Feb 16, 2009). Utah Law Review, No. 3, p. 907, 2009: https://ssrn.com/abstract=1344817 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.1344817
Lenzmeier T., Study: being talli s a positive trait for white men; for black men, not so much, UNC Media Hub, April 10, 2018
Hester N., Gray K., For black men, being tall increases threat stereotyping and police stops, Proceedings of the National Academy of Science of the USA, vol. 115, No. 11, p. 2711-2715, March 13, 2018
NON TUTTO va COME PREVISTO. IL BOOMERANG delle CONSEGUENZE INATTESE
Quando agiamo, solitamente, lo facciamo in funzione di un obiettivo. Per quanto ragionate siano le strategie, non sempre però il risultato è prevedibile. Talvolta ci stupisce in positivo, altre il risultato delle scelte attuate produce risultati perversi, tornando violentemente indietro come un boomerang.
Non sempre prevedere le conseguenze è facile, soprattutto perchè l’irrazionalità umana è tutt’altro che prevedibile.
Delhi, periodo coloniale
Il governo inglese dell’India, preoccupato per l’alto numero di serpenti nelle strade, decide di offrire una taglia per ogni esemplare ucciso. Molti indiani iniziano così ad allevare cobra con il preciso intento di ucciderli e incassare il denaro. Fino a che il governo si trova costretto ad eliminare la ricompensa. A quel punto però gli allevatori liberano i serpenti che invadono le strade della capitale, moltiplicandosi rapidamente. Da qui il nome di effetto cobra, un boomerang inatteso e piuttosto velenoso.
Password
Se da un lato dovrebbero rendere più sicura la navigazione, essendo spesso complicate, si fa fatica a ricordarle, quindi si appuntano su post it che si lasciano in giro, o le si raccolgono in un unico foglio, riducendo di fatto la sicurezza.
Effetto Streisand
Nel 2013 l’omonima cantante intenta una causa legale contro un fotografo che, effettuando riprese dall’alto per motivi scientifici (stava studiando l’erosione costiera), ha scattato un’immagine della sua villa di Malibu, pubblicandola. Anche se la foto l’hanno vista solo sei persone, Streisand accusa il fotografo di violazione della privacy. Risultato: la notizia (foto compresa) fa il giro del mondo. Streisand, tra l’altro, perde la causa.
Assuan, 1970
L’inaugurazione della diga fu salutata come una benedizione per l’agricoltura. Con il passare del tempo, comparve un serio problema. Prima del progetto, i sedimenti del Nilo rendevano fertili le pianure a valle di Assuan. Lo sbarramento tratteneva invece i sedimenti sul fondo del nuovo lago Nasser, rendendoli inutili. Gran parte dell’energia elettrica generata dalla diga dovette essere impiegata per alimentare impianti di fertilizzazione artificiale. Altro effetto boomerang: l’iniziale successo si ritorse, almeno in parte, contro se stesso.
5 CAUSE ALLA BASE DELLE CONSEGUENZE IMPREVISTE
Esperto conoscitore delle conseguenze inattese è il sociologo della Columbia University Robert K. Merton che evidenziò 5 possibili cause alla base delle conseguenze impreviste.
– Ignoranza: non teniamo conto delle informazioni disponibili, o l’informazione disponibile è incompleta.
– Errore e ragionamenti fallaci. Come mostrò il Nobel per l’Economia, Herbert Simon, la razionalità umana è limitata, non corrisponde a quella (perfetta) attribuita dalla teoria neoclassica all’Homo oeconomicus. Ignoranza ed errore sono costitutivamente inevitabili, e con loro gli effetti imprevisti dell’azione.
– Prevalenza del breve periodo e pregiudizi di valore. Entrambe operano spesso nella sfera politica.
– Profezie autoavveranti: quelle che si ritorcono contro chi le fa. Durante la crisi del 1929, molti risparmiatori si convinsero che le banche sarebbero fallite e si precipitarono a ritirare i propri risparmi. Rimasti a corto di liquidità, molti istituti fallirono per davvero.
Individuare i meccanismi alla base degli effetti non previsti significa poterli almeno in parte controllare; il boomerang veniva anticamente usato come arma da combattimento. Siccome, nel mondo sociale, gli effetti boomerang sono spesso negativi, è giusto comprenderne il funzionamento e mettere in atto le più efficaci tattiche di difesa. Cercando di sconfiggere la realtà prima che questa possa prendersi la rivincita.
Per fortuna le cose possono anche andare meglio del previsto, come nel caso di Alexander Fleming a cui si deve la scoperta della penicillina, il primo antibiotico, imbattendosi in una muffa, il penicillium notatum, che ha distrutto una delle colture di batteri su cui stava lavorando. O la vicenda di un padrone di casa che aumenta la pigione ai due inquilini. La conseguenza inattesa è l’invenzione di Airbnb da parte dei due che, per far quadrare i conti, decidono di affittare i tre materassi ad aria che hanno in casa (ecco svelata la ragione dietro il prefisso Air)
La cultura dell’onestà nei luoghi di lavoro: con i nudge si può!
«Ci sono persone oneste nel mondo, ma solo perché il diavolo ritiene che il prezzo che chiedono è incredibilmente alto». Questione di punti di vista, ma è difficile non sorridere ironicamente di fronte alla definizione che lo scrittore americano Peter S. Beagle dà a un concetto al contempo tanto concreto quanto astratto e su cui i Nudge possono fare molto, anche se sono in pochi (ancora) a saperlo.
L’onestà è come la dieta
Comportarsi in modo onesto non è facile, siamo onesti… E non sempre gli esempi resi salienti dagli organi di stampa ci aiutano a rimanere saldi sui nostri buoni propositi. Per fortuna però resistere alla tentazione di mettere in atto comportamenti poco, se non addirittura, non etici, non è una missione impossibile, come invece si potrebbe pensare.
A dirlo lo studio pubblicato sulla rivista Personality and Social Psychology Bulletin. Secondo Ayelet Fishbach e Oliver J. Sheldon, l’onestà sarebbe un po’ come una dieta: difficile da seguire se non si tiene bene a mente l’obiettivo (onestà) per cui si è aderito a quello specifico regime alimentare, e le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni.
Nello studio, i due ricercatori hanno svolto diversi esperimenti con un gruppo di volontari posti di fronte a una serie di dilemmi. In una prova i partecipanti hanno impersonato il venditore di un palazzo storico e un potenziale acquirente, con due obiettivi molto diversi: il venditore doveva evitare che la proprietà fosse distrutta, mentre il compratore puntava a demolirla per costruire, al suo posto, un hotel.
Prima di iniziare, a metà di loro è stato chiesto di ricordare una situazione in cui in passato si erano comportati in modo disonesto e quali conseguenze questo avesse portato. Tra loro il 45% dei compratori ha mentito nel corso della fase di contrattazione per l’acquisto della proprietà, mentre la percentuale nell’altra metà dei partecipanti è stata del 65%.
In un secondo esperimento è invece stato chiesto ai partecipanti di valutare se fossero o meno accettabili una serie di comportamenti disonesti sul lavoro, come darsi malati per prendere un giorno di vacanza, rubare penne e cancelleria dall’ufficio, o rallentare il ritmo di lavoro per evitare di ricevere mansioni aggiuntive. Chiedendo ad alcuni di loro di riflettere su una serie di dilemmi etici, prima di partecipare alla prova, i ricercatori hanno notato che in questo modo diminuiva notevolmente la possibilità che giudicassero accettabili i comportamenti disonesti in esame. Secondo i due ricercatori Fishbach e Sheldon, i risultati indicherebbero che è più facile comportarsi onestamente se ci si ricorda delle conseguenze del comportamento disonesto e se non ci si prepara per tempo per resistere alla tentazione.
La situazione non è dunque così drammatica, per fortuna. E a venire ulteriormente in aiuto, per aumentare la propensione umana all’onestà, ci sono i Nudge. La strategia gentile che aiuta a rendere semplici anche le scelte più complesse.
Attenzione a dove si firma
Uno degli éscamotage più efficaci è quello di rendere saliente il valore dell’onestà. Come? Facendo porre la firma su documenti e certificazioni, in alto anziché in basso, prima cioè della compilazione anziché al termine, come invece solitamente avviene. Questo piccolo Nudge ha la funzione di indirizzare l’attenzione su se stessi e portare a effetti sorprendentemente potenti sul comportamento morale che poi andremo ad agire. La firma è un modo per attivare l’attenzione verso se stessi e verso i valori in cui crediamo.
Apporre il proprio nome prima di inserire informazioni (piuttosto che alla fine) risveglia in noi il valore dell’onestà e questo ci spingerà a rispondere alle domande in modo più sincero. L’attuale pratica di firmare dopo aver riportato le informazioni suggella il danno: immediatamente dopo aver mentito, le persone si impegnano rapidamente in varie giustificazioni, reinterpretazioni e altri trucchi come sopprimere i pensieri sugli standard morali che consentono loro di mantenere un’immagine di sé positiva nonostante abbiano mentito. Detto in modo semplice, una volta che un individuo ha mentito, è troppo tardi orientarne l’attenzione verso l’etica, richiedendo una firma.
È davvero così semplice? Sì.
A supporto di tale Nudge sono stati condotti alcuni esperimenti: uno di questi è stato misurare l’onestà di un gruppo di volontari impegnati a risolvere problemi matematici e la cui soluzione generava loro dei guadagni.
A seguito del compito loro assegnato, i soggetti sono stati incaricati di comunicare i propri guadagni, le spese e il tempo di viaggio, dopo di che avrebbero ricevuto il pagamento. I soggetti hanno quindi avuto l’opportunità di aumentare il proprio reddito, segnalando guadagni esagerati sul modulo di autodichiarazione.
I risultati dell’esperimento hanno mostrato poca differenza fra i soggetti che avevano firmato una dichiarazione di onestà alla fine del modulo e coloro ai quali non era stato fatto firmare nulla (a imbrogliare è stato il 63% per chi ha firmato a fine modulo e il 79% per coloro cui non è stata richiesta alcuna firma).
Per coloro i quali avevano invece firmato prima di compilare il modulo, le dichiarazioni disoneste si sono attestate intorno al 37%. Ciò suggerisce che rendere saliente il valore dell’onestà prima che le persone agiscano, può avere effetti significativi sulla loro tendenza a essere oneste.
Scarsa consapevolezza
Uno dei motivi per cui le persone tendono a comportarsi in modo poco onesto, è che non sempre hanno un consapevole accesso ai propri standard morali. Non sono cioè attente a ciò che le porta ad agire, ciò che indirizza le loro scelte e decisioni.
Le persone valutano le azioni secondo valori e standard interni. Una mancanza o una lassità di autocoscienza, potrebbe quindi indurle a mostrare comportamenti disonesti, anche se questo non è coerente con il loro standard morale.
Firmare una dichiarazione di onestà in cima al modulo, è in questi casi efficace nel promuovere l’onestà, poiché attiva la bussola morale interna delle persone prima che agiscano.
Anche se questo non è l’unico incentivo progettato per promuovere l’onestà, il suggerimento proposto è abbastanza facile da implementare e può potenzialmente avere grandi benefici sia per l’individuo sia per la società. Come accennato in precedenza, il problema non è che gli individui siano dei bugiardi senza scrupoli, ma che molti di noi siano più inclini a un po’ di disonestà se ne hanno la possibilità. Come suggeriscono le evidenze, le persone possono essere aiutate a rimanere coerenti rispetto i loro standard di onestà, se la loro bussola morale viene attivata appena prima di agire.
Fonti:
Sheldon O.J., Fishback A., Anticipating and Resisting the Temptation to Behave Unethically, May 22, 2015
Shu L., Mazar N., Gino F., Ariely D., Bazerman M. H., Signing at the beginning makes ethics salient and decreases dishonest self-reports in comparison to signing at the end, PNAS September 18, 2012
English version: https://centrostudi.comunicazionestrategica.it/en/the-culture-of-honesty-in-the-workplace-with-nudges-you-can/
Le neuroscienze dietro le quinte del Cirque du Soleil
Vi è mai capitato, assistendo a uno spettacolo, di emozionarvi fino alle lacrime, senza però essere poi capaci di spiegare il vissuto emotivo?
Questo è ciò si prefigge il Cirque du Soleil (CdS), probabilmente lo spettacolo teatrale, dal vivo, di maggior successo nell’evocare risposte emotive nel pubblico.
Per fare questo il CdS ha assunto neuroscienziati, artisti e tecnologi del Lab of Misfits, un laboratorio di ricerca, per capire cosa succede nella testa degli spettatori quando assistono a un loro spettacolo, quale necessità umana soddisfa e come questa scoperta può essere usata a vantaggio di comportamenti più funzionali nel quotidiano.
Lo studio si è concentrato, per cinque sere consecutive e un totale di dieci spettacoli, su 282 persone del pubblico.
Le metriche
Un gruppo di partecipanti è stato monitorato con elettroencefalogramma e nel momento in cui la popolazione presa in esame riferiva di provare stupore e soggezione, si è scoperto che l’attività cerebrale nelle loro cortecce prefrontali (la parte del cervello che decide le intenzioni e poi le agisce) diminuiva. Ad aumentare era invece l’attività nella parte del cervello associata al pensiero creativo, quando si sogna a occhi aperti o si immagina.
A un secondo gruppo, invece, sono stati consegnati questionari di valutazione delle sensazioni vissute.
Coloro che hanno provato stupore e soggezione hanno riferito di:
Lo studio
L’obiettivo dell’esperimento era capire se fosse possibile, anche grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale, prevedere le condizioni che generano soggezione, stupore e timore e come servirsene per stimolare creatività, problem solving, spirito di gruppo e consapevolezza.
Se ci pensiamo bene stupore e soggezione sono le stesse sensazioni che si provano durante una parata militare o guardando simboli partitici: le persone si sentono una cosa sola unitamente a quelle di altri gruppi, purché facciano tutti parte di un gruppo più grande con una potente figura di autorità al comando.
Tali sensazioni possono aiutarci molto di più di quanto abbiamo pensato finora.
Cosa fare per trasformare lo stupore
Ciò che le neuroscienze hanno dimostrato è che provare stupore porta a una maggiore consapevolezza delle cose che non conosciamo, il che a sua volta ci rende più propensi a cercare nuove esperienze per colmare queste lacune e a temere meno l’incertezza.
Lo stupore è quindi il preambolo della curiosità e della creatività e un’arma formidabile contro l’incertezza.
Questo avviene, perché:
Effetto Dunning-Kruger
Lo stupore è anche un attivatore di conoscenze: una volta che diventiamo consapevoli di una particolare lacuna cognitiva, questa consapevolezza produce in noi un maggiore interesse e la necessità di saperne di più.
In uno studio i ricercatori hanno chiesto ai partecipanti di guardare un video inerente la scienza che induceva soggezione e stupore. Poi hanno offerto loro biglietti gratuiti per visitare un museo delle scienze o un museo d’arte. I partecipanti hanno scelto il museo della scienza nel 68% dei casi, rispetto al museo d’arte (32%).
“La maggior parte della gente non sa quello che non sa”, dice McPhetres (il primo ricercatore a testare empiricamente la relazione tra stupore e conoscenza) riferendosi a ciò che gli psicologi chiamano l’effetto Dunning-Kruger.
Questo tipo di esperienza fa sì che la gente faccia domande, ricerchi, si informi, legga, cerchi risposte in modo metodologico e sistematico.
Qual è l’utilità di queste informazioni?
L’esperimento di McPhetres si può applicare trasversalmente su molti ambiti e non solo quello scientifico. Ci dice che se riusciamo a rendere stimolanti e interessanti i temi che vogliamo divulgare, quegli stessi temi diverranno automaticamente più stimolanti e interessanti agli occhi dei nostri osservatori, chiunque essi siano.
CdS lo ha fatto con uno spettacolo, ma pensiamo a quante informazioni potremmo veicolare e quanti dibattiti potremmo incoraggiare, quanti studenti potremmo catturare se sapessimo spingere (nell’accezione proposta dal termine nudge) le persone a usare lo stupore come tramite della conoscenza.
Come ha affermato McPhetres “Una cosa è chiara. Mostra ciò che vuoi proporre/divulgare/ vendere, in tutta la sua reale bellezza e stai certo che verrà percepita come magnifica e misteriosa. Mostra agli studenti alcuni usi reali e applicabili delle minuzie teoriche che stai per condividere loro e vedrai lievitare il loro interesse”.
Obiezione
Alcuni lettori potrebbero obiettare l’ovvietà di quanto ho scritto sullo stupore. Vero. Ciò che non lo è, è il fatto che spesso (troppo) si usa “l’effetto wow” in modo manipolatorio, per vendere corsi/prodotti che hanno poco o nulla di sorprendente.
Se invece usassimo lo stupore per creare coinvolgimento, consapevolezza e conoscenza, potremmo ottenere gli stessi risultati, o forse non molti di più, e raggiungere i medesimi obiettivi in modo più gentile e duraturo nel tempo e con meno sforzo di quanto si pensi.
Datemi pure della visionaria…
Fonti:
https://greatergood.berkeley.edu/article/item/awe_boosts_health?fbclid=IwAR27sTxS76_wih1sOMt4IzLYyL5tQ_L0m4geGdXU8xZk127RQcGaQahdthc
– https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/10400419.2018.1446491?journalCode=hcrj20&fbclid=IwAR27sTxS76_wih1sOMt4IzLYyL5tQ_L0m4geGdXU8xZk127RQcGaQahdthc
https://greatergood.berkeley.edu/dacherkeltner/docs/shiota.2007.pdf?fbclid=IwAR3Ln0B68-is9cbVHPCAJfoLBQrArOlEg0wHPyzBMwozDg7rLzpOqjucf8k
Podcast – BAATS e Dikton intervistano Laura Mondino a proposito di “La teoria dei Nudge e le domande di manager ed executives”
Baats (brain available at your service) e Dikton intervistano Laura Mondino a proposito di “La teoria dei Nudge e le domande di manager ed executives”.
La teoria dei nudge e le domande di manager ed executive (spreaker.com)
Il LAVORO si PAGA. SEMPRE
E’ l’avviso che vorrei che tutti, sul proprio biglietto da visita, facessero imprimere. A scanso di equivoci e a protezione di chi più facilmente di altri, cade vittima di millantatori e manipolatori.
In poco più di due mesi, è il terzo cliente che mi chiama perché lo aiuti a prendere una decisione in merito ad una proposta di collaborazione “interessantissima e irrinunciabile”, alla quale però non solo non ci sarebbe remunerazione, ma addirittura viene chiesto del denaro (non poco) in cambio.
E’ indiscutibile la capacità manipolatoria di questi “venditori” di opportunità, ma ciò che più mi ha fatto pensare è che ben 3 (quindi non una coincidenza) manager di alto profilo, con un lavoro invidiabile e contenti di ciò che fanno, abbiano anche solo preso in considerazione simili proposte.
Ripensando agli studi fatti negli anni, riconduco il tutto a due facce dello stesso fenomeno. La prima, di ordine socio-culturale, chiama in causa la svalutazione del lavoro intellettuale, e della persona in questione. La seconda è di ordine antropologico: il commercio a prezzo fisso nasce con i grandi magazzini nell’800, precedentemente vigeva la pratica della contrattazione, erede del baratto, che nella sua versione più estrema includeva anche l’eventualità dell’acquisizione a titolo gratuito o per baratto.
Diverso, invece, il percepito per chi formula la richiesta. Chiedere può essere sfrontato, ma non è un peccato, e l’imbarazzo si fa pari a zero se sostenuto dalla miracolosa frase “senza fini di lucro”.
Ai professionisti che seguo, rispondo a questo quesito così: accettare un lavoro gratis o addirittura a fronte di un pagamento, senza le dovute riflessioni, ma solo per ‘esserci’, corrisponde ad auto-svalutare il valore della propria professionalità e le proprie competenze.
Se però quella di pagare per lavorare è una scelta alla quale non puoi sottrarti ricorda: il tuo lavoro sarà quotato di conseguenza sia dalle persone con cui hai già collaborato (e che ti faranno nuove proposte basandosi su questo dato, sottintendendo cioè che tu questi progetti li segui gratis o addirittura paghi tu chi te li commissiona), sia dal network che gira attorno a queste persone e riposizionare il proprio valore economico sarà molto difficile!
Imparare a dire no o avanzare richieste non è sempre facile, intendiamoci, ma è una scelta che ti tutela e che come professionista devi imparare a fare.
20 – 27 Aprile 2021 – Bias, Nudge e processi decisionali – Fiera Verona
Il 20 e il 27 Aprile 2021 – Corso formativo su “Bias, Nudge e Processi decisionali” – Fiera Verona
Un ladro gentiluomo, un rasoio e il bias dell’ovvietà
Per comprendere il contesto, occorre tornare nella New York di inizio secolo scorso, quando un uomo elegante, armato di una Colt calibro 9, era solito entrare nelle banche che avrebbe svaligiato, chiedendo a tutti in modo garbato, gentile e sorridendo, di alzare le mani.
Acuto e curioso (leggeva Dante, Shakespeare, Proust e Platone), riuscì ad accumulare in quarant’anni di rapine, tutte in pieno giorno e senza mai sparare un colpo, due milioni di dollari. Non pochi per quei tempi.
La storia di William Francis Sutton, Willie per gli amici, non è però una storia a lieto fine, condannato all’ergastolo, verrà alla fine liberato per buona condotta e per un cancro ai polmoni che un decennio dopo se lo porterà via. Colpa di quelle sigarette fatte in casa che fumava continuamente. L’unico suo vizio insieme a quello di rapinare banche.
La Legge di Sutton
L’intera vita di Willie, per arrivare al punto, si può riassumere parafrasandolo: «Se mi avessero chiesto perché rapinavo banche, avrei risposto semplicemente “perché mi piaceva” e “perché è lì che ci sono i soldi».
Questa citazione “perché è lì che ci sono i soldi”, si è evoluta fino a diventare la legge di Sutton (Sutton’s slips bias): il limite, la fallacia, per fare un esempio in campo medico, di enfatizzare l’ovvio, ossia la diagnosi più probabile, scartando a priori ogni altra alternativa (sintomo, dato, fattore). In altri termini è il bias che porta a non voler prendere in considerare elementi e dati al di fuori dello standard, nel timore di sprecare inutilmente tempo, denaro e risorse più efficaci se collocate altrove.
Il rasoio di Occam
La contrapposizione con il rasoio di Occam, a questo punto, è obbligata: «Se senti gli zoccoli pensi al cavallo, non alla zebra. A meno che non vivi in Africa». Non sempre, di fronte a un problema, cerchiamo la spiegazione più semplice, eppure nella stragrande maggioranza è quella giusta. In altre parole: a parità di elementi la soluzione di un problema è quella più ragionevole.
Se la legge di Sutton – che giustifica il fatto di rapinare banche perché è lì che si trova il denaro – incoraggia il medico, l’analista, il ricercatore (per fare qualche esempio) a concentrarsi sui dati che possono fornire i massimi risultati, e non a stimare le probabilità in base alla rapidità o la facilità con cui può ricordare esempi analoghi, il rasoio di Occam induce invece a non perdersi in voli pindarici alla ricerca di chissà quali evidenze, se non ci sono le condizioni che li giustifichino.
Aver trattato di recente una data patologia può talora indurre a ritenerla più comune di quanto non sia in realtà. Aver curato un paziente colpito da un raro effetto collaterale di un farmaco, può spingere il medico a evitare quel farmaco, e farsi quindi vittima di un altro insidioso effetto, il bias dell’ancoraggio.
Complicare le cose semplici
Ciò che suggerisce la ragione, è trovare l’equilibrio, destreggiandosi fra Sutton e Occam, ricordandosi che è inutile complicare una teoria o aggiungere elementi a una discussione se non serve per arrivare alla soluzione o per rendere edificante qualcosa. Ma nemmeno trascurare elementi che appaiono del tutto incongruenti e che non possono spiegare secondo logici criteri, un dato contesto.
Per traslare il concetto in tutt’altro campo, non è ancora del tutto chiaro come gli antichi Egizi riuscirono a costruire le Piramidi: è possibile ipotizzare che lo abbiano fatto grazie a tecnologie avanzate fornite loro da civiltà aliene, ma seguendo quanto detto finora è preferibile supporre che ci siano riusciti da soli sfruttando in modo ingegnoso le conoscenze dell’epoca.
In questo modo non siamo obbligati a ipotizzare una serie di condizioni particolari – che gli alieni esistano, che siano riusciti ad arrivare sulla Terra, a comunicare con gli Egizi e poi a scomparire senza lasciare tracce – e possiamo spiegare lo stesso fenomeno, le Piramidi, facendo ricorso a meno ipotesi più concrete.
Ciò che non ci piace non è necessariamente sbagliato
L’importanza dei due effetti sta nel costringerci a distinguere tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo, nel vietarci di andare oltre la più semplice descrizione possibile e contemporaneamente di arrenderci all’ovvio, così da aiutarci a stare alla larga dalle conoscenze presunte e capire dove le nostre teorie sono incomplete e hanno bisogno di essere migliorate.
Questo però non vuol dire che possiamo usare tali effetti come armi improprie (che qualcuno chiama ironicamente “la motosega di Ockham”) per fare a pezzi le teorie che non apprezziamo, magari perché non rispondono a una definizione arbitraria di semplicità o non condividono i nostri presupposti.
Qualche volta, specialmente in temi complessi come la politica o l’economia, si assiste a usi spericolati del rasoio di Occam e del Sutton Effect che fanno accapponare la pelle, ma in questi casi si tratta di propaganda e non di buona pratica scientifica.
Nudge a “Architetti di contesti” – 4 chiacchiere con Carlo Marchesi
Una spettacolare chiacchierata nei dintorni dei #nudge e delle #spintegentili con Laura Mondino
Laura Mondino è direttrice del Centro Studi di Direzione Strategica, divulgatrice, scrittrice di (Neuro)Scienze, si occupa di #bias, #nudge, #neuroscienze, #comportamenti e #decisionmaking
Autrice di “Nudge revolution. La strategia per rendere semplici scelte complesse”
https://lnkd.in/dDegKsFe
4 marzo ’21 Carlo Marchesi di “Architetti di Contesti” intervista Laura Mondino a proposito di Nudge & dintorni
Carlo Marchesi di “Architetti di Contesti” si confronta con Laura Mondino su Nudge e dintorni
Chi è il chirurgo? Come i bias influenzano decisioni e ragionamenti
Chi è il chirurgo? Come i bias influenzano decisioni e ragionamenti
Inizierò questo articolo, lanciando una sfida.
Si tratta di risolvere un indovinello. L’unica condizione che va rispettata è relativa alla tempistica. Una volta letta la domanda, la risposta deve arrivare entro 33 millesimi di secondo.
Padre e figlio vengono coinvolti in un terribile incidente automobilistico.
L’uomo muore sul colpo. Il ragazzo, ferito gravemente, viene portato in ospedale.
In sala operatoria, il chirurgo reperibile, appena vede il paziente afferma: «Non posso operare – questo è mio figlio».
Come è possibile?
Questo indovinello, noto come dilemma del chirurgo, è utile per (di)mostrare come funzionano i pregiudizi, gli stereotipi, le convinzioni e le credenze. Come e quanto, cioè, ci lasciamo influenzare da bias ed euristiche, o più comunemente trappole mentali, a riprova dell’irrazionalità di cui l’umanità è vittima.
Se, trascorsi i 33 millesimi di secondo, non si arriva a una soluzione, occorre rileggere il quesito e rianalizzare il contesto da una prospettiva differente, facendo attenzione al tempo che la risposta richiederà.
Perché 33 millesimi di secondo? È il tempo che impiega il nostro cervello emotivo, l’istinto, ad analizzare una situazione di incertezza e di rischio e a prepararsi a gestirla, prima cioè che diventiamo consapevoli di ciò che sta accadendo. In altre parole, la soluzione all’enigma più è veloce, più evidenzierà l’impermeabilità all’invadenza di bias, pregiudizi e convinzioni; viceversa, occorrerà riconsiderare il modo in cui vengono prese alcune decisioni.
Tornando al nostro indovinello, prima di dare la soluzione, voglio fare una rassicurazione: l’86% delle persone a cui è stato sottoposto il dilemma non è riuscita a svelare l’arcano. A causa della natura subdola dei pregiudizi inconsci: non siamo consapevoli di averli e questo di per sé rende più difficile identificarli e quindi prevenirli o quanto meno gestirli in modo funzionale.
Good Morning America
Il dilemma del chirurgo è stato proposto in diversi contesti, sia accademici sia pubblici, con risultati sovrapponibili.
Nel 2010 quando il programma televisivo Good Morning America, ha proposto l’enigma, in modo randomico, per le strade di Manhattan (New York), la maggioranza delle persone coinvolte non è stata in grado di dare la soluzione. Quando invece i produttori del programma hanno posto il medesimo quesito a ragazzi di quinta elementare, la maggior parte ha risposto in modo corretto, senza nemmeno doverci pensare troppo.
Le soluzioni via via tentate sono piuttosto creative, come attribuire alla madre una relazione extraconiugale o classificare la coppia come omosessuale. In realtà è tutto molto più semplice di così: il chirurgo è la madre del ragazzo.
Di fronte a un problema si tende a cercare la spiegazione più articolata, ignorando volutamente quella più elementare, proprio perché troppo elementare, anche se nella stragrande maggioranza dei casi è quella giusta. Si tratta di un chiaro riferimento al rasoio di Occam: “Se senti gli zoccoli pensi al cavallo, non alla zebra”. A meno che non tu viva in Africa.
In altre parole: a parità di elementi, la soluzione di un problema è quella più ragionevole. Inutile complicare una teoria o aggiungere elementi a una discussione se non servono ad arrivare alla soluzione o a rendere edificante qualcosa.
Gender Bias
Adolescenti e bambini, a differenza degli adulti, non hanno idee preformate sul genere che dovrebbe avere un chirurgo. Non danno per scontato che un chirurgo debba essere solo maschio, ecco perché faticano molto meno ad arrivare alla naturale conclusione.
Nello specifico, quello in cui si cade è il gender bias, l’errore che ci fa incasellare e classificare, senza che neanche ce ne accorgiamo, professioni e lavori in base al sesso.
Il dato ancor più interessante è che in quell’86% che ha dato la risposta sbagliata, o non l’ha data affatto, la metà sono donne, molte delle quali medici di professione. Il gender bias, insomma, non risparmia nessuno!
A questo punto si potrebbe obiettare che il dilemma del chirurgo è datato e che nel frattempo le cose potrebbero essere cambiate. Purtroppo, 9 persone su 10, secondo una ricerca del 2020, ad opera dello United Nations Development Program che elabora i dati raccolti in 75 Paesi nel mondo, rappresentativi dell’81% della popolazione globale, ha pregiudizi nei confronti delle donne.
La ricerca è basata su un indice che misura come l’uguaglianza di genere in politica, nel lavoro e nell’istruzione sia ostacolata da credenze sociali profondamente radicate. Gli uomini sembrerebbero avere pregiudizi più forti rispetto alle donne, ma la differenza è minore di quanto si possa pensare: l’86% delle donne e il 91% degli uomini ha almeno un pregiudizio nei confronti dell’universo femminile.
8 persone su 10 ritengono che gli uomini siano leader politici migliori, 4 su 10 pensano che siano più adatti a ricoprire ruoli di leadership nelle aziende e che i posti di lavoro debbano essere assegnati prioritariamente agli uomini in condizioni in cui il lavoro scarseggia. Questi dati risultano ancora più “scioccanti” se si pensa che circa 3 persone su 10 (il 28% degli intervistati) ritengono accettabile che un uomo possa essere violento con la propria moglie.
Tutta questione di statura
Se la situazione non è edificante per le donne, nemmeno gli uomini escono indenni dai pregiudizi di genere. L’altezza può, a seconda del colore della pelle, essere un acceleratore di carriera o un indicatore di pericolosità.
I leader di sesso maschile con un’altezza superiore al metro e 80 hanno maggiori opportunità di fare carriera, avere promozioni e vantano stipendi più alti del 15% dei loro colleghi di altezza inferiore.
L’altezza è considerata un tratto distintivo molto importante, benché rappresenti lui stesso, un bias. Quando ci si sente importanti, tendiamo a percepirci più alti di quanto realmente siamo e la stessa cosa la proiettiamo sulle persone che ci stanno intorno: più sono influenti e più le vediamo alte.
Questa trappola insidiosa è la stessa che porta molte persone ad attuare éscamotage di ogni tipo per sembrare più alte, come inserire solette nelle scarpe, gonfiare il volume dei capelli, senza contare il nuovo approccio della chirurgia estetica: c’è chi si fa spezzare le ossa per far inserire barre e guadagnare così qualche centimetro in altezza.
La statura può rappresentare un fattore potenziante nella carriera di un uomo. Ma solo se è bianco. Ed ecco che torniamo al gender bias.
Per gli uomini di colore, essere troppo alti favorisce invece l’idea di pericolosità. Le ricerche hanno mostrato che, negli Stati Uniti, gli uomini di colore alti sopra i 190 cm, sono fermati e perquisiti dalle forze dell’ordine 6,2 volte in più dei bianchi di medesima altezza. Oltre a essere considerati meno intelligenti.
Difficile, a questo punto, guardare ancora alla forza dei bias con occhi distratti.
Laura Mondino
Fonti:
Barlow, R. (2014) BU Research: A Riddle Reveals Depth of Gender Bias.
http://www.bu.edu/today/2014/bu-research-riddle-reveals-the-depth-of-gender-bias/
http://hdr.undp.org/sites/default/files/hd_perspectives_gsni.pdf
Rosenberg I.B., Height Discrimination in Employment (Feb 16, 2009). Utah Law Review, No. 3, p. 907, 2009: https://ssrn.com/abstract=1344817 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.1344817
Lenzmeier T., Study: being talli s a positive trait for white men; for black men, not so much, UNC Media Hub, April 10, 2018
Hester N., Gray K., For black men, being tall increases threat stereotyping and police stops, Proceedings of the National Academy of Science of the USA, vol. 115, No. 11, p. 2711-2715, March 13, 2018