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4 – 8 dicembre 2021 – Nudge Revolution a Più libri più liberi, a Roma

Nudge Revolution torna a #piulibripiuliberi, la fiera della piccola e media editoria di Roma, nello stand Flaccovio.

La soddisfazione è sempre grande. E poi si sa, domani potrebbe essere un inferno, ma oggi è stata una buona giornata di scrittura e nelle buone giornate di scrittura non importa nient’altro.

QUAL E’ LA MIGLIORE CULTURA ORGANIZZATIVA PER LA TUA AZIENDA? Per (eventualmente) cambiarla…

 

Quello della cultura organizzativa è un argomento affascinante. Approfondirlo ti permette di avere informazioni preziose per compiere con sicurezza i prossimi passi verso i tuoi obiettivi. Tuttavia, il termine in sé, può sembrare non così intuitivo.

COSA INTENDIAMO PER “CULTURA ORGANIZZATIVA”?

La cultura si apprende dall’ambiente ed è sempre un fenomeno condiviso e collettivo. Ed è composta da vari strati[1].

Sullo strato esterno, ci sono i simboli: cibo, loghi, colori o monumenti.

Il livello successivo è costituito dagli eroi: personaggi pubblici della vita reale, statisti, atleti o personaggi della cultura popolare, ecc

Sul terzo strato, più vicino al nucleo, i rituali: eventi ricorrenti che modellano la nostra mente inconscia. Esistono sia nella società (es. celebrazione di ricorrenze, mance nei ristoranti) sia nelle organizzazioni (es. riunioni, lunch meeting, ecc).

Al centro, ci sono i valori: trasmessi dall’ambiente in cui cresciamo, come il comportamento dei genitori o degli insegnanti che ci mostrano cosa è accettabile e cosa no.

I problemi con la cultura di solito non emergono quando tutto va bene: è quando ci sentiamo minacciati o a disagio che abbiamo la tendenza a tornare alle origini.

Poiché la cultura è un fenomeno di gruppo, la usiamo per analizzare il comportamento dei gruppi e fare una  valutazione  della probabilità che gruppi di persone agiscano in un certo modo. Una persona non rappresenta l’intera cultura, ma in un gruppo di persone di una cultura, è probabile che le persone agiscano in un modo appropriato per quella cultura.

Da un punto di vista aziendale questo fa della cultura un importante strumento di gestione , nei confronti di gruppi di persone. Anche se non puoi cambiare i valori delle persone, puoi apportare modifiche appropriate nelle pratiche della tua organizzazione per assicurarti di lavorare con quei valori culturali, piuttosto che contro di loro.

Per meglio comprendere quale cultura abita la nostra organizzazione si può ricorrere a due modelli:

  • Teoria delle dimensioni culturali di Hofstede
  • Modello di Schein

La teoria delle dimensioni culturali di Hofstede[2]:

Il modello di Geert Hofstede (professore di antropologia delle organizzazioni all’università di Maastricht), destruttura la cultura in sei dimensioni:

  • Indice di distanza dal potere. E’ il grado in cui le persone accettano e si aspettano che il potere sia distribuito inegualmente. Orwell lo spiegherebbe in questo modo: tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. Questa dimensione riguarda il fatto che tutti gli individui nelle diverse società non sono uguali. La dimensione esprime l’atteggiamento della cultura verso queste disuguaglianze. Il valore di questa dimensione è tanto più alta quanto più gli individui con meno potere di un’organizzazione accettano che questo sia distribuito in maniera diseguale.
  • Collettivismo vs individualismo. Questa dimensione cerca di determinare quanto si è focalizzati su se stessi o sugli altri, è il grado di interdipendenza che una società mantiene tra i suoi membri.
  • Evitare l’incertezza. Misura la tolleranza per l’ambiguità e l’incertezza. Hofstede si chiede: Dovremmo provare a controllare il futuro o semplicemente lasciare che accada? Questa dimensione rappresenta “quanto” una società riconosca il “limite” che il futuro non può essere conosciuto. Il modo in cui si affronta ambiguità e incertezza è legato alla cultura di origine e può generare più o meno ansia. Un punteggio alto vuol dire che la società tende a evitare situazioni di incertezza e ambiguità.
  • Femminilità contro mascolinità. Un punteggio più alto (maschile) di questa dimensione indica che la società avrà come driver principale la competizione e l’orientamento al successo. Un punteggio basso (femminile) significa che i valori dominanti sono la cura del prossimo e la qualità della vita. Una società femminile è quella in cui la qualità della vita viene prima della ricerca del successo.
  • Breve termine vs lungo termine. Come le società affrontano le sfide del presente mantenendo il loro legame con le tradizioni e il passato. Società con punteggio basso su questa dimensione tendono a mantenere le tradizioni.
  • Restrizione vs indulgenza. Misura quanto le persone cercano di controllare i loro desideri e impulsi. È legato al tipo di educazione ricevuta. E’ indulgente una società con un controllo più blando, restrittiva laddove abbiamo un forte controllo.

La teoria delle dimensioni culturali di Hofstede può essere estremamente utile anche per comprendere i diversi stili di comunicazione, culture, comportamenti e atteggiamenti.

 

Edgar Schein e la cultura organizzativa

Edgard Schein, ex professore alla MIT Sloan School of Management, ha ipotizzato un modello suddiviso in 3 parti.

  • Artefatti. E’ il primo livello, quello fisico. L’organizzazione si esprime anche attraverso l’arredo, la tecnologia, l’utilizzo degli spazi. Un open space e un ufficio organizzato in cubicoli o ancora un ufficio organizzato in stanze con porte chiuse, un ambiente completamente spoglio e uno curato e ricco di verde… Sono ben evidenti gli stili di approccio dell’organizzazione. Stessa cosa si ribalta sul ruolo dei singoli e dell’interazione tra funzioni.
  • Valori espliciti. Non c’è niente di più immediato, quando si valuta un’organizzazione, della pagina “Chi siamo” sul sito internet.
  • Assunti o presupposti – Secondo Schein esiste un livello più profondo di conoscenza della cultura organizzativa, che passa attraverso il non detto: le leggi che non hanno bisogno di essere espresse per influenzare l’organizzazione. Gli assunti di base sono le norme che regolano l’azione dei membri dell’organizzazione e di cui gli stessi membri sono spesso inconsapevoli, tanto sono radicate. Un livello che appare agli occhi dei soli analisti più esperti, ma che è in grado di rivelare la vera anima del modello organizzativo.

 

COME SI CREA UNA BUONA CULTURA DI SQUADRA?

  • Diventa consapevole della cultura

Inizia a notare le sue caratteristiche. Presta attenzione ai valori condivisi, al modo in cui le persone si esprimono e alle storie che raccontano sui loro successi e fallimenti.

  • Valuta la tua cultura attuale

Inizia creando tre elenchi:

  1. Cosa dovrebbe rimanere? Annota gli aspetti della cultura della tua organizzazione che ti piacciono e che vuoi preservare
  2. Cosa dovrebbe andare? Annota gli aspetti della tua cultura che devono essere modificati se vuoi andare avanti.
  3. Che cosa manca? Annota gli aspetti della cultura che sembrano mancare o deboli.
  • Immagina una nuova cultura

Questa è la parte divertente. Piuttosto che limitarti a lamentarti di ciò che è, inizia a immaginare cosa potrebbe essere. Come sarebbe la cultura ideale? Scrivilo nel modo più dettagliato possibile.

Piuttosto che limitarti a lamentarti di ciò che è, inizia a immaginare cosa potrebbe essere.

  • Condividi la visione con tutti

La cultura non cambierà a meno che tu non proponga una visione per qualcosa di nuovo. Devi articolare in un modo che sia avvincente e specifico. E non puoi farlo solo una volta. Inizialmente, l’unica visione dell’esistenza è nelle tue parole. Devi continuare a parlarlo finché non mette radici e comincia a crescere.

  • Ottieni l’allineamento dal tuo team di leadership

Sto parlando di più di un accordo. Hai bisogno di allineamento. Questo è qualcosa di completamente diverso. Vuoi una squadra che acquisti la visione, capisca cosa è in gioco e sia disposta a prendere una posizione per realizzarla. Consideralo un complotto. Non in senso negativo, ma in senso positivo. Tu e il tuo team state cospirando insieme per apportare un cambiamento positivo che trasformerà la tua organizzazione.

E infine…

  • Agisci sulle persone

Intuitivamente, sembra l’approccio più naturale: se la cultura è associata al modo di pensare delle persone, per cambiarla è necessario agire direttamente sulle persone. Eppure cambiare direttamente il modo di pensare delle persone è una missione impossibile. Ciò che va cambiato è il modo di agire delle persone

Le persone non oppongono resistenza al cambiamento, ma a essere cambiate. Pertanto guardano con sospetto a ogni tentativo di cambiare il loro modo di pensare, in particolare quando il cambiamento sembra assumere un carattere manipolativo o viene interpretato come una minaccia alla propria persona o all’organizzazione.

  • Agisci sul contesto

La logica in base alla quale per ottenere un cambiamento della cultura è preferibile agire sul contesto parte dall’assunto che le persone sono positive e gli eventuali comportamenti negativi sono determinati da pressioni del contesto stesso o da assunti errati, della cui correttezza però le persone sono convinte. Pertanto, di fronte a un comportamento negativo, è necessario separare nettamente il giudizio sul comportamento, dal giudizio sulla persona che lo ha adottato.

Tale approccio fa leva su due strumenti chiave del change management: i nudge e i feedback. Anziché agire direttamente sulla cultura al fine di produrre un cambiamento nel contesto, risulta più efficace agire sul contesto, introducendo nuove regole, procedure e meccanismi operativi, in grado di favorire un progressivo cambiamento nel modo di pensare e di agire delle persone. Questo richiede che i leader progettino sistemi nei quali appaia facile e conveniente per le persone assumere decisioni corrette, delle quali possono beneficiare sia loro che l’organizzazione.

 

Fonti

[1] https://hi.hofstede-insights.com/organisational-culture

[2] Hofstede G., Hosfede G.J., Minkov M., Culture e organizzazioni, Franco Angeli, 2014

Schein, E.H. (1999), “Empowerment, coercive persuasion and organizational learning: do they connect?”, The Learning Organization, Vol. 6 No. 4, pp. 163-172.

Schein E.H., (2018), Cultura d’azienda e leadership, Raffaello Cortina ed.

https://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.475.3285&rep=rep1&type=pdf

BIKESHEDDING: la TENDENZA a CONCENTRARSI su cose BANALI (a scapito di quelle IMPORTANTI)

Di fronte a due decisioni, una importante e una irrilevante, abbiamo la tendenza a dare la precedenza a quella banale credendo che ci vorrà meno tempo a processarla.

Sbagliando…

BIKESHEDDING

La tendenza a dedicare troppo tempo a questioni banali, spesso sorvolando su quelle importanti, ha un nome insolito: bikeshedding.

Il bikeshedding ci rende miopi nella allocazione del tempo, portandoci a dedicarci prima ai compiti semplici pensando che ci vorrà meno tempo per espletarli.

Se l’odg di una riunione include decidere se aprire a nuovo mercato oltreoceano e l’acquisto di nuove scrivanie, la tendenza è spesso quella di dedicarsi prima agli arredi, poiché ritenuta una decisione più semplice e veloce ma così facendo quando si arriva a analizzare i dati per una eventuale espansione si avrà a malapena il tempo sufficiente per aprire il confronto.

PERCHE’ SUCCEDE

A spiegarlo è lo storico navale Cyril Northcote Parkinson:

La quantità di tempo trascorso a discutere un problema, in una organizzazione, è inversamente correlata alla sua effettiva importanza nello schema delle cose”.

Ciò significa che meno un problema è importante, più tempo viene dedicato ad esso. O per dirla in un altro modo, se assegni un’ora a un compito che richiede solo 30 minuti, psicologicamente, il compito finisce per acquisire la complessità di un compito della durata di un’ora.

Per illustrare l’assunto, lo storico chiese di immaginare una riunione del comitato finanziario con un ordine del giorno in tre punti:

  1. Una proposta per una centrale nucleare da 10 milioni di sterline
  2. Una proposta per un capanno per biciclette da £ 350
  3. Una proposta per un budget annuale di £ 21 per il caffè

Cosa accadde?

Il comitato finì per esaminare il primo punto in un tempo non sufficiente a prendere una decisione informata. La decisione era, per la maggior parte dei membri, eccessivamente complessa e poco sapevano sull’argomento e chi era preparato, non sapendo come spiegare i dettagli al resto del gruppo, ha finito con il complicare ulteriormente la decisione.

La discussione si sposta così sul secondo punto. Qui, i membri del comitato si sentono più a loro agio nell’esprimere opinioni. Sanno tutti cos’è un capanno per biciclette e che aspetto ha. Molti avviano così un dibattito sul miglior materiale possibile da utilizzarsi, valutando le opzioni che potrebbero consentire risparmi modesti. E finiscono con il discutere del capanno delle biciclette molto più a lungo della centrale nucleare.

Infine, la commissione passa al punto tre: il budget del caffè. Improvvisamente, tutti sono esperti. Prima che qualcuno si renda conto di cosa sta succedendo, trascorrono più tempo a discutere del budget di £ 21 per il caffè rispetto alla centrale nucleare e al capanno delle biciclette messi insieme! Alla fine, terminando il tempo a disposizione, il comitato decise di riunirsi di nuovo per completare la analisi. Tutti se ne andarono soddisfatti, avendo contribuito alla conversazione.

LA SFERA DI COMPETENZA

Parlare di biciclette è semplice, tutti hanno un’opinione al riguardo e quindi più cose da dire. Quando qualcosa è al di fuori della nostra sfera di competenza, come una centrale nucleare, non proviamo nemmeno ad articolare un’opinione. Ma quando qualcosa è appena comprensibile, anche se non abbiamo nulla di valore da aggiungere, ci sentiamo obbligati a dire qualcosa per non sembrare stupidi. Chi non ha niente da dire su una rimessa per biciclette? Tutti vogliono dimostrare di conoscere l’argomento in questione.

Qualunque sia la decisione, non dovremmo dare uguale importanza a ogni opinione. Vanno enfatizzati gli input di coloro che hanno esperienza in merito. E se siamo noi a voler intervenire, dovremmo chiederci se ciò che vogliamo dire è davvero utile e prezioso ai fini della decisione.

STRATEGIE ANTI-BIKESHEDDING

Avere uno scopo e un obiettivo chiaro impedisce di cadere vittime del bikeshedding.

La specificità è un ingrediente cruciale. Così facendo sarà facile rendersi conto che non è una grande idea discutere la costruzione di una centrale nucleare e di un capanno per biciclette nella stessa riunione. Non c’è abbastanza specificità.

Le opinioni più informate sono le più rilevanti. Questo è uno dei motivi per cui non è strategico invitare alle riunioni un numero eccessivo di persone presenti, se non portano valore aggiunto alla discussione. Tutti vogliono partecipare, ma non tutti hanno qualcosa di significativo da contribuire. Evita di invitare coloro che difficilmente hanno conoscenze ed esperienza pertinenti. Ottenere il risultato desiderato, una discussione ponderata e informata sulla centrale elettrica, dipende dall’avere le persone giuste nella stanza.

Utile è organizzare riunioni specifiche per tipologia di decisione da prendere. Se un problema complesso viene portato in una riunione con un lungo ordine del giorno, può perdersi tra questioni banali. Se è l’unico punto all’odg,  sarà difficile evitare di parlarne.

Esempio – Zoom come soluzione

A causa del COVID-19, le riunioni Zoom sono diventate la nuova normalità e potrebbero essere di supporto nel contrastare il bikeshedding.

Zoom versione base infatti consente riunioni gratis di 45 minuti: questo è un antidoto perfetto. Sapere che si ha solo 45 minuti per la riunione può aiutarci a rimanere concentrati sulle questioni importanti. Zoom ci dà anche promemoria di quanto tempo è rimasto, il che significa che se la discussione è andata fuori strada, questi promemoria possono aiutare a riportare il gruppo sulla questione importante.

Riepilogo

Il bikeshedding descrive la nostra tendenza a passare troppo tempo a discutere di questioni banali e, di conseguenza, troppo poco tempo a discutere di questioni importanti. Descrive la relazione inversa tra il tempo trascorso e l’importanza di un problema.

Si verifica perché è molto più facile discutere questioni semplici che comprendiamo adeguatamente. Nei contesti di gruppo, spesso cerchiamo di esprimere le nostre opinioni come un segno di partecipazione e abbiamo maggiori probabilità di parlare di un problema relativamente semplice perché è scoraggiante discutere di un argomento complicato, anche se è più importante.

Il bikeshedding può essere evitato cercando di rimanere in tema. Per rimanere concentrati su questioni importanti, possiamo optare per riunioni con un unico punto all’odg; questo rende meno probabile che si vada fuori strada, o ancora, assegnare una persona specifica che tenga conto del tempo a disposizione. Un altro modo è limitare la partecipazione alla riunione alle persone strettamente necessarie.

 

Fonti
  1. https://effectiviology.com/bikeshedding-law-of-triviality/
  2. https://www.lifehack.org/articles/featured/how-to-use-parkinsons-law-to-your-advantage.html
  3. https://fs.blog/2020/04/bikeshed-effect/
  4. https://www.safaribooksonline.com/library/view/perspectives-on-data/9780128042618/
  5. Schachter, H. (2020, July 18). Explaining ‘bikeshedding’: When trivial things waste meeting time: Bikeshedding, or the law of triviality, can often eat up precious minutes in meetings as attendees get caught up with trivial topics. The Globe and Mail

IL COSTO DEI SEGRETI (nelle organizzazioni)

Abbiamo tutti dei segreti.

Potrebbe essere quello di sapere che la promozione promessa a un collaboratore sarà disattesa; il trasferimento in un altro dipartimento non sarà bloccato, il tempo determinato non sarà rinnovato, e via dicendo.

Qualunque sia la decisione, prima di poterla comunicare talvolta occorre tenerla segreta, autocensurarsi, far buon viso a cattivo gioco, adattarsi… E non tutti riescono ad accettarlo.

D’altra parte però, decenni di studi scientifici, dimostrano che spesso preferiamo non smascherarli i segreti, perché incrinerebbero (finchè durano) il nostro bisogno di falso controllo. Fintanto che fingo di non vedere, il problema non esiste, l’effetto struzzo nel pieno delle sue potenzialità.

L’IMPATTO SU BENESSERE E PRESTAZIONI

Celare la verità ha dei costi su prestazioni e benessere.

Il 97% delle persone coinvolte in uno studio, ha in media 13 segreti che riguardano il posto di lavoro, come licenziamenti o promozioni in sospeso, vita personale e famiglia[1].

Due sono i principali danni a cui si può andare incontro:

∑         Danneggia il benessere. L’energia per resistere, autocensurarsi, pensieri ossessivi e ansia nell’anticipare cosa sarebbe successo quando il segreto sarebbe stato rivelato non fanno bene alla salute.

∑         Danneggia la concentrazione e il processo decisionale: quando si è distratti da un segreto non si è completamente presenti, con la conseguenza che l’irrazionalità avrà vita più facile.

 

COSA SUCCEDE NEL CERVELLO DI CHI DEVE MANTENERE UN SEGRETO

∑         L’amigdala è super irritabile, pronta a mettersi in azione, con tutto ciò che ne consegue

∑         L’ippocampo, a causa dello stress da eccesso di cortisolo, è compromesso con una ripercussione su apprendimento, memoria e sistema immunitario,

∑         La corteccia prefrontale è offline a causa dell’iperattività della amigdala, quindi la capacità di comunicare, collaborare, innovare saranno limitate.

 

I DATI

Per molti, avere dei segreti, è utile. Una necessità che sovrasta ampiamente la difficoltà di dover mentire.

Una ricerca di Glassdoor, condotta nel Regno Unito, ha rivelato che il 44% degli intervistati dice di mentire per evitare di mettersi nei guai e il 34% per nascondere gli errori commessi[2].

Il 40% del campione, lo fa perché è “più facile essere d’accordo con la maggioranza” e il 24% perché al manager o ai colleghi non piace sentire opinioni diverse dalle loro.

Il 17% ha affermato di aver mentito perché si sentiva a disagio nel dare un feedback onesto ai colleghi.

Il 72% del campione ha detto che l’autenticità sul lavoro permette di creare una cultura solida e il 77% che questa favorisce le relazioni tra colleghi e clienti, ma solo il 51% crede che i loro CEO e manager siano autentici.

 

I COSTI ECONOMICI DEL MENTIRE

Scandagliando i dati scientifici, l’unica verità sembra essere che tutti mentano e celino segreti. Qualcuno ci riesce meglio di altri. D’altronde  viviamo in un tempo in cui la bugia e l’inganno sono sempre più tollerate e non rappresentano un’eccezione, anche se questo costa molti soldi.

Secondo i dati dell’Association of Certified Fraud Examiners, in media ogni società perde il 5% dei guadagni annuali a causa di frodi, per un totale di circa 3.5 trilioni di dollari ogni anno. Le ricerche hanno determinato che ogni giorno, ogni individuo può ricevere dalle 10 alle 200 informazioni false. Un americano su quattro ritiene ammissibile mentire a un assicuratore, un terzo dei curriculum sono “aggiustati”. Un lavoratore su cinque dice di essere a conoscenza di frodi nel suo ambiente professionale ma non le riporta ai superiori.

 

A QUALI BUGIE PIACE CREDERE

Secondo Marcus Buckingham[3] e Ashley Goodall[4], NOVE sono le bugie a cui tutti, indistintamente, piace credere[5]:

∑         Alle persone importa per quale azienda lavorano

∑         A vincere è la migliore pianificazione

∑         Le migliori aziende lavorano su obiettivi

∑         I migliori talenti hanno un profilo completo

∑         Le persone hanno bisogno di feedback

∑         Le persone possono valutare altre persone in modo affidabile

∑         Le persone hanno un potenziale

∑         La cosa più importante è il work-life balance

∑         La leadership ha caratteristiche precise

 

L’esperienza di una persona in un’azienda è influenzata soprattutto dalle relazioni individuali. Per questo, è più importante il comportamento del proprio referente rispetto a un’astratta cultura aziendale che non si può verificare sulla propria pelle. La cultura aziendale è, secondo gli autori, un’utile convinzione condivisa che serve a orientare il comportamento di tutti.

Riguardo al talento, la convinzione è che chi ce l’ha sia concentrato su uno o due punti di forza. Il miglior nuotatore, il miglior calciatore o il miglior manager, sono coloro che hanno alcuni talenti precisi limitati a un’area specifica. Prendiamo Messi, che fa tutto con il piede sinistro. Chissà, forse con il destro sarebbe solo uno dei tanti.

Per capire i punti di forza di una persona? Non affidatevi alle review tra colleghi perché le persone semplicemente non sanno giudicare altre persone: troppi pregiudizi, troppi punti di vista parziali e poca chiarezza su cosa c’è da valutare. Per non parlare dei feedback: evitateli perché fanno cascare nell’errore di cercare di cambiare le persone invece di cambiare le situazioni e i contesti che portano problemi.

Lapidari i due ricercatori, mi piace credere che gli esseri umani siano meglio di così. Che sia, il mio, un bisogno di celare a me stessa la verità?

 

LE (NON) SOLUZIONI

∑    Comunicare che nella propria sfera di influenze non c’è spazio per la menzogna è un buon modo, un nudge che diventa un impegno, se fatto nel modo giusto. A cui si aggiunge dare il buon esempio.

∑    Non confondere il segreto con la bugia. Il costo dei segreti ha un prezzo emozionale e psicologico, tutti paghiamo per gli inganni, direttamente o indirettamente.

∑    Ricordarsi che ci si può proteggere tenendo a mente che una bugia non ha potere. Ne acquista nel momento in cui qualcuno decide di crederci. E se fossi tu a volerci credere a tutti i costi, quale bisogno credi così di soddisfare (e problema procrastinare)?

 

Queste ti sembrano soluzioni a basso impatto e magari anche banali? Forse, ma essere consapevoli di cosa spinge a mentire o a tenere un segreto è qualcosa che non trascurerei.

Quali (s)vantaggi ha sulla mia serenità e benessere, sul mio lavoro e sulla mia carriera? Cosa penso di ottenere o di evitare?  Cosa rispondi?

 

Tutto ha un prezzo. Spetta a ognuno di noi dargli un valore e tenerlo a mente quando saremo di fronte a una scelta.

 

FONTI

[1] Slepian ML, Chun JS, Mason MF. The experience of secrecy. J Pers Soc Psychol. 2017 Jul;113(1):1-33.

[2] http://hrnews.co.uk/half-of-employees-have-lied-at-work/

[3] https://www.marcusbuckingham.com

[4] https://www.ashleygoodall.com

[5] https://www.amazon.it/Nine-Lies-about-Work-Freethinking-ebook/dp/B07C3ZT28C

MENO SI’, PIU’ NO! …PER MASSIMIZZARE IL SUCCESSO

Alcuni, io sono fra questi, hanno la tendenza a dire sempre sì. Consci che benchè sul momento sembri la decisione più facile, non lo sarà, nel tempo.

Il rischio è di essere impegnati ma non produttivi e scambiare l’iperattività per produttività.

Dire no nei momenti giusti, aiuta a concentrare l’attenzione e gli sforzi sulle cose realmente importanti e massimizzare il successo.

Un integralista del no è il consulente di gestione e redattore di HBR Greg McKeown. Nel best seller Essentialism: The Disciplined Pursuit of Less (Dritto al sodo. Come scegliere ciò che conta e vivere felici), espone una metodologia utile allo scopo e che è possibile concentrare in tre punti:

  • Meno è meglio;
  • Poche sono le cose veramente essenziali nella vita;
  • Creare una routine è importante per concentrarsi solo su ciò che è essenziale.

Detta così suona semplice. In parte lo è ma, per far propria questa metodologia, occorre essere aperti al cambiamento. Non a caso è un ottimo esercizio di Change Management.

Per diventare essenziali, secondo Greg, occorre sostituire i falsi presupposti:  “Ho bisogno di farlo”; “Questo è tutto importante” e “Posso fare entrambe le cose”, con:

  1. “Scelgo di fare”;
  2. “Solo poche cose contano davvero”;
  3. “Posso fare qualsiasi cosa, ma non posso fare tutto.”

Alla base del successo di tale filosofia, c’è la necessità di riconoscere di avere una scelta. Se lo dimentichiamo, cadiamo facili prede delle scelte altrui.

Un essenzialista è colui che apprezza il potere di scelta.

Molte persone non riescono a performare poiché credono che tutto sia importante. Quindi è importante investire del tempo per valutare le diverse opzioni. Con questa valutazione, un essenzialista è in grado di separare ciò che è vitale (di solito poche cose) da ciò che è banale. Spesso l’errore deriva dal fatto che confondiamo iperattività con produttività.

Inconsciamente associamo più lavoro a più risultati. Crediamo che più ore impieghiamo, migliore sarà la nostra produzione. Questo atteggiamento è intrinsecamente imperfetto. Cercando di fare il più possibile, non ottimizziamo i nostri sforzi.

Prendiamo l’esempio della lettura.

Sei libri contengono più conoscenza di uno. Di conseguenza, un approccio iperattivo sarebbe quello di leggerli tutti e sei il più rapidamente possibile. In questo modo, saremo sicuri di assorbire tutta la saggezza e ottenere più valore dalla nostra attività di lettura. Tuttavia, cercando di leggere i sei libri in un breve periodo, non abbiamo l’attenzione alla lettura necessaria per digerire le lezioni dei libri. Leggere uno dei sei è la soluzione essenzialista. Prendendo il tempo necessario per leggere correttamente quel libro, consentiremo al nostro cervello di metabolizzare ciò che serve e usarlo al meglio. Nel tempo, trarremo maggiori benefici da aver letto correttamente un unico libro che aver sfogliato tanti libri: una perfetta manifestazione della regola di Pareto

Trade-off

Parliamo di compromesso quando dobbiamo operare una scelta tra due cose che desideriamo. Di solito, il nostro desiderio è fare entrambe le cose, tenere entrambe le opzioni. Raramente è una buona decisione. In questa situazione, un essenzialista non si chiede come fare entrambe le cose, ma decide quale può coltivare di più. E meglio. Con questa riflessione, è in grado di giudicare ciò che gli darà la maggiore opportunità e concentrarsi su quello, cioè concentrarsi solo sull’essenziale.

Regola del 90%

Il funzionamento è semplice:  va valutata ogni opzione con un punteggio fra 0 e 100. Quelle sotto 90, sono da eliminare. In questo modo, si evita di rimanere bloccati con le opzioni medie.

  1. Annota su un foglio quale opportunità ti viene offerta (ad esempio, tenere un discorso a un evento);
  2. Di seguito, decidi 3 criteri in base ai quali deve essere approvata l’opportunità per iniziare a prenderla in considerazione (Es .: pubblico di oltre mille persone; spese di trasporto pagate, possibilità di vendere il proprio libro);
  3. Infine, scrivi i criteri ideali per l’opportunità di essere approvato. (Es. 5000 persone parteciperanno alla conferenza e riceverai un bonus).

Ottimale è accettare solo un’opportunità, quella che soddisfatta tutti i criteri iniziali e almeno due ideali. In questo modo, puoi separare quali sono le opportunità che porteranno grandi benefici e sono essenziali, da tutte le altre.

“Applicare criteri più severi alle grandi decisioni consente di attingere meglio al sofisticato motore di ricerca del nostro cervello. Pensala come la differenza tra la ricerca su Google di “buon ristorante a New York City” e “la migliore fetta di pizza nel centro di Brooklyn”, spiega l’autore.

Anche in questo caso per prendere la corretta decisione, occorre porsi e porre domande pertinenti.

Modello di proprietà e budget a base zero 

L’approccio essenzialista di McKeown funziona bene nel contesto del minimalismo grazie al suo modello di proprietà e budget a base zero.

Il concetto è semplice.

  • Se non possedessi già un oggetto, lo compreresti comunque?
  • Se non avessi già investito denaro ed energie in un progetto, continueresti comunque?
  • Se non avessi già trascorso del tempo in una relazione, riavvieresti la stessa relazione oggi?
  • Questo modello a base zero ci consente di fare un passo indietro e analizzare con chiarezza le sfide della vita.
  • Se vuoi spendere in modo più razionale, chiediti se ti libereresti di un articolo se non lo avessi già pagato.

Applicando criteri di consumo a base zero, impari a stabilire regole di acquisto.

Stabilisci confini chiari nella tua vita 

L’essenzialismo va di pari passo con confini ben definiti. Un essenzialista non è un egoista o un individualista, ma i suoi confini sono chiari.  Che sia al lavoro, nella vita sociale o nel tempo libero, dire di no non è una debolezza. È una parte cruciale per liberarti dalle cose che non ti interessano. C’è sempre quel collega che mette tutto sulla tua scrivania e si aspetta che tu sia disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Se non fissi mai dei limiti e dici sempre , agirai secondo le priorità di qualcun altro, non le tue. E credendo (erroneamente) che questo verrà a tuo vantaggio, che accumuli crediti e via dicendo. Purtroppo le persone non faranno altro che approfittarne e arrabbiarsi per quell’unica volta che non hai potuto far altro che dire no.

L’approccio di McKeown consiste nello stabilire in anticipo dei confini chiari per eliminare la necessità di un no diretto, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Predefinendo le priorità e i limiti sul lavoro e nella vita personale, il tuo approccio essenzialista sarà evidente ed eviterai i conflitti quando i tuoi confini cambiano nel tempo.

Fai meno cose meglio

Prendi come esempio la tua vita professionale.

  • A quanti progetti stai lavorando in questo momento?
  •  Quante persone dipendono da te? 
  • Quanto ti impegni in ogni parte del tuo lavoro? 

Tutti possiamo trovare modi per fare meno cose meglio. Fare meno cose permette di comunicare meglio e potenziare se stessi e gli altri.

Se sei il leader, avrai più tempo per comunicare correttamente la tua strategia e questo, a sua volta, consentirà ad altre persone di assumersi maggiori responsabilità. Questa migliore comunicazione porterà anche a una maggiore responsabilità per il leader e i suoi collaboratori.

Infine, fare meno cose nella vita ti aiuterà a ottenere risultati migliori.  Poiché un approccio essenzialista garantisce uno sforzo unitario verso un obiettivo ben definito, i risultati saranno più soddisfacenti.

Trasliamo il tutto in un esempio sportivo.

Se stai cercando di allenarti per una maratona e un’esperienza di arrampicata allo stesso tempo, è probabile che non otterrai né l’una né l’altra. Farai progressi in entrambe le direzioni, ma mai abbastanza per raggiungere l’obiettivo finale. Almeno questo è ciò che succede alla maggior parte delle persone.

SOLDI, PREMI E POLPETTE… NON SONO SPINTE GENTILI. RIFLESSIONI ESTIVE ANALIZZANDO SOLUZIONI POCO STRATEGICHE

Ci stanno provando in tutti i modi a convincere gli indecisi a vaccinarsi. Ma nonostante in tanti nominino le spinte gentili, soldi, premi e polpette hanno ben poco a che fare con i Nudge.

IN GIRO PER IL MONDO

In Serbia ogni cittadino che si vaccina riceve in cambio 25 euro. Negli Stati Uniti, Joe Biden ha chiesto agli Stati di offrire 100 dollari per ogni nuovo vaccinato, e rimborsare tutte le imprese che hanno concesso permessi retribuiti ai loro dipendenti per vaccinarsi.

Lo stato dell’Ohio ha offerto a ogni vaccinato la possibilità di partecipare a un’estrazione con in premio un milione di dollari. Il governatore della California ha lanciato la lotteria in denaro Vax for the Win, con un premio finale di un milione e mezzo a 10 fortunati nuovi vaccinati.

A Detroit sono stati regalati 50 dollari a chi portava una persona a farsi vaccinare e in West Virginia ogni vaccinato, ha ricevuto un buono risparmio da 100 dollari. A New York sono stati regalati biglietti per concerti, partite di basket, corse gratuite in metro e in treno per i pendolari. Nel New Jersey vengono regalate pinte di birra, nello stato di Washington spinelli.

In Russia, le autorità hanno distribuito cinque auto a settimana in un’estrazione a premi a cui ha partecipato solo chi poteva dimostrare di aver fatto almeno una dose di vaccino.

In Libano, Uber ha offerto due corse gratuite fino a 40.000 LBP (poco meno di 50 euro) ciascuna, per viaggiare da e verso i centri vaccinali.

In Romania, il governo ha consegnato ai nuovi vaccinati panini con salsiccia.

Ai londinesi, oltre a usufruire dei trasposti gratuiti per recarsi nelle sedi vaccinali, è stata data la possibilità di vincere biglietti per la finale degli Europei di calcio.

In Asia sono stati distribuiti premi in cibo. In Indonesia, una gallina viva, nelle Filippine sono state messe in palio mucche e riso.  Nella periferia di Pechino vengono regalate uova agli ultra sessantenni che hanno completato il ciclo vaccinale.

A Hong Kong, ci sono in palio lingotti d’oro, Rolex di diamanti, un buono spesa di centomila dollari e una casa da oltre un milione e quattrocentomila dollari.

In Grecia viene invece offerto un buono da 150 euro ai giovani fra i 18 e i 25 anni che si vaccina. A Praga per i dipendenti statali che si vaccinano ci sono due giorni di ferie retribuite in più.

C’E’ CHI PREMIA E CHI PUNISCE

C’è chi invece ha scelto punizioni anziché premi. A Giacarta ci sono multe fino a cinque milioni di rupie (300 euro) per le persone che non si immunizzano.  In alcune zone dell’India non si servono liquori a chi non dimostra di essere vaccinato.

Gli Emirati Arabi limitano le partecipazioni a eventi live, attività sportive artistiche e culturali. In Arabia Saudita non si può entrare nei centri commerciali, in Kazakistan niente bar, cinema e aeroporti. Nelle Filippine i cittadini possono optare tra: Il vaccino o il carcere[1].

Il Cremlino ha affermato che le persone non vaccinate potrebbero non accedere al posto di lavoro, non escludendo discriminazioni.

E L’ITALIA?

Anche da noi le proposte si differenziano.

Nel Lazio ci si può spostare gratuitamente con Uber che mette a disposizione due corse verso e da i centri vaccinali. Nel Messinese, la Coldiretti regala una bottiglia di Siccagno di Valledolmo (passata di pomodoro).

In Piemonte ci sono incentivi per i medici di base che riescono a convincere i propri utenti. Se il 90% di questi risulterà vaccinato entro il 15 settembre, riceveranno un compenso di 2 euro in più per assistito e di 1 euro e mezzo se la percentuale si fermerà tra l’87 e l’89,99%. La Ausl di Bologna riconoscerà un premio ai pediatri che convinceranno il 70% dei loro giovani pazienti a vaccinarsi.

UN PO’ PIU’ COMPLICATO DI COSI’…

Perfetto.

Anche no!

Distribuire soldi come se piovesse, non è un nudge (i nudge per essere tali non prevedono né incentivi economici né disincentivi). Come è già accaduto nel 2005, in Perù, quando si è voluto affrontare il problema delle diseguaglianze e frenare la povertà. E il governo ha lanciato i conditional cash transfer (cct), la versione nazionale degli Juntos: sussidi monetari condizionati che prevedevano pagamenti mensili di 100 soles in favore di genitori poveri, perlopiù madri. Per non perdere il sussidio, le donne dovevano assicurarsi che i figli frequentassero l’85% delle lezioni scolastiche in un anno e che si sottoponessero regolarmente a controlli medici e nutrizionali.

«In paesi come il Brasile, i cct sono stati importanti nell’accesso all’istruzione e nella conseguente riduzione delle disuguaglianze», spiegò la scelta Branko Milanovic, a lungo capo economista alla Banca mondiale[2]. Eppure i cct non sono la panacea, come dimostrano le voci critiche, tra cui quella del premio Nobel per l’economia Angus Deaton che ha evidenziato la loro incapacità di ridurre la povertà in via permanente[3]. Tuttavia questi programmi, complessivamente poco costosi per le finanze pubbliche (cifre tra lo 0,04 e lo 0,8% del Pil), continuano a essere molto popolari: nella sola America Latina si contano 129 milioni di beneficiari.

Al di là della loro presunta o reale efficacia, che lasciamo misurare agli economisti di mestiere, i cct sono incentivi economici e per questo ben lontani dalle politiche di nudging.

Un sussidio non può essere un nudge, come non lo è una multa e neppure una condanna alla prigione. Senza contare che gli incentivi economici distribuiti con questa leggerezza, sollevano un interrogativo etico e discriminatorio: i benestanti non saranno di certo spinti a vaccinarsi per soldi mentre gli svantaggiati subiranno una pressione non indifferente. Senza contare che nel medio – lungo termine diventano demotivanti. E quindi inefficaci.

Senza voler aprire una diatriba neuroetica, è impossibile non guardare ai dubbi che il denaro inevitabilmente solleva: l’incentivo economico non può che alimentare la cultura del sospetto. Non dimentichiamoci che è il bene comune e la protezione ai più fragili che dovrebbe spingere verso la vaccinazione.

Ecco perché più che gli incentivi, ci sono altre strategie a cui si potrebbe e dovrebbe ricorrere. La moral-suasion: incentrata su argomenti attrattivi, anzichè costrittivi e la spinta gentile, capace di rendere facili scelte complesse. Non obbligando, ma creando contesti che, senza togliere la libertà, rendono le decisioni più agevoli e funzionali.

CONTESTO

Non ovunque e non sempre è facile vaccinarsi. Spesso è più un percorso a ostacoli che una via di uscita: comunicazione confusa e contraddittoria, difficoltà a prenotarsi o impossibilità a scegliere quando farlo, o a spostare l’appuntamento, luoghi spesso scomodi o difficilmente raggiungibili se non si è automuniti, mancanza di chiare informazioni su possibili effetti collaterali e un’assistenza post vaccinazione latitante. Lo dico per esperienza diretta.

Senza contare che chi si occupa delle campagne di sensibilizzazione, poco o nulla sa di spinte gentili ed economia comportamentale. E nemmeno ci pensa a consultare gli esperti del settore.

Più che regalare bibite, biglietti della lotteria e qualche banconota, sarebbe più utile investire il denaro nel prelevare a domicilio persone con problemi di mobilità o affette da fragilità, predisporre équipe che portino la vaccinazione a domicilio, un’assistenza post vaccino quando necessaria, numeri verdi dove gli operatori rispondono in modo diretto e non costringano ad attese infinite senza nessuno che si faccia carico del problema.  O ancora, facilitare la vaccinazione di quei lavoratori saltuari e che hanno paura di perdere giorni di lavoro in caso di avventi avversi o problematiche post vaccino[4].

Insomma ci sono molti modi per usare il denaro. E a parità di budget, ricorrere ai Nudge (non come azione estemporanea ma come policy) porterebbe maggiori benefici rispetto ai compensi economici, mitigando o eliminando i sospetti e rafforzando la fiducia nel sistema sanitario pubblico.

FIDUCIA

La fiducia, ricordo, non si può comprare e gli incentivi possono alimentare dubbi sulle reali intenzioni delle istituzioni scientifiche. Un studio del 2020, condotto in 19 paesi utile a determinare i tassi di accettazione e i fattori che influenzano la propensione a vaccinarsi, ha mostrato come in realtà il 71,5% dei partecipanti sarebbe propenso al vaccino e il 48,1% ha riferito che accetterebbe la raccomandazione del datore di lavoro nel farlo. Le differenze nei tassi di accettazione variavano da quasi il 90% (in Cina) a meno del 55% (in Russia). Gli intervistati, a prescindere dalla nazionalità, che segnalano livelli più elevati di fiducia verso il proprio governo, hanno maggiori probabilità di ì vaccinarsi[5].

Tenendo conto di questi dati, gli incentivi difficilmente sono la soluzione. Se non per ridurre la procrastinazione, secondo gli studi dei premi Nobel per l’economia Duflo e Banerjee, e aumentare la percentuale dei vaccini dal 18 al 39%[6]. Un costo che è sicuramente giustificato.

Non c’è dunque una soluzione univoca. E ciò che realmente funzionerà lo si vedrà nel tempo. Intanto, non dimentichiamoci che i Nudge per quanto allettanti andrebbero applicati da chi li conosce per davvero. Non è una moda. E’ una strategia. Da Nobel. I soldi, e la letteratura scientifica lo dimostra, non sono così efficaci come ci piace pensare, benchè sia una soluzione sicuramente semplice e rapida…

FONTI

[1] https://www.reuters.com/world/asia-pacific/philippines-duterte-threatens-those-who-refuse-covid-19-vaccine-with-jail-2021-06-21/

[2] Fiszbein A., Schady N., et al., Conditional Cash Transfers reducing present and future poverty, The World Bank report, 2009.

[3] Deaton A., Instruments, Randomization, and Learning about Development, Journal of Economic Literature, Vol. 48, N. 2, June 2010, pp. 424-55.

[4] https://www.nytimes.com/2021/07/09/nyregion/free-doughnuts-arent-going-to-boost-vaccination-rates.html

[5] Lazarus, J.V., Ratzan, S.C., Palayew, A. et al. A global survey of potential acceptance of a COVID-19 vaccine. Nat Med 27, 225–228 (2021).

[6] https://www.nber.org/system/files/working_papers/w28726/w28726.pdf

La cultura dell’onestà nei luoghi di lavoro: con i nudge si può!

«Ci sono persone oneste nel mondo, ma solo perché il diavolo ritiene che il prezzo che chiedono è incredibilmente alto». Questione di punti di vista, ma è difficile non sorridere ironicamente di fronte alla definizione che lo scrittore americano Peter S. Beagle dà a un concetto al contempo tanto concreto quanto astratto e su cui i Nudge possono fare molto, anche se sono in pochi (ancora) a saperlo.

L’onestà è come la dieta

Comportarsi in modo onesto non è facile, siamo onesti… E non sempre gli esempi resi salienti dagli organi di stampa ci aiutano a rimanere saldi sui nostri buoni propositi. Per fortuna però resistere alla tentazione di mettere in atto comportamenti poco, se non addirittura, non etici, non è una missione impossibile, come invece si potrebbe pensare.

A dirlo lo studio pubblicato sulla rivista Personality and Social Psychology Bulletin. Secondo Ayelet Fishbach e Oliver J. Sheldon, l’onestà sarebbe un po’ come una dieta: difficile da seguire se non si tiene bene a mente l’obiettivo (onestà) per cui si è aderito a quello specifico regime alimentare, e le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni.

Nello studio, i due ricercatori hanno svolto diversi esperimenti con un gruppo di volontari posti di fronte a una serie di dilemmi. In una prova i partecipanti hanno impersonato il venditore di un palazzo storico e un potenziale acquirente, con due obiettivi molto diversi: il venditore doveva evitare che la proprietà fosse distrutta, mentre il compratore puntava a demolirla per costruire, al suo posto, un hotel.

Prima di iniziare, a metà di loro è stato chiesto di ricordare una situazione in cui in passato si erano comportati in modo disonesto e quali conseguenze questo avesse portato. Tra loro il 45% dei compratori ha mentito nel corso della fase di contrattazione per l’acquisto della proprietà, mentre la percentuale nell’altra metà dei partecipanti è stata del 65%.

In un secondo esperimento è invece stato chiesto ai partecipanti di valutare se fossero o meno accettabili una serie di comportamenti disonesti sul lavoro, come darsi malati per prendere un giorno di vacanza, rubare penne e cancelleria dall’ufficio, o rallentare il ritmo di lavoro per evitare di ricevere mansioni aggiuntive. Chiedendo ad alcuni di loro di riflettere su una serie di dilemmi etici, prima di partecipare alla prova, i ricercatori hanno notato che in questo modo diminuiva notevolmente la possibilità che giudicassero accettabili i comportamenti disonesti in esame. Secondo i due ricercatori Fishbach e Sheldon, i risultati indicherebbero che è più facile comportarsi onestamente se ci si ricorda delle conseguenze del comportamento disonesto e se non ci si prepara per tempo per resistere alla tentazione.

La situazione non è dunque così drammatica, per fortuna. E a venire ulteriormente in aiuto, per aumentare la propensione umana all’onestà, ci sono i Nudge. La strategia gentile che aiuta a rendere semplici anche le scelte più complesse.

Attenzione a dove si firma

Uno degli éscamotage più efficaci è quello di rendere saliente il valore dell’onestà. Come? Facendo porre la firma su documenti e certificazioni, in alto anziché in basso, prima cioè della compilazione anziché al termine, come invece solitamente avviene. Questo piccolo Nudge ha la funzione di indirizzare l’attenzione su se stessi e portare a effetti sorprendentemente potenti sul comportamento morale che poi andremo ad agire. La firma è un modo per attivare l’attenzione verso se stessi e verso i valori in cui crediamo.

Apporre il proprio nome prima di inserire informazioni (piuttosto che alla fine) risveglia in noi il valore dell’onestà e questo ci spingerà a rispondere alle domande in modo più sincero. L’attuale pratica di firmare dopo aver riportato le informazioni suggella il danno: immediatamente dopo aver mentito, le persone si impegnano rapidamente in varie giustificazioni, reinterpretazioni e altri trucchi come sopprimere i pensieri sugli standard morali che consentono loro di mantenere un’immagine di sé positiva nonostante abbiano mentito. Detto in modo semplice, una volta che un individuo ha mentito, è troppo tardi orientarne l’attenzione verso l’etica, richiedendo una firma.

È davvero così semplice? Sì.

A supporto di tale Nudge sono stati condotti alcuni esperimenti: uno di questi è stato misurare l’onestà di un gruppo di volontari impegnati a risolvere problemi matematici e la cui soluzione generava loro dei guadagni.

A seguito del compito loro assegnato, i soggetti sono stati incaricati di comunicare i propri guadagni, le spese e il tempo di viaggio, dopo di che avrebbero ricevuto il pagamento. I soggetti hanno quindi avuto l’opportunità di aumentare il proprio reddito, segnalando guadagni esagerati sul modulo di autodichiarazione.

I risultati dell’esperimento hanno mostrato poca differenza fra i soggetti che avevano firmato una dichiarazione di onestà alla fine del modulo e coloro ai quali non era stato fatto firmare nulla (a imbrogliare è stato il 63% per chi ha firmato a fine modulo e il 79% per coloro cui non è stata richiesta alcuna firma).

Per coloro i quali avevano invece firmato prima di compilare il modulo, le dichiarazioni disoneste si sono attestate intorno al 37%. Ciò suggerisce che rendere saliente il valore dell’onestà prima che le persone agiscano, può avere effetti significativi sulla loro tendenza a essere oneste.

Scarsa consapevolezza

Uno dei motivi per cui le persone tendono a comportarsi in modo poco onesto, è che non sempre hanno un consapevole accesso ai propri standard morali. Non sono cioè attente a ciò che le porta ad agire, ciò che indirizza le loro scelte e decisioni.

Le persone valutano le azioni secondo valori e standard interni. Una mancanza o una lassità di autocoscienza, potrebbe quindi indurle a mostrare comportamenti disonesti, anche se questo non è coerente con il loro standard morale.

Firmare una dichiarazione di onestà in cima al modulo, è in questi casi efficace nel promuovere l’onestà, poiché attiva la bussola morale interna delle persone prima che agiscano.

Anche se questo non è l’unico incentivo progettato per promuovere l’onestà, il suggerimento proposto è abbastanza facile da implementare e può potenzialmente avere grandi benefici sia per l’individuo sia per la società. Come accennato in precedenza, il problema non è che gli individui siano dei bugiardi senza scrupoli, ma che molti di noi siano più inclini a un po’ di disonestà se ne hanno la possibilità. Come suggeriscono le evidenze, le persone possono essere aiutate a rimanere coerenti rispetto i loro standard di onestà, se la loro bussola morale viene attivata appena prima di agire.

 

Fonti:

Sheldon O.J., Fishback A., Anticipating and Resisting the Temptation to Behave Unethically, May 22, 2015

Shu L., Mazar N., Gino F., Ariely D., Bazerman M. H., Signing at the beginning makes ethics salient and decreases dishonest self-reports in comparison to signing at the end, PNAS September 18, 2012

English version: https://centrostudi.comunicazionestrategica.it/en/the-culture-of-honesty-in-the-workplace-with-nudges-you-can/

Podcast – BAATS e Dikton intervistano Laura Mondino a proposito di “La teoria dei Nudge e le domande di manager ed executives”

Baats (brain available at your service) e Dikton intervistano Laura Mondino a proposito di “La teoria dei Nudge e le domande di manager ed executives”.

La teoria dei nudge e le domande di manager ed executive (spreaker.com)

 

 

CREDITI SOCIALI CINESI: non tutte le spinte sono gentili

Ci sono persone che sanno intavolare un confronto costruttivo, farti riflettere e contemporaneamente spingerti a delle soluzioni. E’ ciò che è successo con #marcolarosa che con una sola domanda mi ha regalato una dose sufficiente di dopamina da arrivare all’anno nuovo.

Il sistema dei crediti sociali cinesi è un esempio di applicazione dei Nudge?

Il mio articolo sul blog: neurowebcopywriting

https://www.neurowebcopywriting.com/crediti-sociali-cinesi-e-nudge-laura-mondino/

 

CARO PRESIDENTE CONTE, TI SCRIVO…

Non si crea compliance, adesione alle norme sociali, usando la leva della paura e/o del divieto così come viene.  Lo sanno anche i muri. Gli unici ancora a non saperlo, mi viene da pensare (ma vorrei essere contraddetta) sono i nostri decisori…

E’ a questo che penso da mesi, stupita che nelle varie task force non ci siano esperti e profondi conoscitori anche delle Scienze comportamentali e/o dell’economia comportamentale o di Neuroscienze applicate alla Comunicazione. Non so se i nostri governanti ignorino l’importanza di queste discipline o preferiscano starci volutamente lontani per le ragioni che si possono ben immaginare.

Su questo rifletto mentre ascolto il video discorso di Emmanuel Macron, il presidente francese, risultato positivo al coronavirus giovedì

Sto bene, ho gli stessi sintomi di ieri: affaticamento, mal di testa, tosse secca come le centinaia di migliaia di persone che hanno convissuto o convivono con il virus. Continuerò a seguire gli affari ricorrenti anche se con un’attività un po’ rallentata. (…) Fate attenzione, tutti possiamo contrarre il virus”.

In una parola: rassicurante. Avvolgente. Empatico. Un messaggio non autoreferenziale, puntuale e descrittivo e al tempo stesso ingaggiante. Per chi mastica di bias… un buon uso del principio di riprova sociale. A tutti piace sentirsi parte di un gruppo, essere accettati e condividere preoccupazioni e speranze.

Difficile non fare un paragone, con il nostro Presidente del Consiglio e non della Repubblica (come freudianamente si lasciò sfuggire nel discorso dell’8 settembre) Conte che, quando si tratta di fare annunci, sembra ignorare le normali regole non solo delle Neuroscienze, ma della comunicazione base.

Stile dittatoriale, in un Paese democratico… la contraddizione è già evidente  così… forse quel lapsus è molto più predittivo, di quanto vorremmo credere!

Entrando nel merito, difficile dimenticare le sue frasi cult:

  • non cadremo nel baratro”, quando voleva, in pieno lockdown, tranquillizzare gli italiani, fa già tristezza così senza dover aggiungere altro…
  • il governo non lavora con il favore delle tenebre”,
  • meno libertà per tutelare la salute

In realtà, nei momenti di incertezza (che non piacciono a nessuno) servono regole chiare, indicazioni precise, coerenza e autorevolezza. Mi sembra che questi ingredienti siano mancati tutti o quasi. Chi si farebbe operare da un chirurgo che in sala operatoria prima di mettere mano ai ferri ci dicesse

“speriamo di non sbagliare approccio chirurgico, mi auspico che i miei colleghi seguano le procedure”.

Chi decide e guida, deve esprimere autorevolezza e direzione, non ulteriore incertezza.. o paure e preoccupazioni… Sperare e auspicare sono verbi che non fanno troppo bene alla nostra amigdala.

Ancor più i continui e non programmati divieti che ci vengono offerti come si fa con le caramella ai bambini ad Halloween. Non sapendo che altro fare, vieto… Non funziona neanche questo approccio: quando ci viene proibito qualcosa, la più comune delle reazioni è la reattanza, un fenomeno che consiste nel rifiuto di accettare regole che limitano i comportamenti individuali.

Quando ci si sente eccessivamente costretti in una direzione che non si condivide, l’unico risultato che si ottiene è il comportamento opposto.

Caro Conte, la prossima volta che le verrà voglia di creare un’altra task force, non ignori (per usare il suo stile comunicativo) le Neuroscienze, so che possono sembrare noiose, ma il Nobel è ancora un sigillo di sapere e autorevolezza, che piaccia o meno. Io, persone come Thaler e Kahneman le starei a sentire. E poi non dica che non l’avevo avvisata!