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A COSA serve ESSERE SAGGI in MANICOMIO e VIRTUOSI in un NIGHT?

“Può esistere un mondo di soli sapienti?”.

“Sarebbe ancora più ingovernabile di quello che già è: con un eccessivo numero di persone orgogliose della propria intelligenza, del proprio sapere e poco propense a collaborare”.

“L’ignoranza costringe a cooperare: ognuno è depositario di un sapere individuale e si affida agli altri per avere accesso ad altre conoscenze e sfruttarle”.

“Questo è anche ciò che distingue il selvaggio dall’uomo moderno: il primo sa usare gli attrezzi che gli tornano utili, il secondo quasi nulla senza però che questo sia un problema”

“Esatto, nessuno lamenterebbe l’ignoranza in campo medico di un architetto. Ognuno di noi non conosce qualcosa, ma può, se ha interesse, a porvi rimedio”.

“Purchè ci sia consapevolezza. Per colmare la propria ignoranza in un certo settore bisogna prima ammetterla: l’errore non deriva dalla difficoltà a trovare la corretta risposta ma dall’incapacità di porsi le giuste domande”.

“Infatti le campagne contro l’ignoranza non sembrano funzionare. Credo sia perché trascurano un dato: l’ignoranza non è il contrario della conoscenza ma ne è parte. Più si sa più ci si accorge di non sapere”.

“Più utile sarebbe educare ad arrendersi ai limiti del conoscibile e imparare il valore dell’incertezza, anche se oggi google ci regala l’impressione di poter accedere a qualsiasi contenuto”.

“Il sapiente ha però un sostanziale svantaggio: quello di non essere compreso, come sosteneva oltre un secolo fa il saggista William Hazlitt che aggiunse: la vera felicità della vita consiste nel non essere né migliore né peggiore della media di quelli che si incontrano. Se sei al di sotto, ti calpestano, se sei al di sopra, trovi subito che il loro livello è inaccettabilmente basso, perché rimangono indifferenti davanti a ciò che ti interessa di più”.

“La più alta forma della  saggezza umana pare però troppo spesso consistere nel mantenere le contraddizioni e nel rendere sacro ciò che è insensato: chiudendo gli occhi e cancellando i dubbi per non dover scoprire niente che sia in contrasto con i loro pregiudizi, o possa convincerli della loro assurdità. L’intelligenza umana è stata ben poco diretta a ricercare l’utile e il vero. Quanto ingegno sprecato nella difesa di credi e teologie”.

“A cosa serve dunque essere dotti e sapienti?”.

“A che serve essere virtuosi in un locale notturno, o saggi in un manicomio?”.

 

LEGGERE per SAPERE… LEGGERE per AVERE

11 libri in tre settimane, poco meno di 5 mila pagine. Questo è il piacere che mi sono regalata nelle vacanze estive, decisamente controcorrente rispetto i dati Istat, secondo cui il 53% degli italiani non ha letto neppure un libro in 12 mesi e il 15% ne ha letti una dozzina.

Eppure, esempi alla mano, chi ha un lavoro appagante e una vita di successo è mediamente un avido lettore.

Steve Jobs aveva un’ossessione per i poeti inglesi, in particolare per William Blake.

Phil Knight, fondatore della Nike, venera a tal punto la sua libreria, che gli ospiti sono costretti a visitarla scalzi.

David Rubenstein, co-fondatore di The Carlyle Group, un private equity che gestisce oltre 150 miliardi di dollari, ha l’abitudine di leggere una dozzina di libri… a settimana!

Winston Churchill, primo ministro inglese durante la II guerra mondiale, vinse il premio Nobel per la letteratura.

Warren Buffett, il più grande investitore di tutti i tempi, legge 500 pagine ogni giorno. Inizia la giornata leggendo dozzine di quotidiani e dedica un’ampia parte della sua giornata al suo consumo vorace di libri.

Il miliardario Mark Cuban trascorre fino a 3 ore delle sue giornate a leggere libri

Bill Gates, si sa, legge 50 libri all’anno.

E quando è stato chiesto come avesse imparato a costruire razzi, Elon Musk ha risposto semplicemente: “Leggo libri”.

1.200 DELLE PERSONE PIU’ RICCHE AL MONDO LEGGONO TUTTE MOLTISSIMO. MA COSA LEGGONO?

Secondo Thomas Corley, autore di Rich habits: The daily success habits of wealthy individuals, le persone con un reddito annuo superiore ai 160.000 dollari e un patrimonio netto liquido superiore ai 3 milioni di dollari leggono testi che parlano di auto-miglioramento, istruzione e successo. Le persone con un reddito annuo non superiore ai 35.000 dollari e un patrimonio netto liquido di 5.000 dollari leggono principalmente per essere intrattenute.

Se non siete dei lettori voraci, non dove iniziare con Roth, Musil o Proust a colpi di 500 pagine al giorno. Sono sufficienti una ventina di pagine purchè siano una ventina tutti i giorni.

Se per caso pensaste di non riuscire a trovare il tempo, considerate che per leggere 200 libri in un anno ci vogliono 417 ore. A fare il calcolo lo scrittore Charles Chu, che per 2 anni ha provato a tenere la media di Buffet: “Sembrano tante, ma se consideriamo che ne usiamo 608 sui social media e 1642 davanti alla tv capiamo bene che quelle ore ce le abbiamo”.

DIRE STRONZATE è SOCIALMENTE più ACCETTATO del MENTIRE

Dire stronzate è socialmente più accettato del mentire. Perdonate il francesismo, ma ogni tanto chiamare le cose con il loro nome, senza nascondersi nel politically correct è doveroso. Soprattutto quando a farlo è la scienza.

Proprio così.

C’è addirittura un libro, edito da Rizzoli, che si intitola Stronzate (On bullshit), scritto dal filosofo morale e di solida reputazione Harry Frankfurt, professore emerito a Princeton.

Uno dei tratti salienti della nostra cultura è che è pervasa da una gran quantità di stronzate. Tutti lo sanno. Ognuno di noi contribuisce con la propria quota. Eppure tendiamo a dare questa situazione per scontata. La maggior parte delle persone si fida della propria capacità di riconoscere una stronzata, quando la sente, e quindi evitare di crederci. Ragion per cui il fenomeno non solleva gran preoccupazione, né è stato finora oggetto di un serio approfondimento“.

John Petrocelli, psicologo alla Wake Forest University ha invece condotto uno studio per capire in quali condizioni le persone si sentono più incoraggiate o autorizzate a dire stupidaggini. Stupidaggini, non bugie. Chi mente nasconde la verità, chi dice stronzate non necessariamente sa qual è la verità e può accadere che stia solo ripetendo cose sentite in giro o idee presentate da altri che sembravano credibili.

COSA DICE LA SCIENZA

E’ emerso che il dire stupidaggini è più accettato che mentire. Probabilmente perchè a volte chi le dice lo fa per favorire il senso di appartenenza al gruppo (cadendo nell’effetto gregge) e poco importa se questa idea è basata sui fatti.

La pericolosità della stronzata è che è impossibile sapere come stanno veramente le cose. Ne consegue che qualunque forma di argomentazione politica o analisi intellettuale è legittima, e vera, se è persuasiva. Tutto questo, secondo il filosofo di Princeton, è effetto di una forma di vita pubblica in cui le persone «sono sovente chiamate a parlare di argomenti di cui sanno poco o nulla».

Il «bullshit artist», l’artista della stronzata, infatti se ne infischia tanto della verità che della menzogna: «Gli sta a cuore solo farla franca con ciò che dice». Un politico, un pubblicitario o un conduttore di talk show che elargiscono «stronzate» non rifiutano l’autorità della verità come fa il bugiardo, che vi si oppone. «Semplicemente non vi badano».

FERRAGOSTO: OGGI come ALLORA… TUTTO un SORPASSO

“Scusi, ma lei che fa a Ferragosto?”

Per l’ennesima volta mi sento porre questa assurda domanda. Fare qualcosa, con qualcuno, il 15 di agosto è diventato un imperativo, come a Natale e Capodanno.
Insomma, la solitudine a Ferragosto è un peccato da evitarsi ad ogni costo.
Non ho mai amato le ricorrenze, è forse il mio un ammutinamento all’effetto gregge, che vorrebbe tutti in fila, a timbrare i cartellini delle festività, come punti da raccogliere per vincere il premio dell’omologazione.

Il SORPASSO di FERRAGOSTO

Nelle riflessioni di prima mattina, mi viene alla mente che quel “scusi, lei che fa a Ferragosto”, in realtà è la domanda di avvio di un capolavoro “Il Sorpasso” di Dino Risi con un Vittorio Gassman e un Jean Louis Trintignant spettacolari.

Un film epico, benchè probabilmente nato con l’intenzione di fare semplicemente un film brillante e buono per i botteghini.
E’ il ritratto di un’Italia bighellona e assolata come mai era stato prima, è un’immagine perfetta, come i quadri marini di Monet: i “tipi” nazionali ci sono tutti, il riccone del boom, la bella ragazzina, la famigliola contadina, la campagna dell’alto Lazio, il mare quasi versiliano, la Roma agostana e rilucente dell’inizio del film, la leggendaria Aurelia B24, le sigarette e lo sci nautico, l’ignoranza, la solidarietà, il “rimorchio”, l’innocenza, la rissa al night club e la zuppa di pesce.
Insomma, la magia di un Ferragosto di altri tempi, passato troppo in fretta che ci impedisce, ogni anno, di diventare adulti. Insomma, allora come oggi, siamo sempre noi, alla ricerca di qualcuno, di qualcosa…

Buon Ferragosto a tutti, soli e in compagnia!

Un’AFFOLLATA SOLITUDINE

Preferiva mescolarsi agli odori della città, respirando il chiasso delle taverne, la carnalità delle prostitute e l’aroma dell’assenzio. Ed è proprio lì che lo incontrai la prima volta, fra i dissoluti vicoli di Montmartre.

Aristocratico per nascita, bohémien per professione, Henri de Toulouse-Lautrec, portava nel corpo deforme e nella fragilità dei nervi le stigmate di un’unione incestuosa.

Lo conobbi in un giorno di estate come fosse questo, di 35 anni fa, leggendo “Moulin Rouge”, di Pierre La Mure, uno dei tanti oscar Mondadori che occupavano scaffali interi, della biblioteca di famiglia.

 

Affamato di vita, sapeva cogliere la natura dell’uomo, scoprendola fra bettole malfamate, can-can smodati, postriboli di periferia.

Morì a 37 anni, non prima di aver consegnato alla fama, fra i tanti, il manifesto dedicato al Moulin Rouge, l’opera più celebre di Parigi.

Il Moulin Rouge, campo di esplorazione privilegiato, da cui osservava la brulicante e multiforme umanità del quartiere e dove invitava l’occhio dello spettatore a partecipare al roteare delle sue ballerine, alle conversazioni annegate nell’alcol, agli attimi proibiti rubati nei postriboli della città,.

Lautrec sapeva cogliere l’effimero piacere di un’esistenza fragile e sensuale insieme, partecipando con sofferenza ed esasperata sensibilità alle sorti del genere umano.

In una vita segnata, a quattordici anni, da due cadute da cavallo che gli procurarono delle fratture ad entrambe le ginocchia e che lo obbligarono a restare deforme come un nano. nel povero universo di ballerine e prostitute egli svolse la sua arte, prendendo di lì la propria ispirazione.

Ed è proprio attraverso quella scomoda esistenza, le sue opere e quel libro che conservo ancora oggi, iniziarono i miei primi furtivi viaggi nei vicoli di Montmartre, fra le malinconiche scene di circo, i provocanti incontri erotici, incontrando un’umanità desolata, inquieta, ansiosa di vita.

Sai ROMPERE LE RIGHE e USCIRE dai RANGHI?

“13 luglio 1942. Nelle prime ore del mattino i riservisti di polizia del Battaglione 101 (ndr: il battaglione dei riservisti della polizia tedesca che parteciparono allo sterminio degli ebrei in Polonia nel 1941) furono svegliati dalle loro cuccette nella città polacca di Bilgoraj. Erano padri di famiglia di mezza età del ceto medio e medio-basso, provenienti da Amburgo. Considerati troppo vecchi per essere utilizzati nell’esercito tedesco, erano stati arruolati nella polizia.

Cominciava a fare chiaro quando il convoglio si fermò alle porte di Józefów, un tipico villaggio polacco. Tra i suoi abitanti si contavano 1800 ebrei. Gli uomini del Battaglione 101 saltarono giù dai camion e si radunarono intorno al loro comandante, il maggiore Wilhelm Trapp, un poliziotto di carriera di 53 anni. Era giunto il momento di spiegare l’incarico affidato al battaglione. Trapp appariva pallido e nervoso, parlava con voce soffocata e le lacrime agli occhi, e lottava palesemente con se stesso per dominarsi.

Il battaglione aveva ricevuto l’ordine di rastrellare gli ebrei. I maschi abili al lavoro dovevano essere separati dagli altri e portati in un campo apposito. Gli ebrei restanti – donne, bambini e vecchi – dovevano essere fucilati sul posto. Dopo aver spiegato che cosa li aspettava, Trapp fece agli uomini un’insolita proposta: se qualcuno fra i poliziotti più anziani non si sentiva all’altezza del compito affidatogli, poteva fare un passo avanti”.

Su 500 persone che componevano il battaglione solo una dozzina fece un passo avanti, deponendo i fucili e mettendosi a disposizione per un altro incarico. Come mai solo 12 persone su 500 fecero un passo avanti?

La particolarità del caso del Battaglione 101 (vale a dire la possibilità di scegliere) ha stimolato molte riflessioni da parte di studiosi e ricercatori.

L’ipotesi più accreditata è quella dello storico americano Browning (autore di: Uomini comuni. Polizia tedesca e soluzione finale in Polonia; suo lo stralcio in incipit): “Uscire dai ranghi e fare un passo avanti, cioè adottare apertamente un comportamento non conformista, era al di là della portata di molti uomini. Per loro era più facile uccidere. Perchè? Fare un passo avanti significava lasciare il «lavoro sporco» ai compagni”.

La maggior parte degli esseri umani non riesce a sottrarsi al conformismo del gruppo cui appartiene, anche se questo lo porta a commettere degli atti mostruosi. Quando il singolo individuo percepisce una certa opinione nella maggioranza del gruppo al quale in quel momento appartiene, si conforma ad essa rinunciando alla propria responsabilità. Questa conclusione naturalmente è valida anche per circostanze meno drammatiche: molti tendono ad accettare, senza effettuare verifiche, informazioni di nessun valore o addirittura palesemente contraddittorie, se percepiscono che la maggioranza le condivide.

Nella comunicazione di massa, l’oscuramento delle opinioni minoritarie è stato evidenziato dalla psicologa Noelle-Neumann con la teoria della spirale del silenzio: le persone hanno sempre un’opinione su quale sia la tendenza della maggioranza in merito a uno specifico tema e, dato che subiscono la paura dell’isolamento, nel caso in cui si trovino ad avere un’opinione difforme da quella della maggioranza preferiscono tacere la propria opinione. Poche persone sono abbastanza forti e libere da sostenere il peso psicologico di percepirsi isolati nel loro contesto sociale.

Il sociologo Gigerenzer riassume l’euristica del conformismo sociale, nella formula “non rompere le righe”.

A prescindere alla definizione che viene data, la prossima volta che vi trovate a decidere, esprimetevi liberamente e ricordate il detto: “meglio soli che male accompagnati”!

LILITH o EVA? La DONNA che SCEGLI di ESSERE

“Siamo pervase dalla nostalgia per l’antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. L’ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dentro di noi…”

Clarissa Pinkola Estès, psicanalista statunitense, sprona così la donna selvatica che c’è dentro ogni essere femminile. La donna libera, naturale e non controllata. E lo fa attraverso racconti, fiabe, narrazioni dense. Rileggerla mi riporta all’antica religione ebraica e alla leggenda di Lilith, la prima moglie di Adamo, precedente ad Eva, ripudiata e cacciata perché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.

“Non starò sotto di te”, dice Lilith. “E io non giacerò sotto di te, ma solo sopra. Per te è adatto stare solamente sotto, mentre io sono fatto per stare sopra”, replicherà Adamo.

Lilith compare nell’insieme di credenze dell’Ebraismo come un demone notturno, capace di portare danno ai bambini di sesso maschile e caratterizzata dagli aspetti negativi della femminilità: adulterio, stregoneria e lussuria.

Lilith abbandona, dopo aver pronunciato infuriata il nome di Dio, il Giardino dell’Eden, per rifugiarsi sulle sponde del Mar Rosso, ma non avendo mangiato come Adamo ed Eva il frutto proibito, non verrà condannata alla mortalità.

Si accoppierà con Lucifero e altri demoni, dando alla luce esseri superiori detti “Jinn”, entità intermedie fra gli angeli e gli umani. Adamo chiederà a Dio di riportare indietro Lilith con l’aiuto di tre angeli, ma invano. Lilith viene così maledetta: i figli che lei concepirà moriranno sempre, perché a lei non è dato partorire vita. Solo morte. Lilith si trasforma dunque in un demone, madre di tutti i demoni, e abita l’oscurità.

Inevitabilmente a questo punto appare Eva, la donna creata dalla costola di Adamo, la donna che non mette in discussione l’autorità costituita.

Con Lilith siamo in un archetipo profondo, inabissato nel sotterraneo, potente e non comune. In lei convivono la sconfitta, il dolore della condanna, la frustrazione, impotenza e depressione, la rabbia dell’ingiustizia e della solitudine, l’esilio e l’invidia per il femminile sottomesso e fecondo, per il volto luminoso della Dea e della Madre, a lei negato.

La sua natura selvatica rifiutata, diventata peccato, scatena una forza distruttiva: la predilezione, a livello sociale, dell’immagine buona, accogliente e sottomessa della donna compagna, ha amplificato e scatenato in noi donne l’ambivalenza interiore, il senso di colpa e di mancanza, la perdita della femminilità erotica (creativa), della potenza dell’energia vitale istintuale: l’incubo di cui parlano le fiabe, intrise di matrigne e streghe cattive, arrabbiate per tutto ciò a cui hanno rinunciato.

Lilith, l’alter-ego di Eva, rappresenta la dignità della donna, la sua autorevolezza, quella forza insopprimibile che la porta a scegliere di essere se stessa, qualunque sia il prezzo da pagare. Quella donna che non si conforma alle leggi precostituite, agli obblighi sociali, ma che li mette in discussione, affrontando con coraggio la paura di essere giudicata, di rimanere sola. Quella donna irrazionale, selvaggia, che si affida alla sua capacità intuitiva, alla conoscenza delle viscere, del corpo, ed attinge alle sue doti naturali.

Censurare l’immagine archetipica di Lilith significa erodere la parte selvatica e intima di ogni donna. L’equilibrio più profondo richiede però di far abbracciare Lilith a Eva, che si fa grembo di attrazione, integrazione, conscia del suo potere e della sua autorevolezza nell’esercitarlo, capace di essere vulnerabile, di affidarsi, forte del proprio valore e che nell’ascolto e nella comprensione, si fa dea.

E per questo uomo e donna, quando si fanno coppia, sono liberi da litigi, sottomissioni, manipolazioni e possono affrontare insieme le differenze, integrandole.