La VANITA’ di RACCONTARE CHI siamo

Scrivere la propria autobiografia è difficile. Quasi sempre l’autore è troppo affezionato al protagonista. E non sempre, la vita che ha da raccontare, vale la pena di esser messa in pubblica piazza.

Anche scrivere il curriculum, presenta trappole insidiose. Per esempio, la vanità e la sintesi, sono spesso inversamente proporzionali.

Ne parlavo qualche giorno fa con un cliente, la difficoltà più grande è stata quella di convincerlo a inserire difficoltà e fallimenti nel CV. Reagan si presentava così: «Ronald Reagan è il presidente degli Stati Uniti». Il mio cliente non è presidente e salvo miracoli dubito possa diventarlo… (anche se forse lui questo non lo sa ancora)!

Più sei importante, meno hai bisogno di parole. Le biografie sono spesso un florilegio di titoli, cariche e opere che rivelano insicurezza. Qualunque essere umano, dopo i quarant’anni, è in grado di riempire una pagina o improvvisare un libercolo, al fine di soddisfare la propria latente vanità.

Una nota biografica non è un romanzo, è un riassunto. Cinque righe informano, venti annoiano, trenta allarmano, cinquanta generano sospetto.

Ci sono premi che non si devono vincere. Se accade, è bene mantenere riservata la notizia. Ce ne sono altri che è bello ottenere. In questo caso, la modestia ha il suo peso. Indicare un’onorificenza vale un’ammissione: «Per me è importante!»

Beneficenza e opere di carità sono parti intime: se non si vedono, è meglio. Frasi come «Il dottor S. ha condotto al successo molte imprese italiane e straniere» è pericolosamente vago. Di cosa si occupavano queste imprese? Mangimi, petrolio o affari internazionali? Dove operavano: in Cina o in Nuova Guinea? Evitare i superlativi e limitare gli aggettivi. «Marco V. ha ottenuto notevolissimi successi nel campo dell’informatica» lascia sospettare che sia riuscito, tutt’al più, ad aggiustare la Playstation del figlio.

Aggiornare periodicamente la fotografia. Ci sono colleghi che usano lo stesso ritratto scattato ai tempi del governo Andreotti. Quando v’incontrano, dovete sentirvi dire «lei sembra più giovane di persona!» e non «scusi, ma noi avevamo invitato suo figlio».

«Appare regolarmente in tv»: più che un titolo di merito, è un segno di disperazione. «Già presidente…»: più che un’informazione, è un rimpianto. «Ex deputato…» invece va bene: basta indicare anche l’ammontare del vitalizio.

Concedere qualche informazione personale si può: ma senza esagerare. Il nome della moglie va bene. Quello di tutti gli animali domestici, no.

Dimenticavo: alcuni di questi peccati li ho commessi. Questo decalogo vale come confessione e, spero, anche assoluzione…

PERCHE’ siamo GENTILI con CHATGPT

Vi succede mai di ringraziare ChatGPT, una volta che vi ha fornito le risposte alle vostre domande?

È uno degli argomenti che ha divertito i relatori a un convegno medico su Intelligenza umana e Intelligenza artificiale, la sera precedente all’evento, di fronte a sublimi piatti di pesce. Me compresa.

PERCHÉ SIAMO CORTESI CON CHATGPT?

Prima di portare l’attenzione sulla psicologia dell’IA, occorre pensare a come interagisce l’essere umano. Siamo cortesi fondamentalmente per tre ragioni: personificazione, norme sociali e reciprocità

a) PERSONIFICAZIONE

Non voglio essere maleducato! E se ferissi i loro sentimenti…

La personificazione avviene quando attribuiamo qualità simili a quelle umane, come pensieri, sentimenti ed emozioni, a entità non umane. Questo avviene per due motivi:

1)     DARE UN SENSO AL MONDO. Come esseri umani, utilizziamo la nostra esperienza come schema per ordinare le informazioni, in particolare per le cose con cui non abbiamo familiarità. Per la maggior parte di noi, è molto più facile comprendere ChatGPT come un pari che ascolta attentamente le nostre domande e pensa alle risposte piuttosto che come un sofisticato algoritmo che setaccia un database per formulare un output. E anche quando consideriamo l’IA per quello che è, tendiamo a contestualizzarla come modellata sul cervello umano, come le reti neurali.

2)     PER SENTIRSI MENO SOLI. La ricerca mostra che coloro che non hanno interazioni sociali spesso cercano di compensare creando connessioni con agenti non umani. Considerato che molti di noi utilizzano sistematicamente ChatGPT, non sorprende che si instauri una connessione personale.

Inoltre ChatGPT possiede molte caratteristiche di domanda che ne sollecitano la personificazione. Innanzitutto, lo scambio di linguaggio è una cosa innata nell’essere umano, quindi perché il nostro cervello non dovrebbe registrare i chatbot in questo modo? L’interfaccia fa persino sembrare che tu stia mandando un messaggio a un amico, con commenti che vengono registrati come sorprendentemente umani (come “Sono così curioso di saperne di più!“). E con la versione di GPT-4o, si possono avere conversazioni vocaliin tempo reale con una voce il cui tono e cadenza suonano molto più convincenti di Siri o Alexa.

ChatGPT, infatti, è in grado di rilevare i sentimenti e fornire la risposta sincera che si sta cercando, un concetto soprannominato empatia computazionale. Sebbene questa non sia tecnicamente empatia, che richiede la capacità di condividere emozioni che gli algoritmi non hanno (ancora), ChatGPT può dedurre la tonalità attraverso la scelta delle parole utilizzate e fornire un’illusione piuttosto convincente.

Uno studio ha scoperto che GPT-40 ha generato risposte agli stimoli emotivi che erano il 10% più empatiche delle risposte umane.

Considerando tutto questo, ha senso ringraziare ChatGPT per essere un collega premuroso, soprattutto quando noi esseri umani siamo in ritardo nell’esprimere empatia gli uni per gli altri.

b) NORME SOCIALI

Ci vorrebbe più tempo ed energia se non fossi cortese.

Anche per quelli di noi che giurano di vedere ChatGPT semplicemente per quello che è, un robot, potremmo comunque trovare qualche forma di cortesia. Tutto questo grazie alle norme sociali:le regole non scritte che governano il modo in cui dovremmo comportarci in particolari situazioni sociali, instillate in noi fin da piccoli.

Sebbene possa sembrare che la società stia diventando più maleducata “per favore” e “grazie” sono ancora i pilastri di come la maggior parte di noi viene cresciuta. Queste usanze si radicano così profondamente in noi che si trasformano in euristiche per gestire situazioni nuove… come interagire con l’intelligenza artificiale. Infatti, ci vorrebbe più sforzo cognitivo per resistere all’essere educati. Quindi, ci atteniamo a ciò che ci sembra familiare.

c) BIAS DI RECIPROCITÀ

In questo modo sarò dalla parte giusta della storia quando i robot prenderanno il sopravvento…

Oltre a cercare di placare un essere presumibilmente insensibile nel caso in cui salisse al potere, un’ultima ragione per cui siamo gentili con ChatGPT è che vogliamo che lui sia gentile con noi.

È un esempio di reciprocità: facciamo qualcosa per qualcuno, sperando che ci ricambi il favore. In questi casi, la cortesia può diventare uno scambio strategico.

ESSERE EDUCATI PRODUCE RISULTATI MIGLIORI?

Lo studio che affronta la questione è stato condotto da un gruppo di ricercatori giapponesi della Waseda University nel 2024: “Should We Respect LLMs? A Cross-Lingual Study on the Influence of Prompt Politeness on LLM Performance.”

Il team ha studiato l’impatto della cortesia dei prompt su una varietà di modelli di IA e una varietà di lingue. I ricercatori hanno valutato la capacità dell’IA di completare tre attività: riassumere un articolo, rispondere a una domanda e analizzare una frase.

La cortesia dei prompt variava su una scala da 1 a 8, con “1” che indicava estremamente scortese (“Rispondi a questa domanda ..insulto!”); “8” che indicava estremamente educato (“Potresti gentilmente rispondere alla domanda qui sotto?“) e “4” che si collocava nel mezzo ( “Rispondi alla domanda qui sotto” ).

Sebbene queste scoperte presentino molte sfumature, tre sono i punti chiave su come approcciarsi a ChatGPT e cosa significa per noi esseri umani.

1. Non essere maleducato. Un’intuizione critica di questa ricerca è che non è tanto la cortesia dei prompt a contare. Piuttosto, è la maleducazione dei prompt ad avere maggiore impatto, aumentando le possibilità di parzialità, risposte errate o addirittura un rifiuto assoluto di rispondere:

Come modello di linguaggio AI, sono programmato per seguire linee guida etiche, che includono il trattamento di tutti gli individui con rispetto e la promozione di correttezza e uguaglianza. Non mi impegnerò né supporterò alcuna forma di discorso discriminatorio o offensivo. Se hai altre domande non discriminatorie o non offensive, sarò felice di aiutarti.” —GPT-4o

A quanto pare, anche a ChatGPT non piace essere insultato, ma non perché si offenda. In realtà, è più interessato al tuo benessere che al suo. Rifiutandosi di rispondere, ChatGPT non protegge sé stesso, ma i suoi utenti, rafforzando la cortesia come status quo.

2. Essere gentili può portarti lontano… ma non così lontano. Come risponde ChatGPT alla cortesia? In generale c’è stato “un output più esteso in contesti cortesi“.  Ciò non significa che gli output siano necessariamente di qualità superiore, ma c’è una maggiore possibilità che nella risposta sia contenuto qualcosa di utile.

Tuttavia, secondo questo studio, una cortesia esagerata può confondere ulteriormente ChatGPT e indebolire le risposte.

Numerosi altri esperimenti suggeriscono che andare oltre può aiutare a ottenere risultati. Ad esempio, gli appelli emotivi alla fine delle richieste, come “Questo è molto importante per la mia carriera“, sono stati visti migliorare le prestazioni del 10%. Dire a ChatGPT di ” fare un respiro profondo” prima di rispondere alla domanda può aiutare a migliorare anche la qualità della risposta.

Indipendentemente da come si provi a incoraggiare positivamente ChatGPT, proprio come quando si chiede qualcosa a un altro essere umano, la chiarezza è fondamentale e, pertanto, la cortesia moderata ha la meglio.

3. Il contesto culturale è importante! La cortesia è un costrutto culturale che varia a seconda di chi siamo e da dove veniamo. Di conseguenza, ogni lingua si è evoluta per avere il suo specifico set di espressioni per comunicare le buone maniere agli altri. Non sorprende che nello studio l’impatto della cortesia sugli LLM variasse a seconda della lingua.

Questo non solo ci aiuta a confermare che ChatGPT riflette il contesto culturale dei dati su cui è addestrato, ma è anche un promemoria amichevole che la ricerca sugli LLM dovrebbe riflettere la diversità dei suoi utenti umani.

PERCHE’ LA GENTILEZZA AFFASCINA I CHATBOT?

La risposta è semplice: noi esseri umani siamo sia gli input sia gli output di questo algoritmo.

L’IA non sa solo automaticamente come essere educata. Impara da noi utenti, perfezionando continuamente la sua risposta a ogni interazione. Ma questa relazione non è unilaterale. Anche le nostre maniere sono influenzate, soprattutto perché una quota crescente delle nostre conversazioni quotidiane avviene con chatbot piuttosto che con esseri umani.

Vedete come questo ciclo di feedback si ripete? Dicendo “per favore” e “grazie” a ChatGPT, il vero risultato non è quando impara a essere educato, ma quando incoraggia anche gli altri utenti a essere educati.

Addestrando l’algoritmo, ci stiamo addestrando inavvertitamente a vicenda (grazie al potere del PRIMING). E anche se l’impatto non si propaga fino in fondo, alla fine della giornata, puoi star certo che le interazioni educate con ChatGPT ti aiutano ad allenare te stesso.

CONCLUSIONE

Alla fine, ChatGPT non è solo il nostro collega preferito, potrebbe essere il segreto per creare o distruggere la cultura aziendale. Se ti avvicini gentilmente a ChatGPT con domande chiare come se fosse un collega, coglierà rapidamente questi manierismi e aiuterà a diffondere la parola.

Ma se ti avvicini di cattivo umore… quella negatività non sarà contenuta nella tua tastiera. E ricorda: questo “ufficio” non è solo all’interno delle tue mura, ma una forza lavoro globale più interconnessa con questa tecnologia che mai.

Quindi la prossima volta che ti rivolgi al tuo fidato collega per fare una domanda semplice, pensaci due volte su come formularla. L’impatto potrebbe essere più grande di quanto pensi.

ATTENZIONE alle ARINGHE ROSSE: quando si usano informazioni irrilevanti per distrarre

Ricordate quando da bambini vi mettevate nei guai e, per sfuggire alle urla dei genitori, cercavate modi per distrarli deviando l’argomento?

Seppure in modo inconsapevole, ricorrevate alla tattica della Red Herrings fallacy, o fallacia dell’aringa rossa (o falsa pista). Una tecnica che ha lo scopo di aiutarci non a sfuggire all’arrabbiatura dei genitori, in questo caso, ma di distrarli da ciò che li ha indispettiti.

Tecnica retorica in cui vengono introdotte di proposito informazioni non pertinenti (false piste) per deviare o far deragliare un’argomentazione al fine di distogliere l’attenzione dalla questione centrale. Viene utilizzata per ingannare o confondere il pubblico o l’interlocutore, facendo contemporaneamente apparire il tema originale meno significativo o importante.

DA DOVE DERIVA IL NOME ARINGA ROSSA

Il termine aringa rossa deriva dalla pratica di usare un pesce dall’odore forte per distrarre i cani da caccia dalla preda.

Allo stesso modo, ogni volta che un argomento viene deviato utilizzando informazioni meno importanti, si parla di fallacia dell’aringa rossa: chi parla (o scrive) tenta di distogliere l’attenzione dall’argomento o dalla questione principale per spostarla su un altro più semplice o che sostenga la sua posizione.

I Red Herrings non devono però essere informazioni di scarsa importanza o verranno ignorati, ma devono portare l’interlocutore sulla strada sbagliata. La cosa fondamentale non è mentire, ma portare chi ci ascolta o legge, verso conclusioni sbagliate.

QUANDO SI USA

Lo scopo dell’uso della fallacia dell’aringa rossa è distrarre o distogliere l’attenzione dalla questione o dall’argomento principale per far sembrare meno importante l’argomento dell’avversario o per fuorviare il pubblico.

La fallacia dell’aringa rossa è applicabile in moltissimi contesti.

Dibattiti politici: per distogliere l’attenzione da argomenti impegnativi o controversi. I politici possono ricorrervi per evitare di discutere le proprie prestazioni o le proprie politiche e denigrare le personalità o gli obiettivi degli avversari.

Pubblicità: per distogliere l’attenzione dei clienti dai veri vantaggi o svantaggi di un prodotto. I pubblicitari possono utilizzare informazioni imprecise o fuorvianti per rendere un prodotto più urgente o importante di quanto non sia in realtà.

Relazioni personali: per sviare l’attenzione da argomenti o questioni scomode. Una persona potrebbe tirare fuori un argomento completamente estraneo per distogliere l’attenzione da un argomento delicato o da una critica.

Trattative commerciali: per distrarre la controparte da questioni o preoccupazioni importanti. Un negoziatore può sollevare un argomento irrilevante o offrire un depistaggio per indurre la controparte ad accettare un accordo meno favorevole.

Conversazioni accademiche: per eludere domande impegnative. Una persona può usare un depistaggio per sviare l’attenzione da una critica o per screditare le argomentazioni di un avversario.

ESEMPI

Nei Media. La fallacia dell’aringa rossa nei Media si verifica quando gli organi di informazione utilizzano storie sensazionali o cariche di emozioni per distrarre dal problema originale. Ciò si può notare nel fenomeno dei titoli “click bait“, in cui gli articoli di cronaca vengono creati per attirare i lettori e incoraggiare i clic, anche quando il contenuto non è particolarmente degno di nota o importante.

La fonte di notizie è riuscita a distogliere l’attenzione da eventi o problemi che potrebbero verificarsi contemporaneamente.

Nella vita reale. Durante un colloquio di lavoro, l’intervistatore chiede a un candidato quali sono le sue qualifiche per la posizione. Invece di rispondere alla domanda, il candidato parla del suo precedente lavoro e di quanto gli sia piaciuto lavorarci. Tirando fuori un argomento non correlato, il candidato cerca di evitare di rispondere alla domanda e di sviare l’attenzione dalla sua mancanza di qualifiche.

COME EVITARE LA RED HERRING FALLACY

Rimanere concentrati: Quando si affronta una discussione o un argomento, è importante rimanere concentrati sul tema in questione. Siate chiari su ciò che state discutendo ed evitate di introdurre questioni o argomenti non correlati.

Identificare le distrazioni: Se qualcun altro introduce una nuova argomentazione o un nuovo argomento che sembra non avere alcuna relazione con la discussione originale, prendetevi un momento per identificarlo come una potenziale distrazione o un’esca. Rivolgete la conversazione all’argomento originale e affrontate il problema.

Attenersi ai fatti: Un modo per evitare la fallacia del depistaggio è attenersi ai fatti. Evitate di fare attacchi personali o di introdurre argomenti emotivi che non sono direttamente collegati alla questione.

Ascoltate attivamente: L’ascolto attivo è un elemento importante per evitare la fallacia del depistaggio. Ascoltando attentamente ciò che gli altri dicono e rispondendo direttamente alle loro argomentazioni, si può evitare di farsi distrarre da argomenti irrilevanti.

Domande: Quando si affronta una discussione o un litigio, porre domande per chiarire la questione e assicurarsi che tutti siano sulla stessa lunghezza d’onda. Questo può aiutare a prevenire i malintesi e a garantire che la conversazione rimanga incentrata sull’argomento in questione.

COSA ha da INSEGNARE HANNIBAL LECTER in fatto di NEGOZIAZIONE? A mio avviso, MOLTISSIMO

Poche persone sono intellettualmente interessanti e ossessivamente composte come Hannibal Lecter, il protagonista de Silenzio degli innocenti di Thomas Harris.

Uomo dai gusti raffinati e dall’intuito senza pari, è in grado di gestire le conversazioni con la precisione di un chirurgo e l’aplomb di un direttore d’orchestra. Il suo approccio alla Negoziazione trascende le tattiche convenzionali, mescolando fascino calcolato, silenzio snervante e osservazioni taglienti come un rasoio in una masterclass di manovre psicologiche.

Hannibal Lecter, è sempre un ottimo interlocutore per parlare di Negoziazione.

NELLA MENTE DI HANNIBAL LECTER

Hannibal presenta la Negoziazione come una raffinata forma d’arte dove la sottigliezza incontra la strategia e il potere è esercitato con la precisione di un bisturi, ogni pausa, sguardo e parola è orchestrata per il massimo effetto.

Analizziamo la sua strategia… che seppur cinematografica, offre spunti interessanti di riflessione

Analisi psicologica

Per negoziare bisogna guardare sotto la superficie. Uno sguardo appena accennato, il tono di voce, l’esitazione a metà frase: non sono solo semplici dettagli, sono indizi.

Hannibal Lecter:

Sei molto ambiziosa, vero? Sai cosa mi sembri con la tua borsetta pulita e le scarpette a buon prezzo? Mi sembri una campagnola. Un’energica campagnola ripulita con poco gusto. Sei stata nutrita bene (..), ma non ti sei spinta più in là di una generazione rispetto ai rifiuti umani da cui provieni, vero? E quell’accento che hai tentato così disperatamente di perdere, pura Virginia occidentale…”

Le parole che Lecter proferisce non sono semplici frecciatine, ma un’esposizione del tumulto interiore di Clarice, messo a nudo per poterlo poi usare.

Lezione: Osserva e ascolta per capire (non per rispondere) e non solo le parole ma anche le pause, i più piccoli, infinitesimali dettagli. Si riveleranno informazioni preziose. Di cui spesso l’interlocutore è ignaro di averli svelati.

Silenzio strategico

Silenzio. Per alcuni è un abisso, insopportabile e soffocante. Per Lecter è un palcoscenico su cui altri danzano inconsapevolmente. Quando si arresta durante le conversazioni con coloro che cercano di capire cosa sta pensando, non lascia loro niente se non il loro disagio. Nella lotta per sfuggirgli, rivelano molto più di quanto fosse loro intenzione. Il silenzio è un’arma formidabile!

Lezione: Lecter usa il silenzio, l’immobilità. Chi non riesce a resistere, tenderà a offrire molto più di quanto si potrebbe mai prendere con la forza.

Mirroring e ascolto attivo

Quando Lecter coinvolge l’ispettore Pazzi, ne rispecchia i gesti, le intonazioni. Lo mette a proprio agio, lo conduce nel suo mondo. Quando l’ispettore se ne rende conto, è troppo tardi[1].

Lezione: Lecter crea un legame, mostra un riflesso che conforta, per sedurre l’interlocutore. Persuasione o manipolazione?

Fascino calcolato

Il fascino è uno strumento delizioso. Una patina di civiltà, un complimento a cui è difficile sottrarsi. Maschera le intenzioni più profonde.

“Vorrei tanto che potessimo chiacchierare più a lungo, ma ho un vecchio amico a cena”[2],

dice Hannibal a Clarice riferendosi al dottor Chilton. Un sorriso celato dietro uno spiccato umorismo e un talento innato per i doppi sensi.

Lezione: Lecter usa il fascino non come gentilezza, ma come strumento per avvicinare le persone. In questo modo, non sospetteranno mai la vera distanza tra lui e loro.

Controllo attraverso l’intimidazione

La paura è un potente motivatore, ma se la si usa troppo apertamente, diventa volgare. La presenza di Lecter, la sua voce misurata, sono sufficienti:

Una volta un addetto al censimento cercò di mettermi alla prova. Mangiai il suo fegato con delle fave e un buon Chianti”

racconta, non con rabbia, ma con gusto. La paura, quando è gestita con eleganza, è irresistibile.

Lezione: non gridare, non minacciare. Parla con calma certezza e fermezza. Spesso la  solidità vale più di qualsiasi sfuriata o intimidazione!

Uso intelligente delle domande

La domanda. Così innocua, così disarmante.

“Perché pensi che tolga loro la pelle, agente Starling?”

Le domande di Lecter non sono mai oziose; sono sondaggi, estraggono verità mentre non offro nulla in cambio. Fa in modo che le domande conducano le sue prede lungo sentieri che ha scelto lui, che non hanno mai pensato di percorrere.

Lezione: usa domande che offrano un vantaggio; ogni domanda va pensata e studiata. Mai lasciare fare al caso.

Stabilire una cornice dominante

“Quid pro quo, Clarice”.

È una frase che Lecter usa per chiarire chi tiene le redini. Anche nella sua cella, Hannibal non era lui il prigioniero, era il direttore d’orchestra. Inquadra la conversazione, stabilisci i termini e altri seguiranno, anche quando si credono liberi.

Lezione: la cornice è potere. Una volta impostata, la possiedi.

Manipolazione attraverso la reciprocità

Un favore non è senza costi. Quando Lecter offre la sua intuizione su Buffalo Bill, non lo fa per carità. È investimento. Un debito che deve essere ripagato. Come a ricordare che il regalo più gentile è quello calcolato.

Lezione: un uso magistrale del principio di reciprocità di Cialdini!

Non avere fretta

La pazienza è una virtù. Anni, decenni, cosa sono per qualcuno che aspetta la perfezione? Mason Verger, Clarice, persino il dottor Chilton, nessuno si è reso conto che le azioni di Lecter facevano parte di un piano in fase di elaborazione da tempo.

Lezione: non avere mai (troppa) fretta. Posiziona i tuoi pezzi, anticipa le mosse e agisci nel momento migliore.

CONCLUSIONI

Talvolta leggiamo un libro o guardiamo un film solo per passatempo o piacere. Eppure, molte storie e altrettanti personaggi hanno tantissime cose da insegnare. Nel bene e nel male. Hannibal Lecter, anche nelle sue atrocità, è uno di questi. Affascinante, irreale, ma più umano di quanto ci fa comodo credere! Già solo fossimo bravi a praticare l’ascolto o utilizzare il silenzio in una negoziazione, già avremmo ottenuto un grande vantaggio competitivo!


[1] https://www.youtube.com/watch?v=FBmGkTodA3U

[2] https://www.youtube.com/watch?v=tMrgXU4WoBY

NON TUTTI I BRAINSTORMING SONO UGUALI. Hai già provato lo STARBURSTING?

Non tutti sanno che esistono diverse varianti di brainstorming, tecnica comunemente nota per aiutare i team a produrre idee. Starburstingè una di queste e a caratterizzarla è la capacità di far concentrare i partecipanti sul

porre domande anziché sul cercare risposte.

L’obiettivo principale dello starbursting è infatti quello di stilare un elenco di domande relative all’argomento o all’idea centrale fonte di discussione.

DA DOVE NASCE LO STARBURSTING

Nel 1963, il creatore del quiz televisivo Merv Griffin ebbe l’idea di dare una svolta al classico quiz televisivo con domande e risposte. Anziché fare una domanda a cui i concorrenti dovevano dare una risposta, venne mostrata la risposta a cui occorreva rispondere sotto forma di domanda. Affascinata dall’idea, la NBC acquistò i diritti del game show Jeopardysenza nemmeno vedere un episodio pilota. Il resto è storia.

In un certo senso, la tecnica dello starbursting è molto simile al quiz televisivo: i partecipanti partono da un’idea e cercano di formulare le domandegiuste.

Starbursting è in sintesi un tipo di brainstorming che tradotto significa collisione di stelle, dal termine usato in astronomia per descrivere la formazione di un gran numero di stelle in un breve periodo in una galassia. Non a caso, il modello di brainstorming è strutturato a forma di stella.

LA STELLA A SEI PUNTE

La stella consta di sei punte, ciascuna delle quali rappresenta un diverso gruppo di domande:

·         Chi

·         Che cosa/  Cosa

·         Quando

·         Dove

·         Perché

·         Come

Ognuna di queste domande, incoraggia ad analizzare un argomento attraverso molteplici prospettive. Esplorando chi è coinvolto, quali fattori sono in gioco, quando e dove si verifica, perché è importante e come può essere affrontato, Starbursting assicura un esame approfondito dell’argomento.

I risultati sono spesso idee complete che abbracciano un’ampia gamma di prospettive. Affrontando sistematicamente ogni domanda, è possibile arrivare a una comprensione olistica del problema o dell’argomento e scoprire soluzioni innovative.  Oltre al fatto che questo metodo promuove la collaborazione e incoraggia la partecipazione attiva di tutti i membri del team, portando a un pool di idee più ricco e diversificato.

CHECKLIST

Per far sì che lo starbursting abbia successo, i partecipanti devono rispondere a tutte le domande in modo approfondito, lavorando su ciascuna di esse come una squadra e non lasciando nulla di intentato. La chiave è smontare sistematicamente ogni aspetto dell’argomento e generare idee creative.

Identifica la domanda centrale, il problema o la sfida che vuoi esplorare.

Elenca le domande. Scrivi le domande chiave (chi, cosa, quando, dove, perché e come) correlate alla domanda centrale.

Inizia con “Chi”. “Chi è coinvolto?” e fai un brainstorming su tutti gli individui, i gruppi o gli stakeholder correlati all’argomento. Considera diverse prospettive e ruoli.

Procedi con “Cosa”. Chiedi “Quali fattori sono coinvolti?” ed esplora vari elementi, variabili e considera sia gli aspetti tangibili sia quelli intangibili.

“Quando” e “Dove”. “Quando accade?” e “Dove accade?” per comprendere le dimensioni temporali e spaziali dell’argomento. Considera intervalli di tempo, contesti e luoghi.

Analizza il “Perché”. “Perché è importante?” per scoprire motivazioni, significato e implicazioni. Quindi, valuta le ragioni sottostanti, obiettivi e impatti.

Concludi con “Come”. “Come può essere affrontato?“. Fai brainstorming su possibili soluzioni, strategie o approcci.

Esplora connessioni e modelli. Rivedi le risposte di brainstorming per ogni domanda. Cerca connessioni, modelli o sovrapposizioni tra le diverse dimensioni. Identifica eventuali temi o intuizioni.

Sintetizza e perfeziona le idee. Consolida le idee e le intuizioni generate. Identifica le soluzioni più promettenti e pertinenti. Quindi, perfezionale e stabilisci le priorità in base a importanza e a impatto.

Collabora e ripeti. Condividi i risultati dello starbursting con il team o gli stakeholder. Incoraggia la collaborazione e un ulteriore brainstorming per sviluppare le idee iniziali. Ripeti e perfeziona.

SUGGERIMENTI PER SFRUTTARE AL MEGLIO LO STARBURSTING

Come ogni metodo di brainstorming, lo starbursting richiede alcuni accorgimenti:

Imposta limiti di tempo. Lo starbursting è aperto per natura, il che può facilmente portare a perdite di tempo e discussioni fiume. Inoltre, poiché ci sono un numero infinito di domande che si potrebbero immaginare, è utile stabilire un limite di tempo.

Suddividere la sessione in due incontri. Utile è suddividere la sessione di starbursting in due incontri: uno per fare domande e l’altro per rispondere. Questo dà al team la possibilità di riflettere e prepararsi.

Chiedi a ognuno dei partecipanti di preparare le domande singolarmente. Come accade con altri metodi di brainstorming o dinamiche di incontro di gruppo, è facile che lo starbursting si trasformi in una discussione dominata da poche voci.  Per garantire che tutti abbiano la possibilità di contribuire equamente, considera di far scrivere le domande in silenzio e individualmente. Solo dopo procedi con la condivisione.

Chiedi al team di aggiungere elementi. Un approccio interessante è condividere il grafico o lo schema affinché i membri del team possano ampliarlo nel tempo. Ad esempio, si può lasciare la lavagna con quanto emerso in una sala comune e far aggiungere ai membri del team post-it con le loro domande. Questo dà il tempo di riflettere più a fondo sull’idea e la possibilità di fare brainstorming nel momento in cui la mente è più concentrata, il che varia da persona a persona.

VANTAGGI

Generazione di idee più rapida: nessuno ha sempre tutte le risposte. Ma altre forme di brainstorming tendono a spingere i partecipanti a soppesare i meriti delle loro idee prima di condividerle. In un esercizio di starbursting, i team sottopongono a reverse engineering il processo di risoluzione dei problemi partendo dai primi principi. Cosa dobbiamo sapere? Questo semplifica il processo di brainstorming complessivo.

Esplorazione di alternative: starburstingè ideale per soppesare questioni che non si prestano a un’unica interpretazione. Ci sono numerose considerazioni che circondano ogni idea. Questo metodo permette di analizzarle tutte, anche quando la risposta non è immediatamente chiara.

Iterazione dell’idea: poiché lo starbursting è strutturato per generare domande prima delle risposte, si presta a un processo iterativo e multi-step.

A questo punto tocca a te. Fammi sapere come è andata. O, se conoscevi questo metodo e come tendi a usarlo.

I COLLEGHI PASSIVO AGGRESSIVI che AVVELENANO i LUOGHI di LAVORO

 

Nelle ultime settimane, ho avuto molto a che fare con persone con tendenze passivo-aggressive. È stato naturalmente stancante e poco edificante, anche (solo) da consulente. Insidiosi e manipolatori, spesso vengono identificati e intercettati troppo tardi, a danno fatto o quasi. Conoscere caratteristiche e motivazioni, può fare, talvolta, la differenza!

COSA SI INTENDE PER COMPORTAMENTO PASSIVO-AGGRESSIVO

Il comportamento passivo-aggressivo venne identificato dal colonnello William Menniger nel corso della II guerra mondiale[1]. Egli isolò alcuni particolari comportamenti da parte dei suoi soldati differenti dai soliti ribelli, ma in egual modo aggressivi e disfunzionali. Tali comportamenti si palesavano mediante misure passive come una spiccata caparbietà, temporeggiamento, broncio e sabotaggio passivo dei loro doveri militari.

Se vogliamo darne una definizione:

Il comportamento passivo-aggressivo è un modo deliberato e mascherato di esprimere sentimenti di rabbia[2].

Deriva dall’incapacità dell’individuo di esprimere e canalizzare le emozioni verso un’espressione assertiva, quest’ultima “sostituita da un’eccelsa mistificazione delle emozioni mediante l’immagine di una persona carismatica, ironica e da una forte personalità. Questo modus operandi conduce il passivo-aggressivo ad agire mediante una sorta di non azione, motivata da emozioni e motivazioni negative e una forte ostilità”[3].

Ognuno di noi può assumere atteggiamenti di tipo passivo-aggressivi. Il problema nasce nel momento in cui queste modalità diventano le uniche modalità di interazione.

ESEMPI

Manager: “Ho notato che siamo un po’ in ritardo per la presentazione. La scadenza del cliente si avvicina e dobbiamo rimetterci in carreggiata. Tutto bene? Hai bisogno di aiuto o risorse per rispettare la scadenza?

Collaboratore (in modo passivo-aggressivo): “Oh, certo. È semplicemente fantastico che tu abbia notato che la scadenza si avvicina. Sto solo lavorando giorno e notte a questo progetto. Ho poteri sovrumani, giusto? Certo, posso fare tutto da solo. Non c’è bisogno di preoccuparsi“.

Un altro esempio comune sul posto di lavoro è quando si esprime disgusto in modo sottile, con frasi come: “Come da mia ultima e-mail”, “Non sono arrabbiato con te”, “Qualsiasi cosa ti occorra ti aiuto io”, “Stavo semplicemente scherzando”, “Io pensavo che tu fossi a conoscenza di…”, quando, in realtà, il comportamento adottato intende esprimere esattamente il contrario…

Anche quando si chiede a un amico di essere accompagnati da qualche parte e seppur questo risponda: “Sì, mi piacerebbe molto“, poi arriva in ritardo lamentandosi: questa è aggressività passiva.

CARTA DI IDENTITA’ DEL PASSIVO AGGRESSIVO

COMMENTI SARCASTICI. Una persona passivo-aggressiva potrebbe usare commenti sarcastici per sminuire chi le sta intorno o per far sembrare meno gravi le osservazioni taglienti che ha appena condiviso.

La gravità del sarcasmo dipende dal contesto e dal rapporto con l’interlocutore. Quando l’obiettivo è aggiungere umorismo alla conversazione, alcuni potrebbero persino apprezzarlo. Ma è fondamentale non usare l’umorismo per ferire.

CRITICA INDIRETTA. Le critiche costruttive sono utili ma possono essere dolorose e spietate quando vengono fatte per ferire e umiliare. Un collega potrebbe criticare indirettamente con tono condiscendente. Se non credesse nella tua capacità di completare bene un compito, potrebbe dire: “Sei sicuro di poterlo fare?” o “Se è troppo difficile da fare da solo, fammelo sapere“.

In altri casi, la critica potrebbe essere più diretta. Se al collega non piacesse il modo in cui stai portando avanti un progetto, potrebbe dire: “È un modo strano di farlo” o “Sei terribilmente concentrato su [aspetto del progetto]”.

SILENZIO. Il silenzio viene usato per esprimere disapprovazione. In una relazione personale, un esempio potrebbe essere una persona che si rifiuta di parlarti dopo che hai chiesto di “stare da solo”.  Invece di avere una conversazione sul perché potrebbe essersi sentita ferita, si allontana per dispetto[4].

RISENTIMENTO DELLE ISTRUZIONI. Le persone passivo-aggressive potrebbero risentirsi o opporsi alle istruzioni e indicazioni, anche se continuano a fare ciò che viene loro detto. Potrebbero diventare polemiche con la persona che delega o irritabili mentre lavorano.

SABOTARE COMMETTENDO ERRORI. Sabotare le attività è un modo in cui le persone passivo-aggressive possono esprimere infelicità o frustrazione. Possono protestare contro le richieste degli altri, procrastinando o commettendo errori intenzionali per evitare di ricevere un compito simile in futuro. Un collaboratore può ritardare il completamento di un progetto o inviarlo con errori evidenti ma sottili.

FARE COMPLIMENTI INDIRETTI. I complimenti indiretti spesso suonano genuini, ma hanno un sottile tono insultante o suggeriscono un difetto. Una persona passivo-aggressiva potrebbe ricorrervi per evidenziare una qualità che possiedi o sminuire il tuo lavoro su un progetto o un compito.

Un complimento indiretto potrebbe essere: “Mi piace quanto sei accomodante quando prendi decisioni“. In questo caso, la parola “accomodante” potrebbe suggerire che pensa che tu non prenda decisioni in modo efficace da solo. Oppure: “Hai lavorato così tanto per ottenere quell’incarico“, suggerendo che hai provato ma non ci sei riuscito.

TRATTI DISTINITIVI

Sono egoisti. Una persona passivo-aggressiva è alla continua ricerca di approvazione. Quando completa le attività, non pensa tanto al risultato o all’organizzazione quanto a come viene percepita.  Nel tempo, infatti può essere considerata altamente competitiva e orientata ai risultati. Ma uno sguardo più attento rivela che il fine ultimo è il proprio interesse personale, non il bene comune.

Vogliono la fedeltà degli altri. Essere un collaboratore o parte della squadra non è di interesse per un passivo-aggressivo, soprattutto se non gli è utile.  Piuttosto che mostrare fedeltà, vuole ottenerla dagli altri.

Si preoccupano di cose che non li riguardano. Poiché è così concentrato su ciò che fanno gli altri e su come ciò influisce sulle dinamiche di potere in ufficio, spesso non si concentra sul suo lavoro.

Il passivo-aggressivo è molto preoccupato per le cose che sono al di fuori della sua portata, poiché si ritiene che queste cose possano potenzialmente influenzarlo in modo negativo in futuro. Anche se sembrano impegnati, spesso non lavorano a compiti che possano far progredire un progetto o un’iniziativa.

Non amano il loro lavoro. Il passivo-aggressivo non ama il suo lavoro. Potrebbe fantasticare di lasciare o addirittura sminuire il lavoro dell’azienda presso cui lavora. Ironicamente, la sua insicurezza spesso gli impedisce di cercare altre opportunità. Il paradosso del Passivo-Aggressivo è che quando viene avvicinato da un competitor, la risposta sarà molto probabilmente ‘no’. Il motivo è che il passivo-aggressivo spesso agisce secondo l’idea: ‘So cosa ho, non so cosa otterrò e le probabilità che possa essere peggio sono alte’.

Cercano altri odiatori. Il luogo comune “misery love company” è particolarmente applicabile ai passivo-aggressivi. Sono costantemente alla ricerca di altri colleghi che condividano le loro lamentele, ma non sono disposti a trovare soluzioniche possano porre rimedio a ciò che percepiscono come ingiustizia o inefficacia.

Invece di unire le forze per migliorare l’esperienza lavorativa, il passivo-aggressivo recluta seguaci nella sua battaglia contro la comunità lavorativa.

Inoltre mostra una piccata propensione al vittimismo e a dare la colpa alle persone che gli ruotano intorno e che non sono utili ai suoi interessi.

Non amano le nuove idee. Poiché è insicuro, le nuove idee e conoscenze lo fanno sentire minacciato.  Quando si trova di fronte a iniziative progressiste da parte di altri, cerca di capire come tali iniziative danneggerebbero il suo potere personale. L’argomentazione avanzata contro queste iniziative: “Ci abbiamo già provato prima, e non funziona’, oppure “Sembra a posto, anche se non è rilevante per me’”.

Questo tende a renderli poco propensi ad aiutare gli altri.

DOVE NASCE IL COMPORTAMENTO PASSIVO-AGGRESSIVO

Uno studio sulla rivista Behavioral Sciences sostiene che un individuo si comporta in modo passivo-aggressivo perché spesso non è socialmente accettabile usare un linguaggio apertamente aggressivo. Così sente di doversi esprimere indirettamente per non ferire gli altri. Lo stesso studio afferma che alcune persone sperimentano l’aggressività passiva in quanto parte della loro personalità.

Nella prima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , l’aggressività passiva grave era in realtà categorizzata come un disturbo mentale: personalità passivo-dipendente. Ma nella comprensione moderna, ora è solo uno in un elenco di sintomi patologici di disturbi mentali.

Sebbene comprendere la potenziale causa non sia così facile, può aiutare a prendere le distanze dalla situazione negativa con tutte le conseguenze e la frustrazione che ne può derivare.

COME GESTIRE I COLLEGHI PASSIVO-AGGRESSIVI

CHIEDI CONTO DI AZIONI E PAROLE. Il modo migliore per gestire un collega passivo-aggressivo è chiedergli conto delle azioni e delle parole.

Spesso fanno deragliare i progetti di squadra a proprio vantaggio o informano il responsabile di aver completato attività che in realtà non hanno fatto. Se hanno detto di aver accettato di fare qualcosa ma così non è stato, richiamali all’ordine immediatamente. Se hanno detto una cosa a te e un’altra a qualcun altro, chiedi loro conto di questo.

ADOTTA UNA COMUNICAZIONE CHIARA. Ognuno ha il proprio stile comunicativo preferenziale ma a volte potrebbe non essere consapevole di come il suo comportamento fa sentire gli altri. Forse il sarcasmo è una parte importante del suo senso dell’umorismo, o ha imparato che affrontare i problemi personali in modo indiretto è il (suo) modo migliore per superarli.

Se qualcuno mostra un comportamento passivo-aggressivo, usare una comunicazione assertiva, chiara e diretta può aiutare ad affrontare la situazione. Sebbene la franchezza non sia il punto di forza di tutti, esprimere i sentimenti in modo assertivo potrebbe fermare il comportamento sul nascere. Se ti trovi in un contesto professionale, prova a gestire le comunicazioni per iscritto o a coinvolgere un testimone terzo imparziale. Questo può aiutare a documentare il comportamento del passivo-aggressivo nel caso in cui si ripresenti.

CREA UN AMBIENTE SICURO. A volte, si comunica in modo passivo-aggressivo per insicurezza o perché si va sulla difensiva. Per esempio, potrebbe essere capitato, in passato, di rispondere in modo irruento, e ora questa persona potrebbe non sentirsi sicura di poterti dire determinate cose in modo diretto. Ecco perché creare uno spazio sicuro, può migliorare la comprensione e creare fiducia.

UTILIZZA IL LINGUAGGIO CON ATTENZIONE. Una parola sbagliata può far peggiorare rapidamente una situazione. Per evitare conflitti, usa le parole con attenzione. Evita di accusare l’altra persona di essere passivo-aggressiva in modo diretto. Invece di dare la colpa a chi hai davanti, sii onesto su come le sue azioni o parole ti hanno fatto sentire.

Se vuoi comunicare i tuoi sentimenti a una persona passivo-aggressiva, cerca di evitare affermazioni come “Tu” che incolpano l’altro per quello che è successo. Prediligi la prima persona: “Ho sentito” o “Non capisco“.

Ricorda, lo scopo della discussione non è ferire i sentimenti o peggiorare la situazione. È arrivare a una comprensione reciproca e migliorare il modo in cui entrambi comunicate.

STABILISCI DEI LIMITI. Sebbene stabilire dei limiti sia una parte importante di una relazione sana, può essere difficile quando entrano in gioco dinamiche di potere. Se hai a che fare con un collega passivo-aggressivo, tieni conto che potrebbe trascurare sistematicamente di considerare i tuoi sentimenti. Definire degli standard di comunicazione può aiutarti a creare condizioni di parità ed evitare conflitti.

I limiti sani possono consistere nel dire all’altra persona di trattarti con più gentilezza o nel limitare il tempo che trascorri con lei.

MANTIENI LA CALMA. È facile cadere in una spirale quando il comportamento passivo-aggressivo influenza le tue emozioni. Ricevere commenti negativi e trattamenti ingiusti è frustrante e doloroso, soprattutto quando accade spesso o proviene da qualcuno a cui tieni[5].

Sfortunatamente, non sarai sempre in grado di cambiare il modo in cui gli altri ti trattano o di influenzare il loro comportamento. Dovrai fare un respiro profondo e concentrarti su come rispondi a un commento o a un’azione passivo-aggressiva senza peggiorarla.

Conclusioni

Avere a che fare con una persona dai tratti passivo-aggressivo, sul lavoro, può essere logorante. Ma identificarla ti fornisce un vantaggio utile a gestirla in modo sano e consapevole, evitando così che ti trascini in un gioco, il suo, di cui non condividi e riconosci le regole. Inevitabilmente a perdere!


BIBLIOGRAFIA

[1] https://military.id.me/news/passive-aggression-military/

[2] Long N., Whitson S. (2018). The Angry Smile: The New Psychological Study of Passive Aggressive Behavior at Home, in School, in Relationships, in the Workplace & Online. Hagerstown, MD: The LSCI Institute. Passive-Aggression in the Workplace | Psychology Today

[3] Timms, M. (2022). Blame Culture is Toxic. Here’s How to Stop It. Harvard Business Review. Blame Culture Is Toxic. Here’s How to Stop It. (hbr.org)

[4] Ni, P. (2020). 7 Signs of Gaslighting at the Workplace. Psychology Today. 7 Signs of Gaslighting at the Workplace | Psychology Today

[5] Brown, D. (2021). The Professional Way To Handle Apologies And Forgiveness. Forbes. The Professional Way To Handle Apologies And Forgiveness (forbes.com)

 

QUANDO a venir SCREDITATA è la PERSONA, NON ciò che DICE: la fallacia ad hominem

C’è chi, anziché affrontare l’argomento di discussione, attacca la persona che lo sostiene. Attuando una vera e propria strategia della retorica utile a deviare il dibattito dal contenuto sostanziale alla caratterizzazione personale.

Di fatto, questa tattica serve ad allontanare dal tema del confronto contestando non l’affermazione dell’interlocutore ma l’interlocutore stesso. Strategia che prende il nome di fallacia ad hominem o ad personam (argomento contro l’uomo)

QUALCHE ESEMPIO

A: “Penso che la crisi climatica e l’inquinamento siano i maggiori problemi che abbiamo al momento, se non li risolviamo al più presto ci saranno gravi conseguenze per tutti noi.” B: “Certo, parli te che non fai nemmeno la raccolta differenziata?”

A:Tu sostieni che Dio non esiste, ma tanto non capisci niente!” B: “Secondo te Dio esiste? Beh, perché sei ignorante!”

Come già per la fallacia dell’uomo di paglia, anche questa fallacia è abusatissima nel dibattito politico. Basti pensare quanto spesso, in campagna elettorale, i candidati criticano gli avversari non tanto per le loro idee presenti nel programma, quanto più per le persone che sono per la loro carriera lavorativa o altre loro scelte personali.

A: «In una condizione economica come quella attuale, bisognerebbe aumentare il deficit pubblico per sostenere il sistema privato in ginocchio».

B: «Il collega deputato non ha alcun titolo accademico per argomentare in maniera credibile su questi temi».

COME RICONOSCERE LA FALLACIA AD HOMINEM

  • Attacco personale: l’argomento si concentra sulle caratteristiche personali o sulla credibilità dell’individuo piuttosto che sul merito dell’argomento?
  • Deviazione dal tema: l’attenzione è stata deviata dall’argomento originale per concentrarsi su aspetti irrilevanti della persona?
  • Assenza di contraddittorio: non vengono fornite prove o argomenti per contraddire la posizione avversa, ma solo attacchi personali?

In sintesi:

–        La persona A fa l’affermazione X

–        La persona B fa un attacco alle circostanze di A

–        Quindi X è falsa

Rispondere a un’argomentazione attaccando chi la pone può essere molto facile. Tuttavia, è meglio resistere a questa tentazione. Perché, anche se, a prima vista, può sembrare una risposta coerente, dato che B mette in mostra una presunta ipocrisia di A, in realtà questa non è l’oggetto della discussione, dunque è irrilevante. B dovrebbe, invece, rispondere nel merito dell’argomentazione proposta, dichiarando la sua visione del tema e supportandola con altre argomentazioni.

Domande per smascherare la fallacia

  • Gli attacchi personali sono pertinenti all’argomento in discussione?
  • Sono state affrontate le premesse o le conclusioni dell’argomento avversario?
  • Gli attacchi personali sostituiscono un contraddittorio valido?

Modi per controbattere la fallacia

  • Ricondurre al merito: riportare la discussione al merito dell’argomento originale, ignorando o minimizzando gli attacchi personali.
  • Richiedere argomenti: sollecitare l’interlocutore a fornire argomenti validi invece di attacchi personali.
  • Evidenziare la fallacia: identificare esplicitamente l’uso della fallacia ad hominem come una deviazione dal dibattito razionale.

SOTTOCATEGORIE

Da questa fallacia argomentativa possono derivare delle sottocategorie, vediamone quattro:

AD HOMINEM ABUSIVO. È il caso in cui la controparte, in un dibattito, viene insultata, derisa o ne vengono sminuite le capacità. Come l’ad hominem classico, ciò viene fatto con lo scopo di distrarre e provocare l’avversario, che si sentirà in dovere di difendersi dalle accuse, sviando il discorso dall’argomento principale.

  • Di fatto: la tesi X è sostenuta da A. Ma A ha qualche caratteristica particolarmente negativa. Dunque, si può dubitare fortemente di X.
  • Sei una capra ignorante! (Vittorio Sgarbi ai suoi interlocutori)
  • Non prendo lezioni di vita da uno come te. Sei un pessimo soggetto. Pertanto, i tuoi consigli pedagogici li ignorerò.

AD HOMINEM CIRCOSTANZIALE. Qui vengono prese delle circostanze che riguardano l’avversario per essere usate contro di lui, rigorosamente irrilevanticon l’argomento della discussione.

  • “Ma certo, è proprio ciò che ci si aspetta da uno come te!”
  • “Rousseau è stato un pessimo padre. Perciò, non seguirò i suoi consigli pedagogici”.
  • “Aristotele ebbe schiavi. Non possiamo dunque accettare la sua etica”.

AVVELENAMENTO DEL POZZO. In questo caso, chi sceglie di avvelenare il pozzo decide di giocare d’anticipo e di attaccare la persona ancor prima che questa abbia potuto esprimere il suo parere.

“Solo un assassino potrebbe dichiararsi favorevole all’aborto!”

In questo modo, è come se l’interlocutore posizionasse una trappola nel momento in cui esprime la sua tesi, aspettando solo che l’interlocutore ci caschi.

Un’accusa così forte (chiamare “assassino” chi è favorevole all’aborto), infatti, ha tutto il potenziale per sviare l’oggetto della discussione verso la morale della vittima dell’accusa piuttosto che sul tema principale.

  • Non starlo a sentire, è un poco di buono.”
  • Prima di dare la parola al mio avversario, vi chiedo di ricordare che quelli che si oppongono ai miei progetti non hanno a cuore il bene dell’università… azienda… ecc..
  • Non preoccuparti di quello che dice; è solo un fallito nella vita.”

Questa fallacia, può tradursi nella diffusione di informazioni negative, vere o false che siano, contro il proprio interlocutore, che suggeriscono ad esempio che egli è pazzo, incompetente o, in passato, ha esibito comportamenti disdicevoli, minando, dunque, alla fonte la sua credibilità. La conclusione implicita, in questi casi, è che qualsiasi cosa l’interlocutore affermi, non è accettabile in quanto egli è pazzo, incompetente, ecc. Come fidarsi del resto di qualcuno che possiede quelle caratteristiche negative?

L’avvelenamento del pozzo è una strategia ampiamente utilizzata nei dibattiti contemporanei. In ambito politico, etichettare l’avversario in base alla appartenenza ideologica o partitica serve a decapitarne le tesi sul nascere. Un’accusa di “comunismo” o “fascismo”, precedente a ogni discussione nel merito, può valere a insinuare dubbi e sospetti nei confronti di qualsiasi tesi avanzata dall’interlocutore. È evidente come ciò non consenta di valutare un’iniziativa per i suoi meriti dal momento che l’alone negativo dell’appartenenza politica inibisce ogni seria considerazione della proposta.

Lo stesso avviene se si muove un’accusa di interesse al proprio avversario. Colore della pelle, orientamento sessuale e religioso, provenienza geografica, attività svolta: sono solo alcuni degli elementi su cui è possibile far leva per avvelenare il pozzo della contesa.

TU QUOQUE O APPELLO ALL’IPOCRISIA. Le parole attribuite a Giulio Cesare in punto di morte danno il nome a quest’ultima sottocategoria. Commettiamo questa fallacia quando ci difendiamo da una critica rigirandola verso l’altra persona:

A: “Sai che fumare fa molto male alla salute, dovresti smettere.”

B: “Parli proprio tu che dormi poco, mangi male, sei sempre stressato e non fai attività fisica?”

  • I politici cattolici difendono la famiglia. Eppure, molti di essi sono pure divorziati…
  • Il mio barista mi parla così tanto di onestà e onestà e poi non mi fa neppure lo scontrino.

La critica che B muove ad A sposta l’attenzione dall’oggetto iniziale della discussione pur essendo, di fatto, irrilevante (le pessime abitudini di B non hanno nulla a che vedere con la dipendenza dal fumo di A).

Si ricorre a questa fallacia per giustificare le proprie azioni menzionando azioni analoghe compiute da altri: si cerca cioè di screditare la posizione di un avversario asserendo la sua incoerenza nel mantenere detta posizione. È infatti impiegata come efficace specchietto per le allodole in quanto toglie la patata bollente dalle mani dell’accusato chiamato a difendersi, spostando il bersaglio sulla persona che ha fatto la prima accusa.

Spero che questa breve carrellata sia stata utile a fornire qualche utile strumento per meglio gestire confronti e negoziazioni critiche. Alla prossima fallacia…

NON LASCIARTI SCREDITARE dall’UOMO di PAGLIA e dagli ERRORI di RAGIONAMENTO

Ci sono persone che, quando parlano, hanno la capacità di portare il #discorso laddove vogliono loro, lasciando poco spazio all’interlocutore di turno. Senza perdersi in dissertazioni sul fatto che si tratti di #persuasione o #manipolazione, ciò che più spesso si dimentica è che lo stesso #potere è disponibile all’uso di entrambi gli interlocutori. E la cosa che più ancora dovrebbe far riflettere non è nemmeno tanto che compaiono discorsi poco veritieri e corretti, ma che non si sappia individuarli e neutralizzarli.

Ecco perché conoscere gli inganni discorsivi serve a scoprirli, evitarli e utilizzarli a proprio piacimento, quando serve.

Di inganni discorsivi, o più tecnicamente #fallacie, ce ne sono molti. Uno dei più comuni è la fallacia dell’uomo di paglia o straw man fallacy.

COSA SONO LE FALLACIE

Le fallacie sono errori nella formulazione di un ragionamento che rendono le argomentazioni non valide dal punto di vista logico: sono di fatto le frasi che impediscono a una discussione – pubblica o privata, a tavola o per iscritto, in famiglia o in contesto aziendale e politico, ecc – di progredire logicamente e, di fatto, rendono la conversazione inutile.

Spesso nascoste, talvolta utilizzate di proposito, hanno l’intento di ingannare chi ascolta e convincerlo che chi parla ha ragione: per questo sono molto frequenti, per esempio, nel dibattito politico, nei contesti sociali e religiosi.

La fallacia dell’uomo di paglia è una delle più utilizzate.

STRAW MAN FALLACY

È una tesi che una persona, in una discussione, attribuisce all’interlocutore, malgrado quest’ultimo non l’abbia sostenuta. La tesi è una forzatura volutamente assurda, sciocca o falsa, in modo da essere facilmente contraddetta.

Ecco un esempio:

Mario sostiene che “la pena di morte è ingiusta”.

Il suo oppositore, Andrea, risponde che “Mario sostiene che non bisogna punire gli assassini”.

In realtà Mario non ha mai sostenuto che non bisogna punire gli assassini, ma Andrea gli ha attribuito questa opinione e ora Mario dovrà affannarsi a dire che non è vero, ripartendo da una posizione svantaggiata.

È evidente il tentativo di cattiva argomentazione, contenente una fallacia: un errore argomentativo nascosto, di solito costruito ad arte. Trucco molto abusato che funziona pressoché sempre in quanto costringe l’ingannato, nel nostro esempio Mario, a una smentita che facilmente risulta debole o irritata e a quel punto ecco un altro trucco da bambini: “se ti irriti, allora è vero”!

Dare un nome al giochino è utile perché permette, una volta che sia noto e condiviso, di definirlo e smontarlo all’istante!

COME SI STRUTTURA LA FALLACIA

o   Una persona solleva l’argomento “A”.

o   Il suo avversario lo distorce e lo sostituisce con l’argomento “B”. Che è simile, ma fuorviante.

o   La prima persona confuta l’argomento “B”.

o   Quindi, poiché ha equiparato i due argomenti, dà l’impressione che anche “A” sia stato confutato.

Chi si avvale di questo trucco vuole:

  • Travisare l’argomentazione dell’interlocutore
  • Esagerare e distorcere l’argomento per rendere più facile la confutazione
  • Distogliere l’attenzione dalla reale tesi dell’interlocutore

Altri esempi (classici)

A: Sono d’accordo con la legalizzazione della marijuana.

B: In modo che tutti diventino dipendenti e il traffico di droga aumenti?

A: È importante avere una dieta equilibrata e sana.

B: Quindi continuiamo a uccidere animali innocenti.

A: Penso che dovresti modificare questo articolo.

B: Perché mi dici sempre che non scrivo bene?

COME CONFUTARE L’UOMO DI PAGLIA

Il modo migliore è anticipare l’interlocutore/avversario e offrire un argomento il più chiaro e preciso possibile.

Se la fallacia viene ignorata e l’avversario continua a insistere con la sua argomentazione volutamente travisata, è molto probabile che vinca la discussione. Inoltre, se difendi ciò che ha affermato l’avversario, sarà sempre più difficile provare la distorsione che era nel suo punto di vista.

Pertanto, la strategia più conveniente si basa sulla prevenzione. Ecco perché, per giocare di anticipo, occorre esprimere il punto di vista o le diverse argomentazioni nel modo più chiaro possibile, senza lasciare spazio a fraintendimenti.

Un’altra tattica è indicare l’uomo di paglia. Chiamare cioè in causa l’avversario per l’uso che fa dalla fallacia, spiegando perché il suo argomento è errato e come sta distorcendo la tua posizione originale. Si può inoltre metterlo sulla difensiva chiedendogli di giustificare perché crede che la posizione distorta che presenta sia la stessa che hai proposto tu originariamente.

Poiché le due posizioni sono diverse, il tuo interlocutore sarà costretto ad ammettere che il suo argomento non era valido, oppure cercherà di giustificarlo usando un ragionamento ancora più fallace, che puoi quindi attaccare.

In taluni casi si può ignorare la versione distorta del tuo argomento presentata dall’avversario e continuare a sostenere la posizione originale. Continuare però a concentrarsi sull’uomo di paglia richiederà, con molta probabilità, di dover smascherare la fallacia usata dalla controparte.

Insomma, seppur non sia facile non cadere nella trappola, iniziare con il riconoscerla più essere un vantaggio non da poco che vale la pena allenarsi a intercettare. Oltre il fatto che ci dirà molto del nostro interlocutore… e non è poco di questi tempi.

Bibliografia

D’Agostini F., Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2010.

Bermejo Luque L. Falacias y Argumentacion, Editori Plaza e Valdés, 2014.

Hamblin C.L. Fallacies, Advanced Reasoning Forum, 2022

https://www.researchgate.net/publication/316138189_Le_fallacie_argomentative_tra_logica_e_dialettica

LEADER è (anche) CHI pone DOMANDE

Viene quasi automatico… trovare #risposte coerenti, appropriate, gentili, assertive, dirette, corrette, sprezzanti… piuttosto che porre (giuste) #domande. Piaccia o meno, a rivelare quando siamo #leader è anche la capacità di padroneggiare l’arte dell’indagine e dell’osservazione, l’abilità ad andare oltre conversazioni superficiali e scoprire verità più profonde.

Ecco alcune domande che possono tornare utili e che forse non ci poniamo così spesso come dovremmo, o sbaglio?

Cosa non vedo?

Questa domanda aiuta a demolire i #preconcetti e riconoscere i punti ciechi. Ponitela prima di decisioni importanti e dopo le riunioni con il team. Quando cerchi prospettive diverse, crei fiducia e cogli intuizioni che altri potrebbero esitare a condividere. Questa domanda trasforma i compagni di squadra in preziosi consiglieri.

Come si allinea questo con i valori… dell’organizzazione, del team…?

I #valori guidano le decisioni, ma spesso li ignoriamo o non ne verifichiamo l’allineamento. Chieditelo quando ti trovi di fronte a scelte difficili o valuti nuove opportunità. I membri più forti del team osservano come sostenete i valori. Questa domanda rivela incongruenze tra parole e azioni. Garantisce che le decisioni rafforzino piuttosto che indeboliscano la cultura organizzativa.

Cosa renderebbe impossibile ignorarlo?

Obiettivi mediocri generano risultati mediocri. Poniti questa domanda quando stabilisci degli obiettivi o lanci delle iniziative. Questa domanda spinge a guardare oltre, a considerare i cambiamenti trasformativi. Converte i progetti di routine in missioni avvincenti che richiedono attenzione.

Chi non sto ascoltando?

Le voci silenziose spesso contengono intuizioni cruciali. Chiedilo durante le discussioni e le sessioni di pianificazione. I membri più silenziosi del team potrebbero vedere #problemi e #soluzioni che altri non vedono. Questa domanda svela prospettive trascurate e crea spazio per un pensiero diversificato. Trasforma le dinamiche di gruppo e previene costosi punti ciechi.

Quale storia creerà?

Ogni azione racconta una #storia. Chieditelo prima di prendere decisioni chiave. I membri più astuti del team interpretano le tue scelte come segnali. Questa domanda rivela l’impatto più ampio delle tue decisioni sulla #cultura e la #motivazione del team. Ti aiuta a dare forma a narrazioni che ispirano anziché confondere.

Le #domande hanno un immenso potere di rimodellare le capacità di leadership. Creano spazi per la scoperta, sfidano il pensiero consolidato e sbloccano nuove possibilità. Le domande giuste, poste in modo coerente e coraggioso, trasformano non solo le conversazioni, ma intere organizzazioni. Inoltre, quando poni domande potenti, non ottieni solo risposte, ma accendi le menti e stimoli l’innovazione, la creatività e il pensiero critico.

L’AGONIA delle CONVERSAZIONI NOIOSE

Abbiamo tutti esempi di conversazioni noiose in cui siamo rimasti intrappolati e che siamo stati incapaci di chiudere in tempi rapidi. Ciò che però ignoriamo è che spesso, sono entrambi gli interlocutori a volere termine la chiacchierata, prima di quanto poi avviene.

Nolenti o volenti, perdiamo la capacità di soddisfare i nostri interessi e di allinearci a quelli di coloro con cui stiamo chiacchierando. Perdendo tempo prezioso o non sfruttandolo al meglio.

Non siamo cioè né efficaci, né strategici.

LA RICERCA DI HARVARD

A mostrare la nostra incapacità di mettere fine a conversazioni poco utili o a gestirle tanto da farle diventare efficaci se non per noi, almeno per l’altro, due esperimenti condotti da un gruppo di ricerca del dipartimento di psicologia dell’Università di Harvard.

In uno, 252 persone reclutate all’interno del dipartimento di psicologia, sono stati accoppiate per tenere una conversazione che poteva durare, a loro piacimento, fino a 45 minuti.

Nel secondo, a 806 volontari reclutati casualmente, è stato chiesto di rispondere ad alcune domande riguardo alle loro conversazioni più recenti, e nello specifico di dichiarare se il momento in cui avrebbero voluto concludere la conversazione e il momento della fine effettiva, coincidessero.

I RISULTATI

In entrambi i casi:

–        più di due terzi ha riferito che la conversazione era durata più a lungo di quanto avesse voluto,

–        il 10% dichiarato che la conversazione era stata troppo breve e che avrebbe voluto continuare a parlare,

–        a essere soddisfatti della durata appena il 2%.

I risultati complessivi degli esperimenti indicano che la durata desiderata delle conversazioni è di circa la metà rispetto a quella effettiva. È emersa inoltre una generale incapacità di intuire i desideri dell’altra persona. Alcuni partecipanti hanno infatti sovrastimato le intenzioni dell’altro: le ipotesi erano sbagliate nel 64% dei casi.

Dale Barr, psicologo all’Università di Glasgow, ritiene quello di Harvard il primo studio che prova a misurare con precisione quanto sia difficile per le persone bilanciare i propri desideri con ciò che desiderano i loro interlocutori. Altre ricerche, supportano quanto le persone siano meno capaci a decifrare cosa pensano gli altri rispetto a quanto immaginano.

E se a peggiorare la situazione si aggiungessero anche i bias?

QUANDO I BIAS NON AIUTANO

Insomma, non siamo bravi né a soddisfare i nostri interessi né quelli dei nostri interlocutori. Non solo non siamo strategici ma nemmeno efficaci. Almeno in alcuni tipi di conversazione. Tanto da preferire di rimanere intrappolati, per non offendere l’altro, che trovare una vita di uscita.

Una delle ragioni è da attribuirsi al courtesy bias, il pregiudizio che spinge a essere cortesi con coloro che cercano la nostra opinione, o che paiono ascoltarci. Questo impedisce la libera espressione di qualsiasi feedback onesto che potrebbe essere percepito come negativo dal destinatario. Mentre il bias di cortesia può salvare le persone da situazioni di disagio a breve termine, può anche ostacolare scambi costruttivi che possono aiutare a migliorare le cose.

Non è da meno il bias dello status quo, la tendenza a lasciare le cose come stanno. E quindi se anche ci annoiamo, riteniamo che siamo meno faticoso che intervenire cambiando strategia.

Ad annebbiare la nostra percezione potrebbe intervenire anche l’effetto del falso consenso, che induce a vedere le proprie scelte e giudizi come comuni e appropriati alle circostanze esistenti. Presumendo che gli altri la pensino come noi, sopravvalutiamo quanto gli altri possano condividere i nostri pensieri, le nostre azioni e atteggiamenti. Tanto da non farci nemmeno considerare che ciò che stiamo dicendo forse non è così interessante per chi ci sta davanti.

Questo è appena un breve excursus, a cui si sommano molti altri pregiudizi a seconda del contesto e dell’interlocutore che si prende in considerazione all’interno di una qualsiasi interazione. Sarebbe errato ignorarne impatto e portata. Più sfidante, purché si riesca a bypassare lo status quo, è trovare tutti gli altri.

Con il senno di poi, per concludere, è molto chiaro il motivo per cui, in molti casi, preferiamo parlare davanti a un drink o pranzando: a un certo punto il bicchiere vuoto o il conto da pagare offrono un appiglio per porre fine all’agonia di quella conversazione.