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IMMAGINARE il FUTURO per LENIRE LA TRISTEZZA del PRESENTE: il rammarico di perdere (per 5 minuti) un aereo…

Mario e Andrea devono prendere due diversi voli che partono dallo stesso aeroporto e alla stessa ora.

Per raggiungere l’aeroporto stanno viaggiando sullo stesso taxi ma a causa del traffico arriveranno in aeroporto 30 minuti dopo l’orario di partenza dei loro voli.

Il volo di Mario partirà in orario; quello di Andrea partirà con 25 minuti di ritardo.

Chi è due è più contrariato? Chi è il più triste?

Di fronte a situazioni di questo tipo tendiamo a immaginare scenari alternativi che sarebbero potuti accadere ma non sono accaduti. Smontando di fatto il nostro passato per ricostruire il futuro che si sarebbe potuto realizzare.

Quasi tutti rispondono Andrea: perdendo per 5 minuti l’aereo, si immagina che si sarebbe potuto prendere se solo una piccola azione fosse stata diversa, magari partendo leggermente prima…
Le Neuroscienze hanno monitorato le espressioni facciali dei II e III classificati alle olimpiadi del 1992 per valutare quanto il pensiero influenzasse i loro stati d’animo.

Hanno osservato che i II classificati con la medaglia d’argento erano meno sorridenti dei bronzi, III classificati. Questo effetto è dovuto al fatto che gli argenti erano arrivati più vicini alla vittoria, e quindi risultava molto più facile pensare e immaginare variabili della loro gara che li avrebbero portati al primo posto, facendo quindi crescere il rammarico. I bronzi, più sorridenti dei secondi classificati, erano arrivati più vicini alla loro non vittoria, quindi per loro era molto più semplice pensare agli accadimenti possibili che li avrebbero portati fuori dal podio, motivo per cui sono più sorridenti.

L’euristica della simulazione è capace di influenzare la comprensione degli eventi, degli altri e dei loro stati d’animo ma in modo disequilibrato. Nel caso dei voli persi gli scontenti dovrebbero essere entrambi i passeggeri in egual misura.

La prossima volta che perdete un treno, un aereo o qualche competizione… ricordatevi di questa trappola del pensiero per usarla a vostro vantaggio e lenire così il dolore della perdita… o della sconfitta…

RISPARMIARE con i NUDGE, facendo del BENE al PIANETA

«E sempre, invariabilmente, negli anni di siccità la gente dimenticava quelli piovosi, e negli anni piovosi si scordava completamente di quelli di siccità. Era sempre così…». Ci sono molti modi per parlare di ambiente e di temi green, questo è quello che scelse John Steinbeck, uno dei più grandi scrittori americani del XX secolo.
 
A trentasette anni Steinbeck pubblicava Furore. Ci mise cinque mesi a scriverlo: centocinquanta giorni di solo lavoro, al ritmo di duemila parole al giorno. Lo iniziò nel maggio del 1939 e lo terminò, esausto, in ottobre. Divenne subito un caso politico e di denuncia sociale, più che letterario; fu il libro più venduto negli Stati Uniti in quell’anno, in quello successivo vinse il premio Pulitzer e contribuì all’assegnazione del Nobel per la letteratura al suo autore nel 1962.
 
Steinbeck raccontò di aver fatto del suo meglio «per far saltare i nervi al lettore» a ogni pagina: ci riuscì e Furore divenne il romanzo di denuncia della Grande Depressione degli anni Trenta, raccontando il viaggio della speranza dei contadini affamati del Midwest (dove la siccità e il dust bowl, le tempeste di sabbia, avevano distrutto i raccolti) verso la più prospera California, dove Steinbeck era nato. Venne bandito in alcune librerie, bruciato, accusato di mistificazione, usato come baluardo da operai e socialisti e difeso dalla First Lady Eleanor Roosevelt.

UN MODO INSOLITO PERE PARLARE DI AMBIENTE

Un modo insolito di raccontare i patimenti della siccità, la fame e la morte che l’uomo regala a se stesso. Eppure è proprio dai libri che sono partiti i grandi cambiamenti, da lì sono state raccolte le scoperte che hanno sconvolto il modo di guardare alla realtà. Uno per tutti: Primavera silenziosa, pietra miliare dell’ambientalismo, dove l’autrice Rachel Carson previde con forte anticipo sui suoi tempi gli effetti in agricoltura dell’uso dei pesticidi chimici e di sostanze velenose, inquinanti, cancerogene o letali, sull’uomo e sulla natura. Ecco perché ricorrere a Steinbeck mi è parso il miglior modo per riflettere sulle conseguenze dei nostri comportamenti, nei confronti del pianeta.

UMORALMENTE UMANI 

Come ci sono molti modi per parlare di ambiente, ce ne sono altrettanti per promuovere soluzioni e comportamenti sostenibili: uno di questi sono i Nudge, la strategia della spinta gentile, anche lei “promossa” con il Nobel, che si fonda sulle teorie delle scienze economiche e comportamentali. 

 Benchè consapevoli dei problemi ambientali che affliggono la Terra, noi umani adottiamo solo flebili azioni concrete per porvi rimedio. O non agiamo affatto. Ci piace pensarci razionali, pronti all’impegno e coerenti fra il nostro dire e il nostro fare, dimenticando però di quanto siamo vittime seriali della nostra umoralità.

I nudge tornano così utili anche nel contesto green in quanto strumenti, spinte gentili in grado di cambiare l’azione del singolo nell’ambito della pratica sociale, senza i diktat del dato economico o della punibilità dettata dall’infrazione delle leggi. Sembra difficile, ma non lo è, perché è in linea con la filosofia del papà dei nudge, Richard Thaler «se vuoi che le persone facciano qualcosa, rendi questa cosa semplice».  

COME I NUDGE CI AIUTANO A RISPARMIARE SULLE BOLLETTE

Si è scoperto che per frenare il consumo del numero di asciugamani puliti nelle stanze d’albergo, si ha un’efficacia maggiore quando anzichè scrivere il semplice divieto «Aiutaci a salvare il pianeta. Puoi dimostrare il tuo rispetto per la natura e per l’ambiente riutilizzando i teli durante il tuo soggiorno», si scrive «Unisciti agli altri ospiti nella salvaguardia del pianeta. Il 75% degli ospiti che sono stati invitati ad aderire al nostro programma ha contribuito utilizzando i suoi teli più di una volta».

Le personetendono a fare ciòche fa la maggioranza.Insomma per frenare il consumo degli asciugamani puliti nelle stanze d’albergo,anziché porre in bella vista un cartellino di ammonimento, è più efficace scrivere che la maggior parte delle persone che frequentano quell’albergo non butta gli asciugamani per terra. Il trucco è fare leva sulla norma sociale, invece che sulclassico e meno rigido appello al risparmio energetico.

Per gli hotel, incoraggiare gli ospiti a riutilizzare gli asciugamani è una strategia particolarmente interessante, in quanto consente loro di risparmiare in modo sostanziale sui costi di manodopera, acqua ed elettricità, in nome dell’essere verdi. Uno studio ha stimato che una semplice riduzione del 10% dell’energia utilizzata porterebbe l’industria alberghiera a risparmiare 750 milioni di dollari all’anno solo negli Stati Uniti. Non c’è da stupirsi, quindi, che ora stia diventando pratica comune. Dopotutto a casa nostra cambiamo la biancheria quotidianamente?

ZONE 30 

Un altro esempio arriva dalle zone 30. Nelle quali è permesso andarci in macchina, ovvero non è proibito (cosa che invece avviene in pratiche forti come la pedonalizzazione), bisogna però percorrerle a bassa velocità. Non è un divieto, piuttosto un incentivo verso un comportamento più sostenibile per il cittadino e la viabilità. Questi e molti altri esempi sono esplicitati nel libro Nudge Revolution. La strategia per rendere semplici scelte complesse, nel capitolo dedicato proprio alle scelte green.

NUDGE E INQUINAMENTO 

Un altro modo per essere green è ben rappresentato dalla frase Prima di stampare, pensa all’ambiente. È la dicitura che accompagna la maggior parte delle email di lavoro ed è così visibile che spesso non la vediamo. Per la cronaca, noi italiani stampiamo, in media, 32 pagine di documenti ogni giorno, nei Paesi del Nord Europa, l’utilizzo della carta è decisamente più basso e non si arriva a 20 pagine.
 
Quanto ai danni ambientali di questa cattiva abitudine, spesso generata solo dall’indifferenza, sono di due tipi. Innanzitutto la carta arriva dagli alberi, ed è stato calcolato che un albero di medie dimensioni vale circa 12.000 fogli. Dunque: risparmiare carta, significa automaticamente salvare più alberi. In secondo luogo le montagne di carta consumate negli uffici italiani alimentano quattro milioni di tonnellate di anidride carbonica; basterebbe quindi eliminare la stampa di un foglio su cinque per ridurre di circa 900 milioni le emissioni inquinanti. Senza dimenticare che la fibra di cellulosa è un materiale molto resistente: si può riciclare fino a sette volte.
 
Per incoraggiare le persone a fare un consumo consapevole della carta si possono attuare molte azioni; la più semplice rimane quella di impostare la stampante in modalità “fronte-retro” e, quando possibile, servirsi di carta riciclata. Banale? Sì, ma sono convinta che se in questo momento ti chiedessi di verificare le impostazioni di default della stampante che usi abitualmente, potresti rimanere sorpreso di quante cose all’apparenza banali dimentichiamo. Quando la Rutgers University adottò, ormai qualche anno fa, il default di stampa fronte-retro, nei tre anni successivi il consumo di carta si ridusse del 44%, vennero cioè risparmiati oltre 55 milioni di fogli e salvati 4650 alberi.

GRATIS IL BIGLIETTO DELLA METRO  

A Pechino il biglietto della metro lo puoi pagare in denaro o in bottiglie vuote. Reverse vending è il modello applicato al riciclo approdato nelle stazioni della metropolitana ad alto traffico o turistiche della capitale cinese, dove il numero di persone che vi transitano arriva a 60.000 al giorno. A fianco delle tradizionali biglietterie automatiche, cassonetti “intelligenti” ricaricano la tessera magnetica da usare sui mezzi pubblici. Ogni bottiglia in PET restituisce fra i 5 e i 15 centesimi di yuan di credito a chi la inserisce nel cassonetto. A conti fatti, ai pendolari della metropolitana cinese servono circa 15 bottiglie per ogni biglietto.
 
Partendo dallo stesso concetto, in Australia sono stati posizionati raccoglitori automatici di contenitori di bevande: ogni anno ne finiscono in discarica (nel solo Nuovo Galles del Sud), più di 160 milioni, quasi la metà del volume totale di rifiuti. Cassonetti che funzionano nel modo opposto rispetto i distributori tradizionali: depositando una bottiglia di plastica, una lattina di alluminio o cartoni per bevande, si riceve un credito di 10 centesimi. Come ricompensa, gli utenti possono scegliere tra vari benefit, fra cui i biglietti dell’autobus. Il progetto, denominato Return and Earn, ha l’obiettivo, in un periodo di vent’anni, di ridurre di 1,6 miliardi il numero dei contenitori di bevande abbandonati in ogni dove e di 11 miliardi i contenitori di bevande che altrimenti finiscono in discarica.

Iniziativa approdata anche in Italia, dove in stazioni di conferimento che riconoscono i rifiuti correttamente differenziati, vengono rilasciati ecopunti del valore di 8 centesimi, cumulabili e spendibili negli esercizi commerciali convenzionati.

Cool biz è la campagna promossa in Giappone, dove è stato suggerito ai lavoratori – al fine di ridurre i consumi derivanti dall’uso dell’aria condizionata – di recarsi in ufficio con indumenti leggeri e comodi, invece dei più classici giacca e cravatta. Questa apparentemente piccola spinta ha ridotto le emissioni di anidride carbonica di 1.56 milioni di tonnellate.

Oppure come indicato da un rapporto dell’Istituto ecologico di Berlino, il nudge compare quando per esempio si decida di sostituire il parametro del contachilometri in auto, con un dispositivo automatico che contenga il calcolo automatico dei costi del carburante per ogni spostamento effettuato.

E non finisce qui… Gli interventi di green nudge sono tantissimi, e per scoprirli e quindi applicarli a costo zero e senza fatica, non rimane che leggere il libro Nudge Revolution.

L’articolo è stato pubblicato anche sulla rivista DF magazine: https://magazine.darioflaccovio.it/2020/01/07/risparmia-sulle-bollette-con-i-nudge/

Let us DISPEL a MITH: It is NOT TRUE that the BRAIN does NOT UNDERSTAND NEGATIVE STATEMENTS

I would like to dispel a myth that we often hearduring the course of our personal growth process (or read in “certain” books) from those who know very little about how the brain works. At least compared to someone who has studied the brain for years in university classrooms and maybe has even handled it in the operating rooms or research centres.

Negation is a typical function of human language, and is considered a pragmatic universal need for the communicative necessities to which it responds. However, it is often said that we first need to represent the meaning of a word in order to then negate it.

Several studies have supported the fact that it is not true that the brain does not understand negations, including the most recent one carried out by the researchers of the Center for Neuroscience and Cognitive System (CNCS) in Rovereto and of the Institut des Sciences Cognitives “Marc Jeannerod” of the CNRS in Lyon.

NEGATION AND THE BRAIN
Imagine reading the sentence “There are no eagles in the sky”. You are then shown two pictures: an eagle in its nest and an eagle in the sky. If you were asked which picture you associated to the sentence you just read, you would immediately indicate that of the eagle in the sky and only after would you correct yourself.

Starting from this evidence, neuroscientists, language experts and psychologists have postulated that in order to process the meaning of a negation, it is first necessary to understand the affirmation.

However, in the example of the eagle, there is a practical conditioning: the brain chooses the cognitively more economic way. The sentence “There are no eagles in the sky” leaves many possibilities open. Indeed the eagles could be in their nest, on a tree or flying low over water.

Our brain thus prefers to memorise the only impossible case, an eagle in the sky, rather than the numerous possible ones. What happens though if there is no practical conditioning? Is it still true that understanding negations occurs in two stages?

In order to answer this question, the three researchers showed the subjects involved in the study sentences related to actions which imply movement of the hand, in a positive and negative version, for example “now I’m writing” and “I’m not writing”.

THE ROVERETO EXPERIMENT
The study involved 30 people, all Italian and right-handed. Each subject was shown a series of state verbs and action verbs on a computer screen preceded by a context adverb “now” or “not”. To monitor brain activity during the experiment, the part of the motor cortex associated to the movement of the forearm and the right hand was stimulated with Transcranial Magnetic Stimulation.

RESULTS
The researchers observed that the electric pulses reaching the hand when the subjects read positive actions are more intense than the ones evoked by negative actions, which are even weaker than those measured with verbs of state.

This difference of intensity already exists during the initial stages when the sentence appears on the screen.
The processing of the negations, therefore, occurs differently than that of the affirmations from the early stages, without needing to pass through the processing of the positive meaning.

CONCLUSIONS
The experiment has clarified the operation of a fundamental logic mechanism, negation, showing how the brain is more efficient than we think.

Processing negations probably contributes to defining the difference between human cognition and non-human cognition.

If our cognitive system did not recognise negation, this very statement, like an infinite number of others, would be incomprehensible to humans. And as a consequence not even positive statements.

Se SENTI gli ZOCCOLI PENSI al CAVALLO, non alla ZEBRA. A meno che non VIVI in AFRICA

“Se senti gli zoccoli pensi al cavallo non alla zebra”. A meno che non vivi in Africa.

Non sempre, di fronte a un problema, cerchiamo la spiegazione più semplice, eppure nella stragrande maggioranza è quella giusta, un chiaro riferimento al “rasoio di Occam”.

E’ di questo che parlo con alcuni studenti, persi nel cercare soluzioni dimenticandosi della semplicità.

RASOIO DI OCCAM – PRINCIPIO DI ECONOMIA

Il rasoio di Occam, chiamato anche “principio di economia” suggerisce di fare a meno delle ipotesi superflue quando si cerca di spiegare un fenomeno, in altre parole: a parità di elementi la soluzione di un problema è quella più ragionevole.

Insomma, inutile complicare una teoria o aggiungere elementi a una discussione se non serve ad arrivare alla soluzione o a rendere edificante qualcosa.

Il principio di Occam, per cui il suo postulatore venne accusato di eresia dalla Chiesa, si usa indistintamente in trattati filosofici, per questioni quotidiane ma anche su grandi temi scientifici, ad esempio la natura e la composizione dell’universo.

PSEUDOSCIENZE E REALTA’

Il mancato uso è una caratteristica delle pseudoscienze, in tutti quei casi in cui si cerca di spiegare un fenomeno più o meno misterioso ipotizzandone altri di ancora più improbabili.

Per esempio, non è ancora del tutto chiaro come gli antichi Egizi riuscirono a costruire le piramidi: è possibile ipotizzare che lo abbiano fatto grazie a tecnologie avanzate fornite loro da civiltà aliene, ma seguendo il principio di economia è preferibile supporre che ci siano riusciti da soli sfruttando in modo ingegnoso le conoscenze dell’epoca.

In questo modo non siamo obbligati a ipotizzare una serie di condizioni particolari – che gli alieni esistano, che siano riusciti ad arrivare sulla Terra, a comunicare con gli Egizi e poi a scomparire senza lasciare tracce – e possiamo spiegare lo stesso fenomeno, le piramidi, facendo ricorso a meno ipotesi.

UTILITA’ DEL RASOIO DI OCCAM

L’importanza del rasoio di Occam sta nel costringerci a distinguere tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo. Nel vietarci di andare oltre la più semplice descrizione possibile e ci aiuta a stare alla larga dalle conoscenze presunte e a capire dove le nostre teorie sono incomplete e hanno bisogno di essere migliorate.

Questo però non vuol dire che possiamo usare il rasoio come arma impropria (che qualcuno chiama ironicamente “la motosega di Ockham”) per fare a pezzi le teorie che non apprezziamo, magari perché non rispondono a una definizione arbitraria di semplicità o non condividono i nostri presupposti metafisici.

Qualche volta, specialmente in temi complessi come la politica o l’economia, si assiste a usi spericolati del rasoio di Occam che fanno accapponare la pelle tanto quanto le fallacie delle pseudoscienze, ma in questi casi rientriamo nella propaganda e non nella buona pratica scientifica.

NATALE senza COMPITI: EPPURE lo STUDIO RIDUCE il RISCHIO di INFARTO e le MALATTIE NEUROLOGICHE

Vorrei tranquillizzare il ministro dell’Istruzione Bussetti informandolo che di studio è mai morto nessuno e anzi fa bene al cervello, rallenta l’Alzheimer e riduce le probabilità di avere un infarto cardiaco.

E’ di questi giorni la circolare ufficiale firmata da Bussetti e mandata ai docenti al fine di sensibilizzarli ad avere la mano leggera nell’assegnare i compiti, essendo le imminenti vacanze “giorni di festa da passare in famiglia e non sui libri”. Forse il ministro non sa che gli adolescenti italiani, secondo i dati Ocse non  vantano un livello di alfabetizzazione di primo piano se confrontato  con gli altri paesi del mondo. Mi astengo da giudizi personali e rispondo appellandomi alla scienza…

Le ricerche

La ricerca svolta dall’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma ha dimostrato l’effetto positivo dello studio sull’integrità del cervello, sia dal punto di vista strutturale sia funzionale, in particolare dell’ippocampo, l’area del cervello che svolge un ruolo di primissimo piano nei processi di memoria a lungo  termine. L’indagine sperimentale, tutta italiana, si è guadagnata la copertina della rivista internazionale “Human Brain Mapping” che ha pubblicato i risultati del lavoro.

Da tempo le teorie sostengono che un individuo maggiormente scolarizzato e con un più alto livello di istruzione, quindi più impegnato mentalmente, è in grado di creare una sorta di riserva cognitiva che protegge il cervello dai danni causati dai processi legati all’invecchiamento, come accade nella malattia di Alzheimer.

In altri termini, l’allenamento allo studio e il livello culturale permetterebbero di accumulare un “patrimonio” mentale più ingente che poi viene eroso più lentamente dai fenomeni legati all’invecchiamento cerebrale fisiologico e patologico.

Studiare non fa bene solo alla mente, m anche al cuore: riduce infatti il rischio di infarto. A darci questa notizia i ricercatori di varie università europee, dalla Oxford al Centro Ricerche in Epidemiologia e Medicina Preventiva (Epimed) dell’Universita’ dell’Insubria, che ha coordinato lo studio: “Education and coronary heart disease: mendelian randomisation study” e pubblicato sul British Medical Journal.

Per giungere a queste conclusioni i ricercatori hanno analizzato 162 varianti genetiche già collegate in passato con gli anni di studio e raccolte da 543.733 uomini e donne di origine europea.

I risultati

Dai dati raccolti è emerso che 3,6 anni aggiuntivi di scolarità causano il 33% in meno di eventi coronarici, insomma, le persone che studiano di più rischiano di meno di avere un infarto. Incrementare il numero di anni a studiare riduce il conseguente rischio di sviluppare malattie coronariche. Insomma, se la cultura non dovesse essere un sufficiente motivo per studiare, a stimolarci potrebbero essere i rischi per il nostro cuore.

Conclusioni

I ricercatori spiegano: “Il legame tra bassa educazione e incremento di rischio coronarico è noto da tempo, ma è sempre stato attribuito ad altri fattori, quali fumo, dieta ed attività fisica. I risultati devono stimolare il dialogo tra la comunità medico-scientifica, la classe politica e gli operatori di salute pubblica per pianificare strategie volte a incoraggiare i giovani a migliorare sempre il proprio livello di educazione. Infatti, interventi come la riduzione delle tasse scolastiche, o il contrasto dell’abbandono scolastico precoce, potrebbero diventare misure con riflessi positivi in termini di salute pubblica, con forte impatto sulla prevenzione delle malattie coronariche”.

Di studio dunque non solo si muore ma anzi se ne esce più forti. Forse qualcuno dovrebbe avvisare il Ministro dell’Istruzione…

COME la SCRITTURA può farsi PREZIOSA BUSSOLA INTELLETTUALE

 

“Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere”.

Torna nelle mie letture Eric Arthur Blair, più noto al grande pubblico come George Orwell scrittore capace, anche in un momento di grande instabilità politica qual è quello attuale (tra l’ingannevole esaltazione di improbabili revanscismi e il lamento di chi profila scenari apocalittici), di imporsi con la sua lucidità rigorosa e lungimirante, e farsi preziosa bussola intellettuale

Il FUTURO CHE ORWELL IMMAGINA

In 1984 Orwell descrive il futuro che immagina: la Terra è suddivisa in tre grandi potenze totalitarie, costantemente in guerra, allo scopo di controllare le masse. In Oceania, nella cui capitale Londra è ambientata l’azione, comanda il Socing, una dittatura onnisciente governata dal Grande Fratello: una figura quasi divina, mai incontrata da nessuno, che tiene costantemente sotto controllo la vita di tutti i cittadini attraverso telecamere e controllo psichico operato dalla psicopolizia. La dittatura controlla anche il pensiero, dunque, e il linguaggio, attraverso il bispensiero, che impone come verità l’assurdo.

L’INFLUENZA di 1984 in LETTERATURA E NELLA MUSICA

L’impatto di 1984 non si esaurisce nelle pagine del libro, ma influenza opere e figure diverse in modo trasversale. E’ noto infatti che Orwell scelse la data del titolo invertendo le ultime cifre dell’anno di composizione composizione (’48), ottenendo così un’ambientazione in un futuro sufficientemente lontano per proiettarvi una visione irreale, ma comunque vicino nel tempo per una denuncia dei possibili sviluppi dei regimi contemporanei.

Da Farhenheit 451, a Stephen King fino a Murakami in letteratura; a George Lucas (ne: L’uomo che fuggì dal futuro) e Terry Gilliam (Brazil) nel cinema; alcune delle menti più brillanti del secondo dopoguerra si sono ispirate alla tremenda, ma plausibile, visione orwelliana.

Nella musica, 1984 ha ispirato l’inquieta immaginazione di David Bowie nel suo impegnativo concept album Diamond Dogs.

E ancora V for Vendetta (frutto del genio di Alan Moore); il reportage fumettistico PyongyangGolem di LRNZ, visione distopica dell’Italia del futuro che certo molto deve anche alle riflessioni di Aldous Huxley, Mondo Nuovo, ancora più profetico poiché pubblicato nel 1932, un anno prima dell’avvento al potere di Hitler.

Accostare 1984 a Mondo Nuovo nelle loro differenze, è esercizio critico obbligatorio. Lasciamo la sintesi, impeccabile alle parole di Huxley: “La società descritta in 1984 è una società controllata quasi esclusivamente dal castigo e dal timore di esso. Nel mondo immaginario della mia favola il castigo è raro e di solito mite”.

Pensare che ora, l’espressione Grande Fratello sia il simbolo dell’inutilità indotto dalla tv spazzatura, nella sua tragica ironia, è forse la sintesi e il compimento delle profezie dei due geniali scrittori.